ROMA. Da un’analisi di Patrizia Giovannini, responsabile del dipartimento nazionale precari della Gilda degli Insegnanti, sulla base dei dati TALIS 2018, diffusa il 27 settembre scorso da Gilda degli Insegnanti, l’età media degli insegnanti in Italia si aggira intorno ai 50 anni per un buon 48% per cento e per il 78% i Docenti italiani sono di sesso femminile, mentre nelle rilevazioni OCSE in Europa la media degli insegnanti cinquantenni si afferma ben al di sotto del 34%. Anche l’età media dei Dirigenti scolastici in Italia è elevata e si aggira intorno ai 56 anni, di cui un buon 32% supera i 60 anni contro la media OCSE di 52 anni e di cui solo il 20% costituita da sessantenni.
Da tali dati si desume che in Italia nel prossimo decennio ci sarà un consistente turn over, con un ricambio di un docente ogni due, una condizione che accomuna il nostro Paese a Estonia, Grecia, Lettonia e Lituania. Occorre, dunque, intervenire al più presto per consentire un corretto ed esaustivo ricambio della categoria docente come di quella dirigente mettendo a punto una riforma strutturale che riveda tutto il sistema di reclutamento.
La situazione del precariato in Italia è gravosa e le assunzioni a tempo indeterminato sono insufficienti e non risolutive rispetto agli altri Paesi europei. La Danimarca, per esempio, è il paese con la percentuale maggiore di docenti assunti con contratto a tempo indeterminato che con il 96,8% rappresentano quasi la totalità del comparto. Nel Regno Unito i dati non si discostano di molto perché gli assunti a tempo indeterminato sono il 94,4%, mentre l’Italia si attesta agli ultimi posti. Infatti, solo il 74,4% degli insegnanti è di ruolo, una percentuale migliore solo rispetto a Spagna, Romania, Portogallo e Belgio (per la parte francese).
La scarsità di contratti a lungo termine in Spagna è dovuta alla crisi economica e solo il 10% delle posizioni lasciate dagli insegnanti in quiescenza tra il 2009 e il 2015 è stato riassegnato con contratti a tempo indeterminato a nuovi insegnanti attraverso concorsi. In Portogallo, invece, i cambiamenti demografici, la crisi economica e i requisiti nel processo di reclutamento per assunzioni permanenti hanno inciso sulle alte percentuali di insegnanti che lavorano con un contratto a tempo determinato. Dal 2017, tuttavia, il governo portoghese sta creando posti a tempo indeterminato per insegnanti che hanno almeno tre anni consecutivi di servizio; situazione ben diversa rispetto all’Italia, dove tali requisiti hanno concesso solamente la partecipazione a concorsi straordinari che non sono di fatto riusciti a risolvere il crescente aumento di contratti a tempo determinato
Tutti questi dati, è bene ribadirlo, provengono dall’indagine TALIS del 2018 e sono gli ultimi disponibili. Per il prossimo anno è prevista la pubblicazione dell’edizione 2023 che consentirà di avere un quadro più preciso delle tendenze di questi ultimi anni.
Sembrerebbe, però, che un contratto a tempo determinato possa garantire anche una certa flessibilità che l’OCSE mette in correlazione con la percezione di auto-efficacia. Gli insegnanti che lavorano con un contratto a tempo determinato di durata inferiore a un anno tendono infatti a riferire livelli più bassi di auto-efficacia dovuti alla minor esperienza lavorativa. Sono i docenti più giovani ad avere contratti a tempo determinato e per la precisione la media UE è di un under 35 su tre con contratto a breve termine.
Le problematiche nel sistema italiano sono varie, ma, ad essere fiduciosi, potremmo dire che sono talmente chiare e delineate che basterebbe una vera volontà politica per provare a sistemarle. Il percorso per diventare insegnanti in Italia è eccessivamente lungo, complesso e tortuoso, quindi chi sceglie questa strada è fortemente motivato. La determinazione che anima gli aspiranti docenti, però, negli anni rischia di scemare, perché anche una volta entrati di ruolo, ci si scontra con un sistema scolastico farraginoso, con un crescente aumento della burocrazia e dell’orario di lavoro extra didattico, fattori che allontanano l’attenzione da ciò che per l’istruzione è fondamentale: il rapporto diretto tra insegnanti e studenti attraverso l’esercizio della didattica.
Nel prossimo decennio la scuola italiana subirà un naturale ricambio anagrafico soprattutto dei docenti, e la politica deve farsi trovare pronta non solo per rendere questo ricambio il meno impattante possibile, ma soprattutto per mettere mano in modo serio e definitivo a tutte le problematiche.
In tutta Europa i sistemi educativi stanno attraversando una generale crisi di vocazione alla professione docente, con un invecchiamento del corpo insegnante che, unito alle carenze di organico, nei prossimi anni potrebbe aggravare la già complicata situazione.
Il Regno Unito ha già iniziato a mettere in campo interventi per svecchiare la categoria professionale, come il programma “Investire nella forza lavoro docente” lanciato nell’anno scolastico 2018/2019. Si tratta di un progetto di prepensionamento per insegnanti di 55 o più anni finalizzato all’ingresso di giovani professori nel mondo della scuola.
Dai dati Eurydice, poi, emerge che in Italia, oltre a una carenza di insegnanti, sussiste un un eccesso di offerta. Questa condizione, che sembra essere una contraddizione, è un aspetto presente, oltre che da noi, anche in Spagna, Grecia, Lituania, Portogallo, Lichtenstein, Montenegro e Serbia.
L’eccesso di burocrazia, l’orario e il calendario scolastico troppo pieno, gli stipendi inadeguati e non in linea con quelli europei costituiscono alcuni dei maggiori problemi della scuola italiana, come si evince anche da un sondaggio realizzato da “Orizzonte Scuola”, sito specializzato di informazione scolastica. Su un totale di 1800 docenti, il 55% ha dichiarato che la politica deve intervenire con priorità sugli stipendi e il 19% invece ritiene sia necessario garantire un sistema di reclutamento regolare concorsuale serio e ben organizzato che consenta di risolvere l’eterna questione del precariato. Solo al terzo posto tra le priorità si pone la diminuzione dell’eccesso di burocratizzazione.
Elemento essenziale per migliorare l’attrattività e lo status della professione è determinato dalle condizioni di lavoro degli insegnanti.
Aumentare l’attrattività significa avere più docenti a disposizione, più giovani e più motivati. La motivazione, come abbiamo visto, in Italia non manca in quanto l’insegnamento è stata la prima scelta professionale per il 65% degli insegnanti, ma una volta entrati a contatto con la realtà lavorativa questa dev’essere tale da non far svanire il grande entusiasmo iniziale.
Stipendi, orari di lavoro e mansioni extra sono tutti argomenti su cui concentrarsi per cercare di rendere la professione migliore, partendo sempre dal presupposto che l’aspetto fondamentale è il rapporto diretto con gli studenti.
Patrizia Giovannini
Responsabile dipartimento nazionale precari Gilda degli Insegnanti