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In pensione a 58 anni ma con appena mille euro al mese, Meloni estenderà Opzione Donna agli uomini. Il programma elettorale non era questo

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Il Governo Meloni non è stato ancora formato, ma già circolano dettagliate descrizioni sui programmi che porterà avanti con la prossima Legge di Bilancio. Uno di questi riguarda l’anticipo pensionistico, che con l’addio anche a Quota 102, sta facendo perdere il sonno a tantissimi docenti e Ata, altrimenti costretti a lasciare con la Legge Fornero “pura” a 67 anni di età o con circa 42 anni di contributi versati. Solo che dopo l’annunciata Quota 41 (in particolare dalla Lega) e più versioni di uscita anticipata, con penalizzazioni sull’assegno pensionistico più che tollerabili, dalle ultime indiscrezioni giungono soluzioni ben diverse e molto meno convenienti per i lavoratori. Una su tutti è quella dell’allargamento di Opzione Donna (via con 58-59 anni e 35 di contributi, ma con ricalcolo dell’assegno tutto contributivo) anche agli uomini.

La Repubblica ha già ribattezzato la soluzione definendola “Opzione Uomo” e sostenendo che è stata anche già “accarezzata dalla premier in pectore Giorgia Meloni”.

Due piccioni con una fava…

È una soluzione, scrive il quotidiano romano, che coglierebbe “due obiettivi con un colpo solo: realizzare una promessa elettorale (la flessibilità in uscita), senza scassare i conti. Dovrà vedersela con Quota 41 spinta dalla Lega. E con il taglio implicito in Opzione: fino a un terzo dell’assegno, perché si esce prima e perché c’è il ricalcolo”.

E qui sta il punto: può un docente, con una carriera di almeno 35 anni, che ha come prospettiva una pensione media – lasciando il servizio a 67 anni o con i 42 di contributi riconosciuti – da stimare attorno ai 1.700 – 1.800 euro, anticipare di qualche anno l’uscita e ritrovarsi per sempre con meno di 1.200 euro al mese? Il personale Ata, addirittura si ritroverebbe con un assegno di quiescenza ampiamente sotto i mille euro, praticamente poco sopra la pensione sociale.

L’uovo di Colombo

“La soluzione – continua La Repubblica – è in realtà un uovo di Colombo, la strada su cui era già avviato il premier uscente Draghi (all’epoca dei primi tavoli sindacali si parlava di “Opzione Tutti”). Permettere cioè di anticipare l’uscita e trascorrere più anni in pensione, pagando però una penalità in linea col principio di equità verso le nuove generazioni (che sono già tutte nel contributivo)”.

Va anche ricordato, continua il quotidiano, che “Opzione Donna tra l’altro – come pure Ape sociale, la misura assistenziale-ponte per i lavoratori o disoccupati più in difficoltà – scade il 31 dicembre. Fratelli d’Italia, ma anche Lega e Forza Italia, vogliono prorogarla, addirittura renderla strutturale. E, negli auspici di Giorgia Meloni, estenderla agli uomini. «Vanno combattute le ingiustizie del sistema pensionistico», ripeteva prima del voto”.

Si può accettare una proposta del genere?

Ma, a proposito di giustizia, un insegnante o un Ata che ha regolarmente lavorato 30 anni nella scuola e riscattando anche la laurea, può ritrovarsi con un assegno pensionistico così magro?

La motivazione di tutto questo è nella chiosa dell’articolo della Repubblica. Il Governo in arrivo è già alle strette. Perchè non potrà di certo “terremotare i conti e incrinare da subito i rapporti con Bruxelles. Ci sono l’emergenza energetica, la recessione che bussa alle porte, una potenziale crisi del lavoro con aziende che mettono in cassa integrazione o non rinnovano i contratti a termine. E le pensioni, in questo scenario saranno già rivalutate del 7,9% da gennaio, per recuperare l’inflazione di quest’anno. Un’operazione che ha già fatto salire la spesa pensionistica, come si legge nei numeri della Nadef. A fine 2025 sarà il 17,6% del Pil, due punti sopra quelli attuali, circa 350 miliardi, 100 in più di dieci anni fa”.

Dunque, in questa situazione economica allarmante, possiamo permetterci di mandare i lavoratori in pensione quasi dieci anni prima della norma senza penalizzarli? La risposta è ovvia. Le soluzioni possibili anche.

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