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L’incompatibilità nel pubblico impiego e le specificità del comparto scuola [Circolare applicativa USR Piemonte]

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L’USR Piemonte ha emanato la Circolare Applicativa n. 12437 del 26 agosto 2022 con la quale si forniscono aggiornamenti giurisprudenziali in merito al tema dell’incompatibilità nel pubblico impiego. Specificità del comparto scuola.

 

Al fine di supportare i dirigenti scolastici che si trovano, in qualità di datore di lavoro pubblico, ad autorizzare o a negare l’esercizio di attività ulteriori a quella istituzionale in applicazione delle norme che regolano la materia si forniscono le seguenti linee guida.

L’impiego pubblico è storicamente caratterizzato da un rigoroso regime di incompatibilità, in base al quale al dipendente pubblico è preclusa la possibilità di svolgere attività commerciali, industriali, imprenditoriali e professionali in costanza di rapporto di lavoro con la P.A. La ratio di tale divieto, che permane anche nel sistema del pubblico impiego contrattualizzato, va rinvenuta nel principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa a favore del datore pubblico, espressa dall’art. 98, comma 1, Cost. Gli artt. 60 ss. del d.P.R. n. 3 del 1957, declinando il principio del servizio esclusivo della Nazione del pubblico dipendente sancito dall’art. 98 Cost., prevedevano l’incompatibilità assoluta dell’impiego pubblico con l’esercizio di altre attività.

Il citato art. 60, infatti, prescriveva che “L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del ministro competente”. Questo divieto è stato successivamente mitigato dall’art. 58 del d.lgs. n. 29 del 1993, poi trasfuso nell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 che ha previsto la possibilità per l’amministrazione di appartenenza di autorizzare il dipendente a svolgere incarichi conferiti da altre pubbliche amministrazioni o soggetti privati, anche retribuiti, se ritenuti compatibili con l’attività svolta dal dipendente.

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Più in generale, l’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 dispone, al comma 2, che:

Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati” e, al comma 5, che “In ogni caso, il conferimento operato direttamente dall’amministrazione, nonché l’autorizzazione all’esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgano attività d’impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente”.

In base al quadro normativo delineato vale la regola per cui ogni incarico extra-istituzionale deve considerarsi eccezionale rispetto allo status di pubblico dipendente.

Rientra in tale categoria anche il personale scolastico (docente, educativo e ATA) essendo gli Istituti scolastici di ogni ordine e grado “Pubblica Amministrazione” a tutti gli effetti di legge (art. 1, comma 2, d.lgs. 165/2001).La regola generale dell’incompatibilità nel pubblico impiego risulta tuttavia attenuata in forza della previsione per cui il dipendente, previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, può essere ammesso allo svolgimento di incarichi ulteriori che, all’esito di apposita istruttoria, non risultino generare una situazione di conflitto di interesse rispetto all’attività svolta in via principale (art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 cit.).

 

Accanto a questa tipologia di incompatibilità, cd. “relativa” o “condizionata” alla preventiva autorizzazione, il legislatore individua poi una serie di incarichi che possono essere svolti senza necessità di acquisire il preventivo nulla osta da parte del datore di lavoro. Si tratta delle attività elencate dal comma 6 dell’art. 53, cd. “liberalizzate” in quanto esulano dal regime autorizzatorio essendo espressione di libertà costituzionalmente garantite.

Ipotesi di incompatibilità assoluta

La regola dell’incompatibilità assoluta con riferimento al personale scolastico, sia a tempo pieno che parziale con prestazione lavorativa superiore al 50%, è posta dall’art. 508, comma 10, d.lgs. 297/1994 (Testo unico Istruzione) rispetto all’esercizio di attività commerciali, industriali e professionali ovvero svolte alle dipendenze di soggetti privati o, ancora, comportanti l’accettazione di cariche in società costituite a scopo di lucro.

 

La disposizione del Testo unico istruzione ricalca le ipotesi descritte dall’art. 60, d.P.R. n. 3/1957 la cui integrazione determina la diffida da parte del datore di lavoro ad interrompere, entro 15 giorni, l’attività incompatibile a pena di decadenza dal lavoro pubblico.

Costituiscono incompatibilità di tipo assoluto:

  1. gli incarichi connotati da “abitualità” e “professionalità”, intese quali non occasionalità, e continuità nello svolgimento della professione, anche se esercitata in maniera non esclusiva;
  2. tutti gli incarichi suscettibili di entrare in conflitto di interesse, anche solo in via potenziale, con lo svolgimento dell’attività ordinaria e di compromettere il buon andamento dell’ufficio;
  3. l’assunzione di cariche in società costituite a scopo di lucro, con esclusione delle società cooperative.

Con riferimento alla prima categoria, presenta il carattere della professionalità anche l’impiego che, sebbene isolatamente e singolarmente non dia luogo ad una situazione di incompatibilità assoluta, considerato complessivamente nell’ambito dell’anno solare, configura, invece, un impegno continuativo, tenuto conto della natura dell’incarico e della remunerazione previsti.

 

In questo senso è stata presa in considerazione l’attività di amministratore di condomini la quale, sebbene non rientri formalmente tra quelle espressamente vietate al personale docente dall’art. 508, d.lgs. n. 297/1994, non può legittimamente essere autorizzata allorquando risulti prestata in modo continuativo e non occasionale.

La valutazione circa la professionalità svolta è affidata all’amministrazione di appartenenza investita della richiesta di autorizzazione da parte del dipendente, richiesta che può essere accolta solo quando l’impegno risulti limitato alla cura dei propri interessi. Tale ipotesi ricorre quando il soggetto ricopra il ruolo di amministratore del condominio al cui interno sia ubicato l’appartamento di proprietà.
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Dalla prassi applicativa si desume l’ulteriore regola per cui l’incarico aggiuntivo rispetto all’attività ordinaria non può essere legittimamente autorizzato nel caso in cui il suo svolgimento presupponga un inquadramento nell’ambito della struttura, con conseguente esclusione di forme di collaborazione sporadiche e occasionali. Da tale circostanza il giudice amministrativo ha desunto la “professionalità” dell’attività di istruttore di scuola guida, ancorché prestata a titolo gratuito, sancendone l’incompatibilità rispetto al servizio prestato in qualità di docente.

Tale attività costituisce, infatti, vera e propria “professione” dal momento che il rilascio della relativa licenza presuppone l’inquadramento del soggetto nell’ambito dell’autoscuola.

L’incompatibilità assoluta sussiste poi ogni qualvolta l’attività esercitata in via ulteriore rispetto a quella ordinaria si ponga, con questa, in conflitto di interessi. Tali situazioni, nell’ambito dell’ordinamento pubblicistico, non sono predeterminate in modo tassativo dal legislatore, ma possono essere rinvenute volta per volta in relazione a quegli incarichi che, per loro natura o per l’oggetto, sono suscettibili di arrecare pregiudizio, anche solo potenziale, all’esercizio imparziale delle funzioni pubbliche.

 

Ciò che conta è che il datore di lavoro, previamente informato dell’intenzione di assumere incarichi esterni, analizzi in concreto la possibile interferenza di questi con i compiti istituzionali del dipendente al fine di valutare la sussistenza del conflitto di interesse.

L’obbligo di evitare l’insorgere di situazioni di conflitto di interesse a carico del dipendente pubblico costituisce altresì regola di condotta positivizzata all’interno del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici recato dal d.p.r. n. 62/2013 la cui violazione è fonte di responsabilità disciplinare (art. 16).

Dalla lettura sistematica delle disposizioni del Codice si evincono una serie di situazioni sintomatiche della sussistenza, almeno in via potenziale, di un conflitto di interessi. In questo senso si considerano vietati gli incarichi svolti in favore di soggetti:

  • nei confronti dei quali l’amministrazione di appartenenza ha poteri autorizzatori, concessori o di rilascio di nulla osta, anche in forma tacita;
  • fornitori di beni e servizi per l’amministrazione allorquando a svolgere l’incarico sia il dipendente preposto all’individuazione del fornitore;
  • che intrattengano con l’amministrazione rapporti di natura economica o contrattuale;
  • verso i quali la struttura di assegnazione del dipendente svolga compiti di vigilanza e controllo.

 

 

In generale possono considerarsi altresì vietati gli incarichi che per la loro natura ed oggetto sono suscettibili di recare nocumento all’immagine dell’amministrazione o che, sebbene rientranti nel novero delle attività liberalizzate, si pongano in concreto in una situazione di conflitto di interessi con i compiti istituzionali.

Da ultimo la terza ipotesi di incompatibilità assoluta di cui al citato art. 60 è rappresentata dall’assunzione da parte del dipendente pubblico di cariche in società costituite a fine di lucro tranne che si tratti di cariche in società o enti per i quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente. Tale previsione fonda la propria ratio sull’opportunità di evitare le disfunzioni e gli inconvenienti che deriverebbero all’Amministrazione dal fatto che il proprio personale, anche rivestendo cariche sociali, si dedichi ad attività imprenditoriali, caratterizzate da un nesso tra lavoro, rischio e profitto.

Il pericolo che la prescrizione legislativa mira a prevenire non si riscontra nel caso della partecipazione a società cooperativa caratterizzata dalla prevalenza (se non dalla esclusività in taluni casi) degli scopi mutualistici rispetto a quelli di guadagno (che ben possono coesistere). La conseguenza è l’esclusione delle società cooperative dal regime delle incompatibilità espressamente sancita dall’art. 61 del d.P.R. n. 3/1957 (come novellato dall’art. 18 della l. n. 59 del 1992).

In linea generale deve dirsi che l’incompatibilità in parola si ricollega ad una situazione specifica all’interno delle società lucrative che riguarda l’assunzione di cariche che, a seconda del tipo di società, presuppongono la spendita di poteri di rappresentanza nonché l’esercizio di funzioni di rappresentanza nonché l’esercizio di attività in nome e per conto della società stessa.

 

Il Dipartimento della Funzione pubblica, con circolare 18 luglio 1997, n. 6, ha chiarito, infatti, che la partecipazione in qualità di semplice socio (cioè senza attività e senza incarichi nella società) non dà luogo ad incompatibilità.

Così come la partecipazione a società agricole a conduzione familiare risulta compatibile salvo che, in concreto, sia ravvisata la continuità, non occasionalità o comunque la rilevanza in termini di intensità dell’impegno profuso nello svolgere l’attività d’impresa.

Anche per il personale della scuola vige la regola generale dell’incompatibilità tra lo status di pubblico impiegato e l’esercizio di attività extra istituzionale. Il riferimento normativo è al comma dieci dell’art. 508, d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 considerato nella parte in cui rinvia ai divieti ex art. 60, d.p.r. 3/1957.

Accanto alle ipotesi di incompatibilità assoluta, la disciplina specifica dettata per il comparto scuola e, in particolare, per il personale docente aggiunge poi l’ipotesi dell’assunzione di lezioni private ad alunni dell’istituzione scolastica in cui si presta servizio. La legge, in forza del principio per cui nessun alunno può essere giudicato dal docente dal quale abbia ricevuto lezioni private, sancisce la nullità degli scrutini o delle prove d’esame svoltesi in violazione del predetto divieto (art. 508 commi 1 e 5, d.lgs. 297/1994). Il divieto è ribadito anche nell’ambito del CCNL del 16 novembre 2007 considerato nella parte in cui contempla, tra le prestazioni volte ad ampliare l’offerta formativa che possono essere svolte dal docente, le attività didattiche di recupero e quelle rivolte agli adulti escludendo espressamente dai destinatari dell’attività gli alunni delle proprie classi (art. 32).

 

Diverso è il caso delle lezioni private impartite agli alunni frequentanti scuole diverse da quelle di servizio. Lo svolgimento di questa attività, infatti, è ammesso previa autorizzazione del dirigente scolastico il quale abbia valutato la compatibilità con l’orario di insegnamento e al quale sia stato preventivamente comunicato il nome e la provenienza dell’alunno. Tale adempimento si concretizza in una vera e propria richiesta di autorizzazione soggetta al regime di cui all’art. 53, d.lgs. 165/01, con la conseguenza che la stessa si intende rilasciata una volta che sia decorso il termine per provvedere.

Le lezioni impartite a studenti sono poi vietate in assoluto agli ispettori e ai capi d’istituto (comma 6).

Il profilarsi di una situazione di incompatibilità assoluta ha come conseguenze, da un lato, la cessazione automatica del rapporto di lavoro qualora l’incompatibilità non venga rimossa entro 15 giorni dalla diffida, dall’altro la valutazione circa la sussistenza di profili di responsabilità disciplinare per violazione del dovere di esclusività. Secondo quanto previsto dall’art. 63, d.p.r. 3/1957, l’ottemperanza alla diffida, infatti, non esclude il venir meno della responsabilità disciplinare in presenza delle condizioni di legge.

Procedimento autorizzatorio.
Al di fuori dei casi di incompatibilità assoluta che, come visto, costituiscono un divieto inderogabile, il personale della scuola che assuma altro impiego è tenuto a darne notizia al dirigente scolastico. In prima battuta quest’ultimo è chiamato a verificare che l’incarico prospettato al suo dipendente non integri un divieto inderogabile (art. 60, d.p.r. 3/1957) né che, al contrario, si tratti attività che, per natura ed oggetto, non richieda un’autorizzazione in quanto liberalizzata (art. 53, comma 6, d.lgs. 165/2001).

 

Le informazioni rese dal dipendente nella richiesta di autorizzazione devono essere precise e specifiche in modo da mettere il destinatario di essa (il dirigente scolastico) nella condizione di salvaguardare la propria sfera di interessi e di dare la possibilità alla scuola di valutare i condizionamenti dispiegati dall’esercizio di altre attività su quella ordinaria del dipendente, sì da salvaguardare il principio di imparzialità dell’azione amministrativa.

A questo punto il dirigente, in qualità di datore di lavoro, è tenuto ad avviare una vera e propria istruttoria volta a verificare in concreto la compatibilità dell’attività ulteriore con la funzione svolta nel comparto scuola nonché l’insussistenza del conflitto di interessi.

Tale procedimento destinato a concludersi entro 30 giorni dalla comunicazione del dipendente interessato, può culminare nell’adozione di un provvedimento motivato di autorizzazione ovvero di diniego. Decorso il termine per provvedere, l’autorizzazione si intende accordata secondo quanto previsto dal comma 10 dell’art. 53, d.lgs. 165/2001.

Il regime autorizzatorio sopra descritto è previsto al fine di vagliare l’effettiva compatibilità dell’attività extra lavorativa svolta con il corretto e puntuale adempimento della prestazione contrattualmente dovuta al fine di evitare che il cumulo di incarichi arrechi un pregiudizio al buon andamento dell’amministrazione.

 

L’autorizzazione a svolgere attività extraistituzionali va richiesta dal dipendente al datore di lavoro prima di dare avvio allo svolgimento dell’attività medesima stante l’esistenza in materia del divieto di autorizzazioni postume, date ora per allora, in quanto ontologicamente incompatibili con la finalità dell’istituto della previa autorizzazione che, in base al disposto di cui all’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001, è quella di verificare, necessariamente ex ante, l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi.

A tal proposito gli indici di valutazione sono rivolti a verificare:

  1. se l’espletamento dell’incarico ulteriore possa ingenerare, anche in via solo ipotetica o potenziale, situazione di conflittualità con gli interessi facenti capo all’amministrazione e, quindi, con le funzioni assegnate sia al singolo dipendente che alla struttura di appartenenza;
  2. la compatibilità del nuovo impegno con i carichi di lavoro del dipendente e della struttura di appartenenza (che dovrà comunque non solo essere svolto fuori dall’orario di lavoro, ma pure compatibilmente con le esigenze di servizio), nonché con le mansioni e posizioni di responsabilità attribuite al dipendente, interpellando eventualmente a tal fine il responsabile dell’ufficio di appartenenza il quale dovrà esprimere il proprio parere o assenso circa la concessione dell’autorizzazione richiesta;
  3. la occasionalità o saltuarietà, ovvero non prevalenza della prestazione sull’impegno derivante dall’orario di lavoro;
  4. la materiale compatibilità dello specifico incarico con il rapporto di impiego, tenuto conto del fatto che taluni incarichi retribuiti sono caratterizzati da una particolare intensità di impegno;
  5. specificità attinenti alla posizione del dipendente richiedente l’autorizzazione medesima (incarichi già autorizzati in precedenza, assenza di procedimenti disciplinari a suo carico o note di demerito in relazione all’insufficiente livello di rendimento);
  6. corrispondenza fra il livello di professionalità posseduto dal dipendente e la natura dell’incarico esterno a lui affidato

Lo scadere del termine autorizzatorio esclude poi la legittimità dell’attività successiva con la conseguenza che il dipendente autorizzato a svolgerla non potrà legittimamente fare affidamento sul perdurare dell’autorizzazione precedentemente data oltre il termine di scadenza che nel comparto scuola coincide normalmente con l’anno scolastico

 

L’esercizio di attività extraistituzionali, seppur astrattamente compatibili, in difetto della prescritta autorizzazione da parte del dirigente scolastico integra una grave violazione di legge suscettibile di condurre, all’esito di un procedimento disciplinare, al licenziamento del dipendente tenuto inoltre a versare all’Amministrazione di appartenenza le somme percepite in conseguenza dell’attività illegittimamente svolta. Il mancato versamento dei compensi derivati da attività extra istituzionale da parte del dipendente pubblico si configura come illecito erariale secondo quanto previsto dall’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165/2001.

Frequente è infine l’ipotesi in cui il dipendente sia interessato a svolgere un’ulteriore attività lavorativa di natura occasionale durante un periodo di aspettativa non retribuita dal lavoro pubblico. Sul punto, ferma in ogni caso la necessità della preventiva autorizzazione da parte del datore di lavoro, l’ARAN risponde che: ” Nessuna norma contrattuale consente, (o potrebbe consentire) al dipendente di poter instaurare un secondo rapporto di lavoro o lo svolgimento comunque, di altra attività di lavoro autonomo, anche di natura libero professionale, durante la fruizione di periodi di aspettativa senza diritto alla retribuzione (…). Il primo rapporto, infatti, con tutte le situazioni soggettive che vi sono connesse (ivi comprese le incompatibilità), sussiste ancora anche se in una fase di sospensione delle reciproche obbligazioni (…)”

Libere professioni e dipendenti in regime di part time

Il divieto generale di svolgere, in costanza di rapporto di pubblico impiego, attività ulteriori rispetto a quella istituzionale risulta attenuato in due ipotesi legislativamente previste: la prima riguarda il personale in regime di part time con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento (art. 53, comma 6, d.lgs. 165, cit.), la seconda le categorie di personale, e fra queste i docenti, ammesse, in presenza di specifiche condizioni di legge, allo svolgimento di libere professioni.

 

Partendo da quest’ultima ipotesi, il riferimento è all’art. 508, comma 15, d.lgs. 297/1994, che consente al personale docente l’esercizio della libera professione purché non sia di pregiudizio alla funzione docente (comprensiva di tutte le attività ad essa riferite), sia pienamente compatibile con l’orario di insegnamento e di servizio e sia esplicata previa autorizzazione del dirigente scolastico.

Con particolare riferimento all’esercizio dell’attività forense vanno richiamate le disposizioni della L. n. 247/2012. L’art. 19 stabilisce che l’esercizio della professione di avvocato è compatibile con l’insegnamento o la ricerca in materie giuridiche nelle università, nelle scuole secondarie pubbliche e private parificate, nelle istituzioni ed enti di ricerca e sperimentazione pubblici. Tale prescrizione va letta nel senso che sussistendone i requisiti l’incompatibilità è esclusa anche per i docenti della scuola primaria; “costoro, infatti, godono della medesima libertà di insegnamento stabilita per gli altri docenti e devono essere in possesso della laurea, sicché la loro esclusione dall’eccezione prevista dalla legge si risolverebbe in una discriminazione in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza” (Cass., Sez. Unite, n. 22623/2010).

Le condizioni entro cui è consentito al personale docente l’esercizio della professione forense sono richiamate dall’art. 1 comma 56 bis, L. n. 662/96:

  1. autorizzazione del dirigente scolastico che deve valutare l’eventuale pregiudizio che l’esercizio della professione può arrecare all’assolvimento delle attività inerenti alla funzione docente;
  2. divieto di assumere il patrocinio legale in controversie nelle quali sia parte l’amministrazione;
  3. divieto di assumere incarichi professionali che siano conferiti dall’amministrazione

 

 

Al di là delle categorie normative, ciò che conta sono le risultanze dell’esame condotto sulla scorta delle specificità del caso concreto. Questo compito è affidato al datore di lavoro, nella specie al dirigente scolastico, a cui il dipendente chieda l’autorizzazione a svolgere l’attività libero professionale in aggiunta ai compiti istituzionali. Tale richiesta attiva un controllo avente ad oggetto la compatibilità in concreto dell’attività svolta con possibilità di limitarne l’esercizio proprio al fine di evitare l’insorgere di un conflitto di interessi con lo svolgimento dell’attività di insegnamento.
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Con riferimento ai dipendenti in regime di part time fino al 50%, il sesto comma dell’art. 53, cit. esclude tale categoria di personale dall’obbligo di richiedere una preventiva autorizzazione allo svolgimento di incarichi ulteriori, ivi comprese le libere professioni.

Tale disposizione non può essere letta isolatamente ma va coordinata con tutta un’altra serie di prescrizioni, normative e contrattuali, che impongono al dirigente anche per il personale in part time fino al 50% di vigilare sull’attività svolta in via ulteriore al fine di verificare che:

  1. tale attività non comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio del dipendente, pregiudicando l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente;
  2. l’interessato abbia tempestivamente comunicato all’Amministrazione di appartenenza il tipo di attività privata che intende svolgere (il che agevola il controllo in merito al conflitto di interessi).

In questo senso il CCNL comparto scuola sottoscritto in data 19 aprile 2018 obbliga il dipendente in part time che abbia intrapreso un’altra attività lavorativa e/o professionale a comunicarlo entro 15 giorni al dirigente scolastico a cui è attribuito il dovere di vigilanza e controllo (art. 56).

 

Accanto alle norme contrattuali, la legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica, detta disposizioni specifiche in materia di cumulo di impieghi con specifico riferimento al personale in part time (art. 1, commi 56 e ss.).

Al fine di evitare l’insorgere di situazioni di conflitto di interesse, le disposizioni di cui alla legge del 1996 assoggettano i lavoratori in part time agli stessi controlli previsti per il personale a tempo pieno al fine di accertare che l’attività ulteriore non comporti grave pregiudizio alla funzionalità dell’amministrazione in relazione alle mansioni svolte e alla posizione organizzativa ricoperta.

In caso di inottemperanza alle suddette prescrizioni il dirigente scolastico, in qualità di datore di lavoro, laddove ravvisi la sussistenza di un conflitto di interessi tra l’attività svolta dal dipendente, ancorché in part-time, e le funzioni istituzionali ad esso intestate, è tenuto a diffidare il lavoratore dal cessare, entro 15 giorni, l’attività ulteriore a pena di decadenza dall’impiego pubblico. Allo stesso modo, allorquando la comunicazione del lavoratore abbia ad oggetto la richiesta di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a parziale, l’accoglimento della richiesta medesima è subordinato alla verifica circa la compatibilità dell’attività che si intende svolgere in via ulteriore rispetto a quella istituzionale.

In ogni caso il cumulo di impieghi non è mai consentito, nemmeno a seguito di trasformazione da regime di tempo pieno a part-time, nei casi in cui l’attività ulteriore sia prestata in favore di un’altra amministrazione pubblica.

 

Resta ferma la possibilità per il dirigente scolastico di reperire personale esterno alla propria amministrazione scolastica da adibire temporaneamente allo svolgimento di particolari attività ed insegnamenti altamente qualificati destinati all’ampliamento dell’offerta formativa. La fattispecie è disciplinata dall’art. 7, commi 6 e 6 bis, d.lgs. n. 165/2001, come modificato dall’art. 5, d.lgs. n. 75/2017 ed è subordinata alla sussistenza di condizioni precise.

Fra queste, l’avvenuto accertamento circa l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili all’interno dell’amministrazione.

Incompatibilità – Cumulo di impieghi pubblici – Differimento della presa di servizio – Aspettativa per motivi di lavoro.

Ai fini della valida costituzione del rapporto di impiego, il personale precedentemente individuato per la stipula del contratto di lavoro, a tempo determinato o indeterminato, dall’Ufficio competente, deve risultare svincolato da ulteriori rapporti di lavoro. A tal fine è tenuto a dichiarare sotto la sua responsabilità di non avere altri rapporti di impiego pubblico o privato e di non trovarsi in nessuna delle situazioni di incompatibilità previste dalla legge ovvero, in caso contrario, a presentare dichiarazione di opzione per il nuovo rapporto di lavoro.

 

Bisogna però distinguere l’ipotesi in cui al momento della sottoscrizione del contratto il soggetto abbia già un’attività lavorativa in corso da quella in cui l’incompatibilità sorga in costanza di rapporto di impiego pubblico. Nel primo caso l’ipotesi è quella del cumulo di impieghi pubblici, generalmente vietato dall’ordinamento (art. 65, comma 3, d.P.R. 3/1957) e comportante l’adozione, da parte del dirigente scolastico di un provvedimento meramente dichiarativo di cessazione dall’impiego precedente. Tale atto si configura come “dovuto” e costituisce presupposto ai fini della regolare costituzione del nuovo rapporto di lavoro.

Diverso è il caso dell’ulteriore attività lavorativa svolta dal pubblico dipendente in costanza di rapporto di impiego fuori dall’orario di servizio. Opera, in questo caso, il descritto regime delle incompatibilità di legge rispetto all’esercizio di attività commerciale, industriale o professionale, all’accettazione di incarichi alle dipendenze di enti privati ovvero all’assunzione di cariche in società costituite a scopo di lucro. Il dirigente che ravvisi la predetta violazione è tenuto a diffidare il dipendente a cessare dalla situazione di incompatibilità optando, entro il termine di 15 giorni, per una delle attività svolte (art. 508, comma 14, d.lgs. 297/1994). Fermo restando che l’ottemperanza alla diffida non esclude l’azione disciplinare, il dipendente che non ottemperi va incontro alla risoluzione del rapporto di lavoro per incompatibilità ovvero, a seconda della gravità della condotta posta in essere al momento della sottoscrizione del contratto di lavoro, al licenziamento disciplinare per falsità dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro (art. 55 quater lett. d, d.lgs. 165/2001).

Il discrimene fra le due ipotesi si coglie, dunque, con riferimento al momento in cui sorge l’illegittimità: nel primo caso, è impedita la stessa costituzione del rapporto di pubblico impiego, nel secondo la sua valida prosecuzione con effetti decadenziali o disciplinari a carico del dipendente, oltre che sul piano della responsabilità patrimoniale per danno erariale (ravvisato, come visto, dal giudice contabile sia nel fatto che è stata percepita una retribuzione non dovuta per svolgimento di attività incompatibile, sia nel disservizio causato rispetto all’attività principale).

Alla luce della predetta distinzione si evince che il momento della verifica della compatibilità ai sensi dell’art. 60, d.P.R. 3/57 e dell’art. 508, d.lgs. 297/94 è quello dell’assunzione, cioè della stipula del contratto di lavoro. È infatti, con l’acquisizione dello status di pubblico dipendente, ovverosia con la sottoscrizione del contratto, che sorge il vincolo di esclusività a tutela del buon andamento dell’amministrazione (art. 98 Cost.). In tale momento non devono sussistere situazioni ostative la sottoscrizione del contratto di assunzione e, fra queste, l’esistenza di precedenti rapporti di impiego, siano essi di natura pubblica o privata.

 

Sulla scorta del predetto ragionamento non è legittimo l’accoglimento da parte del dirigente scolastico di richieste di differimento della presa di servizio finalizzate alla prosecuzione di altra attività lavorativa. Allo stesso non possono essere accolte richieste di aspettativa che trovino la propria giustificazione nella sussistenza di un precedente rapporto di impiego.

Questa precisazione è importante perché si ricollega all’applicazione di un istituto contrattuale che, per come è concepito, è suscettibile di interferire con il regime delle incompatibilità di legge.

Si tratta dell’aspettativa per motivi di lavoro in cui, per un anno scolastico e senza assegni, può essere collocato, a domanda, il dipendente che voglia realizzare l’esperienza di una diversa attività lavorativa o per superare un periodo di prova (art. 18, comma 3, CCNL comparto scuola del 16/11/2007).

La ratio di una simile previsione è duplice: in primo luogo si vuole andare incontro alle esigenze del dipendente offrendogli la possibilità di “testare” una nuova attività lavorativa – cui eventualmente dedicare la propria vita professionale – mantenendo la sicurezza del proprio posto di lavoro nelle more della scelta. In via mediata, si può individuare anche un vantaggio per l’amministrazione che beneficia dell’arricchimento professionale del proprio dipendente.

 

Ecco perché, alla luce di tali canoni interpretativi, il giudice contabile in sede di controllo di legittimità sugli atti amministrativi ha chiarito che l’aspettativa in parola presuppone, ai fini della sua valida concessione, l’esercizio di un’attività lavorativa nuova, ontologicamente difforme da quella svolta in via principale.

L’aspettativa per motivi di lavoro può essere concessa dunque solo nell’ambito di un rapporto di impiego già validamente costituito.

In questo caso l’operatività dell’istituto sospende il regime delle incompatibilità secondo quanto previsto dall’art. 18, comma 2, della legge 4 novembre 2010, n. 183. Diversamente, l’aspettativa in parola non può essere concessa se, al momento della sottoscrizione del contratto di assunzione, risulta essere in atto un altro rapporto di lavoro operando, in tal caso, il divieto di cui agli artt. 60 e ss., d.P.R. 3/1957 e la conseguenza della decadenza dal precedente rapporto di impiego dichiarata dal dirigente scolastico.

Analogo ragionamento va fatto con riferimento all’istituto del differimento della presa di servizio che, in presenza di un giustificato motivo (es. assenza per malattia che deve essere certificata), impedisce la decadenza dalla nomina in ruolo ed ha altresì l’effetto di traslare al momento dell’effettiva costituzione del rapporto di lavoro la decorrenza degli effetti economici derivante dalla nomina stessa (artt. 436, co. 4, e 560, d.lgs. n. 297/94). Sul tema si è di recente pronunciata la giurisprudenza di legittimità affermando il principio per cui l’art. 436 del d.lgs. n. 297 del 1994, nel prevedere la decadenza dalla nomina per colui che, pur avendola accettata, non assume servizio senza giustificato motivo entro il termine stabilito, attribuisce alla Pubblica Amministrazione il potere di valutare la sussistenza o meno del giustificato motivo e non attribuisce, quindi, un diritto incondizionato al differimento della presa di servizio, atteso che il termine in questione è imposto a tutela di interessi pubblici, che possono divenire recessivi rispetto a quelli dell’assunto solo qualora quest’ultimo faccia valere ragioni gravi ed obiettive che impediscano la condotta doverosa.

 

Anche la giurisprudenza contabile si è pronunciata sul tema del differimento della presa di servizio chiarendo che l’applicazione di tale istituto non può mai servire a regolarizzare rapporti di lavoro in corso al momento dell’assunzione operando, in questo caso, il divieto di cumulo di cui si è detto. Diversamente opinando, l’istituto diverrebbe strumento per aggirare il regime delle incompatibilità di legge con conseguente invalidità del successivo contratto di assunzione.

In altri termini, lo strumento per superare la situazione di incompatibilità dovuta alla sussistenza di un precedente rapporto di impiego al momento dell’assunzione non può essere rappresentato né dall’istituto dell’aspettativa né da quello del differimento della presa di servizio quanto piuttosto dall’atto di diffida del dirigente destinato a far cessare, a penadi decadenza, la situazione di incompatibilità.

La presente viene inviata anche agli AA.TT. per l’eventuale supporto alle istituzioni Scolastiche di rispettiva competenza.

 

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