da ItaliaOggi Marco Nobilio È ufficiale: i docenti lavoreranno gratis dal 1° settembre all’inizio delle lezioni. È scritto, nero su bianco, nel decreto Sostegni-bis ed è esplicitato nella relazione tecnica del provvedimento. La norma che lo prevede è l’articolo 58, comma 1, lettera c) del decreto-legge 73/2021, Sostegni-bis, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 123 del 25 maggio scorso. Il testo della disposizione utilizza una terminologia comprensibile solo agli addetti ai lavori. Prevede che le attività di recupero che i docenti saranno tenuti ad assicurare dal 1° settembre fino all’inizio delle lezioni avverranno «quale attività ordinaria».
L’arcano è svelato nella relazione tecnica: « Le attività di recupero sono remunerate 50 euro all’ora e quelle aggiuntive di insegnamento frontale non ordinamentale 35 euro all’ora ai sensi del vigente contratto collettivo nazionale di lavoro (tabella 5 allegata al contratto collettivo nazionale di lavoro 29/11/2007, mantenuta in vigore ai sensi dell’articolo 1 del contratto collettivo nazionale di lavoro 19/4/18). Il contratto collettivo nazionale di lavoro», recita la relazione tecnica, «remunera tali attività poiché, di solito, si aggiungono a quelle d’obbligo, giacché sono svolte per lo più in concomitanza con le lezioni».
Dunque, il governo mostra di tenere bene a mente che le attività ulteriori, rispetto all’obbligazione contrattuale, dovrebbero essere retribuite. Ma nel passaggio successivo viene in chiaro qual è lo stratagemma escogitato dall’esecutivo per pretendere dai docenti che lavorino in più senza essere retribuiti. « Nei giorni di sospensione delle lezioni, tuttavia» si legge nella relazione tecnica «il recupero, l’integrazione e il rafforzamento degli apprendimenti non si aggiungono alle normali attività didattiche. Perciò la disposizione in esame ha l’effetto di azzerare il compenso previsto per le attività in questione, se svolte nel periodo tra il primo settembre 2021 e l’inizio delle lezioni». Dunque, la ratio del dispositivo, è quella di «azzerare» il diritto alla retribuzione.
Secondo l’estensore della norma, il diritto allo straordinario (di questo si tratta) non insorgerebbe per effetto dell’erogazione di una prestazione ulteriore rispetto a quella prevista dal contratto. Il discrimine consisterebbe nella diversità dei termini entro i quali la medesima venga erogata. Se il docente lavora in più nel periodo delle lezioni, va pagato; se lavora in più nel periodo in cui le lezioni sono sospese, non va pagato.
La soluzione escogitata per non far emergere questa situazione consisterebbe nel fatto che la norma si limita a riqualificare il lavoro straordinario alla stregua di attività ordinaria. E poi vi sarebbe una parte, per così dire, nascosta, che è quella contenuta nella relazione tecnica, pure utilizzabile anche in sede di giudizio. Se le cose stanno così, la norma presenta molteplici profili di illegittimità. In primo luogo, va chiarito che il legislatore non può sottrarsi al rispetto delle disposizioni contenute nella Costituzione. In primo luogo, quelle contenute nell’articolo 36, laddove viene fissato il cosiddetto principio di giusta retribuzione: se aumenta la quantità della prestazione, deve aumentare anche la quantità della retribuzione.
Poi vanno considerati i principi generali dell’ordinamento lavoristico. Primo fra tutti il divieto di rinunzie e transazioni (art. 2113 c.c.). Infine, il principio della contrattualizzazione della prestazione e della retribuzione. Principio non derogabile dalle norme di legge per effetto delle disposizioni contenute nell’articolo 40, comma 1, del decreto legislativo 165/2001. Norma che si colloca in rapporto di specialità rispetto al decreto-legge 73/2021. Infine, va considerato anche l’orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, secondo il quale, i diritti e gli obblighi dei dipendenti pubblici discendono dai contratti collettivi nazionali di comparto.
Resta da vedere se, in sede di conversione in legge, il parlamento si accorgerà di questo vulnus e vi porrà rimedio con emendamenti ad hoc. Sebbene l’ambito di applicazione delle nuove disposizioni risulti limitato nell’entità e nel tempo, va fatto rilevare che, se la norma rimarrà così com’è, si tratterebbe di un precedente inquietante in cui un datore di lavoro (peraltro pubblico) avrebbe modificato in peggio le condizioni di lavoro di circa 700 mila lavoratori, in costanza di contratto, negando apertamente il diritto alla retribuzione dello straordinario.