Troppe criticità emergono dall’Ipotesi di Contratto integrativo per la Didattica Digitale Integrata, sottoscritto dal Ministero dell’istruzione e una parte delle organizzazioni sindacali del comparto scuola. Davvero troppe, tanto è vero che i firmatari sono stati già costretti, nel giro di un mese, ad integrare quello scarno testo con due ulteriori documenti di specificazioni e chiarimenti.
Il Decreto n. 22 dell’8 aprile scorso (in piena emergenza sanitaria), poi convertito in legge il 6 giugno, disponeva la necessità di garantire il diritto allo studio attraverso la didattica a distanza. Era evidente da quel testo che, in caso di persistenza della situazione di crisi, sarebbe stata necessaria l’apertura di una fase contrattuale e negoziale con le rappresentanze dei lavoratori.
Tuttavia, il Ministero è andato avanti da solo, con un atto amministrativo (le Linee guida di agosto), che rimuoveva dall’orizzonte non solo l’acronimo DAD (divenuto ormai insopportabile all’opinione pubblica), ma anche – sostanzialmente – introducendo la DDI, o Didattica Digitale Integrata, che non rappresenta solo un cambio di nome, bensì un cambio di passo. Vi si legge infatti: “ogni istituzione scolastica del Sistema nazionale di istruzione e formazione definisce le modalità di realizzazione della didattica digitale integrata, in un equilibrato bilanciamento tra attività sincrone e asincrone. La didattica digitale integrata, intesa come metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento, è rivolta a tutti gli studenti della scuola secondaria di II grado, come modalità didattica complementare che integra la tradizionale esperienza di scuola in presenza”. Questa disposizione, così come è presentata, non tiene conto delle specifiche condizioni territoriali: ogni istituzione scolastica – si dice – a prescindere dal grado di allarme sanitario territorialmente circoscrivibile. Ne deriva che anche in quei territori non investiti da particolari misure di restrizione, si dovrà attivare in qualche forma una didattica digitale integrata…
Ma torniamo al concetto di Didattica Digitale Integrata. Bisogna mettere bene a fuoco l’intenzione interna a questo passaggio da DAD a DDI. Non è solo una mutazione semiotica, ma ci troviamo di fronte a uno slittamento semantico. Che la didattica sia mediata dalle tecnologie digitali è un dato di fatto. Adesso diventa un dato di diritto. Senza alcun contributo originale, si accettano conclusioni e teorie elaborate in sedi altre rispetto al panorama scolastico italiano.
Sono anni, infatti, che istituzioni internazionali, con interessi fondamentalmente economici, premono affinché l’apprendimento diventi sempre più digitale senza peraltro fornire argomentazioni psico-pedagogiche rilevanti. Le scuole sono dunque obbligate ad assumere modalità di lavoro miste, che prevedano la dimensione della digitalizzazione didattica come dato ontologico.
Probabilmente l’intenzione è giusta, ed è come cogliere la circostanza epidemiologica per accompagnare un passaggio storico ineludibile. Ma forse sarebbe stato necessario un dibattito parlamentare, perché troppi sono gli elementi delicati nella strutturazione ordinamentale di questo genere. Occorre proteggere un fondamento costituzionale come la libertà d’insegnamento… – Per approfondire l’argomento, continua a leggere la più ampia news pubblicata il 30 novembre 2020, cliccando su uilscuola.it (fonte notizia)