Una scheda con alcune informazioni sulla condizione di fragilità.
In una situazione ordinaria l’inidoneità alla mansione può anche giustificare un recesso del datore di lavoro dal contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione.
Le norme speciali per fronteggiare la pandemia da COVID-19 sono intervenute dal lato della tutela del lavoro rendendo temporaneamente illegittimi i licenziamenti e dal lato della salute prevedendo una forma di tutela preventiva per quei lavoratori c. d. “fragili”.
La condizione di “fragilità” accertata dal medico competente, assimilabile a una inidoneità temporanea allo svolgimento della prestazione, non potendo causare un licenziamento, impone al datore di lavoro la ricerca di soluzioni organizzative conservative del posto di lavoro, ricordando che questo tipo di “accomodamenti ragionevoli” ha una definizione normativa precisa: l’articolo 3, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 216/2003.
A nostro avviso, la ricerca di questi “accomodamenti ragionevoli” deve procedere dalla soluzione più favorevole a quella meno favorevole, in questo ordine:
1. Lavoro da remoto. Quando possibile, al lavoratore c.d. “fragile” deve essere consentito di svolgere la prestazione lavorativa in remoto. Tale ipotesi è stata più volte richiamata in questo periodo nelle norme che hanno definito le modalità di contrasto alla diffusione del virus.
2. Trasferimento ad altra mansione. Se è impossibile lo svolgimento della prestazione lavorativa da remoto, il datore di lavoro valuterà il trasferimento temporaneo in un contesto nel quale sia possibile continuare a svolgere la propria attività senza contatto con colleghi e studenti. È del tutto evidente che una situazione del genere potrebbe portare ad un demansionamento, nel caso in cui le mansioni non siano equivalenti (art. 2103, comma 6, c.c.).
Situazioni di questo genere richiederanno un forte esercizio di controllo e tutela da parte delle RSA/RSU anche con l’intervento e l’aiuto dei funzionari sindacali del territorio; non è escluso inoltre che venga richiesta dal datore di lavoro, per evitare contenzioso, la firma di un accordo in sede protetta (spazio nel quale il funzionario sindacale chiamato a svolgere il ruolo di conciliatore potrà muoversi per vincolare l’accordo alla stretta temporaneità e al mantenimento dei livelli retributivi).
3. Soluzioni di origine contrattuale. Se entrambe le strade precedenti non sono agibili, per la tutela dei dipendenti di datori di lavoro privati sono accessibili solamente soluzioni conservative di origine contrattuale sospensive della prestazione: permessi, ferie e aspettativa (retribuita o meno).
In alternativa, il lavoratore certificato “fragile” potrà impugnare la valutazione del medico per respingere la certificazione di inabilità temporanea alla prestazione lavorativa, qualora il lavoratore la ritenesse lesiva delle proprie prerogative.
Covid-19 e quarantena: gestione delle certificazioni di malattia
L’articolo 26, comma 1 del d.l. 18/2020 prevede l’equiparazione della quarantena alla malattia.
Ai lavoratori dei settori privati della conoscenza posti in quarantena con sorveglianza attiva o permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva (articolo 1, comma 2, lettere h) e i) d.l. 6/20) o in quarantena precauzionale (articolo 1, comma 2, lettere d) ed e), d.l. 19/20) vengono riconosciute quindi l’indennità economica prevista dall’INPS, la contribuzione figurativa e l’integrazione retributiva a carico del datore di lavoro prevista dai CCNL di cui siamo firmatari.
A differenza degli ordinari periodi di malattia, il periodo di quarantena previsto dalla norma citata precedentemente non cumula per la determinazione del superamento del periodo di comporto.
Fino al 31 luglio, per i lavoratori a cui è riconosciuta la disabilità il periodo di assenza dal servizio era inoltre equiparato a degenza ospedaliera.
Queste tutele si applicano solamente ai lavoratori dipendenti e vengono esclusi autonomi e parasubordinati.