Continuano ad arrivare pronunciamenti da parte della giustizia amministrativa che confermano l’orientamento oramai diventato consolidato e negativo verso i diplomati magistrali.
Una vicenda che ha lasciato il segno nell’ambito dei contenziosi scolastici dove un ribaltamento giurisprudenziale ha sbarrato la strada a migliaia di precari.
L’ultima sentenza in commento è la 7201 del 2020 del 26 giugno del TAR del Lazio.
Il caso riguarda l’impugnazione del d.m. 32572015 di aggiornamento delle graduatorie, nella parte in cui non prevedeva l’inclusione dei diplomati magistrali ante 2001/2002 e con i successivi motivi aggiunti hanno impugnato gli ulteriori decreti di aggiornamento.
Si conferma l’orientamento dell’Adunanza Plenaria, il DM non è idoneo all’insegnamento
“( ….) il ricorso deve essere dichiarato infondato, secondo quanto affermato dalle decisioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.11 del 20 dicembre 2017 e nn. 4 e 5 del 2019, i cui principi si ritengono pienamente condivisibili. In tali decisioni è stato infatti chiarito non soltanto che la pretesa dei diplomati magistrali con titolo conseguito entro il 2001/2002 di essere inseriti in GAE avrebbe dovuto essere fatta tempestivamente valere con presentazione di istanza di inserimento in GAE e comunque mediante impugnazione, al più tardi, del DM del 16 marzo 2007, ma che il diploma magistrale conseguito nel 2001/2002 non è da ritenersi idoneo all’insegnamento”.
La disciplina nazionale è conforme a quella europea
Per i giudici “non emerge, d’altro canto, un contrasto tra la disciplina europea e la normativa nazionale sul tema, posto che la disciplina dei titoli abilitanti rimane di competenza dell’ordinamento nazionale e posto che i requisiti necessari per lo svolgimento dell’attività di insegnante e la loro subordinazione a un titolo abilitante non appaiono contrastare con puntuali disposizione di diritto europeo. Sul punto, (cfr. parere Cons. St. n. 963 del 2019) deve osservarsi che i sistemi generali di riconoscimento intraeuropeo dei diplomi non regolano le procedure di selezione e reclutamento, limitandosi al più a imporre il riconoscimento delle qualifiche ottenute in uno Stato membro per consentire agli interessati di candidarsi ad un posto di lavoro in un altro Stato, nel rispetto delle procedure di selezione e di reclutamento vigenti (Cons. giust. Ue, VIII, 17.12.2009, n. 586; sul tema si veda anche Cons. Stato, 6868/2018). In conclusione, il ricorso va in parte dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse e in parte va respinto, con compensazione delle spese di giudizio stante i contrasti di giurisprudenza alla data di instaurazione del giudizio”.