Vince la causa a una passo dalla pensione. Ancora una sentenza a favore dei precari della scuola.
Anzi, stavolta si tratta di una sentenza che, ribaltando in appello la decisione di primo grado del Tribunale, dà ragione a una insegnante che pur essendo già di ruolo dal 2008, aveva fatto causa nel 2012 per ottenere le differenze retributive maturate nel lunghissimo periodo di preruolo, chiedendo l’applicazione del Principio di non Discriminazione di cui alla Clausola 4 dell’Accordo quadro comunitario sul lavoro a tempo determinato
Il dispositivo. Il Tribunale di Modena, in primo grado, aveva respinto il ricorso presentato dalla professoressa unitamente ad altri cinque colleghi, ma lei, Lia Pacchioni, a un passo ormai dalla pensione e sostenuta dal suo legale di Bologna, Maria Grazia Pinardi, già protagonista di altre analoghe sentenze vittoriose, ha deciso di non arrendersi, proponendo in solitaria il ricorso in appello presso la Corte di secondo grado del capoluogo emiliano. Che ora le ha dato ragione con la sentenza n. 547/2019 pubblicata il 12 giugno scorso (RG n. 19/2018) che ordina all’amministrazione di fare immediatamente i calcoli e di corrispondere alla docente le differenze retributive tra il maturato e il percepito, considerando illegittimo il comportamento del datore di lavoro scolastico che retribuisce i propri dipendenti assunti a tempo determinato per anni e decenni con lo stipendio di prima nomina basando questa discriminazione sul presupposto che solo i docenti di ruolo hanno il diritto di vedersi riconosciuta e valorizzata l’anzianità di servizio. La Corte le ha pure riconosciuto la prescrizione decennale e non quinquennale dei diritti maturati e difesi in giudizio, pertanto potrà percepire gli arretrati per il doppio degli anni rispetto a quanto succede in questi casi, e dunque fin dal 2002.
La storia. Dopo 35 anni da precaria e 121 supplenze, Lia Pacchioni era passata di ruolo nel 2008 con l’assunzione in un istituto tecnico a Modena quale insegnante di scienze. E dire che a soli 20 anni aveva ottenuto il diploma magistrale e subito dopo con una supplenza nella scuola elementare “De Amicis”. Era il 1973, e certo non immaginava che il percorso per ottenere il posto a tempo indeterminato sarebbe stato così arduo e neppure che una sentenza, proprio alla vigilia della pensione, le avrebbe restituito parte di qualla ferita dell’anima in cui si sostanzia il lavopro precario, specie nei casi di precariato di lungo corso. “Sono passata di ruolo per un pelo considerato che l’attuale Governo ha previsto tagli di cattedre per il prossimo anno – ci disse nel 2008 – e finchè sarò in forze continuerò ad insegnare. Mi fa rabbia, però, se penso che non godrò di molti dei vantaggi economici riconosciuti a chi ha la mia stessa anzianità di servizio”. Ferita nell’anima, non si perde d’animo. Così nel 2016 decide, assieme ad altri cinque colleghi di ruolo, di far causa allo Stato per per l’accertamento della illegittima apposizione del termine da parte della scuola nei contratti di supplenza scolastica con essi stipulati fino alla immissione in ruolo, per il risarcimento dei danni patiti, per l’accertamento del diritto alla integrale ricostruzione della carriera con riferimento a tutti gli anni di servizio prestati e per la percezione delle differenze retributive maturate con riferimento a tale ricostruzione e all’adeguamento stipendiale relativo.
Quell’illegittima discriminazione. Il ricorso punta sul razionale della citata Clausola 4 secondo cui per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. I criteri del periodo di anzianità di servizio relative a particolari condizioni di lavoro devono essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati ti da motivazioni oggettive. Peraltro, si ribadisce nella sentenza che la Corte di Giustizia di Lussemburgo ha spiegato che la nozione di “ragioni oggettive” non autorizza a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato e il fatto che quest’ultima sia prevista da una norma interna generale e astratta, quale una legge o un contratto collettivo, non autorizza alcunchè.
I giudici di Bologna ribadiscono poi che la Corte di Cassazione con la sentenza numero 22558 del 7 novembre 2016 ha stabilito: a) che la Clausola 4 esclude in generale e in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificato nei confronti del lavoratore a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno; b) che il principio di non discriminazione non può essere applicato in senso restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzione non può impedire a un lavoratore a tempo determinato a richiedere il beneficio di una condizione di impiego riservata ai suoi lavoratori a tempo determinato; c) che non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista una norma generale astratta di legge o di contratto, né rileva la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione tra impiego di ruolo e non di ruolo perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguono le modalità di lavoro e che attengono alla natura e alle caratteristiche delle mansioni espletate.
I contratti di lavoro sono illegittimi? Ne consegue che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare ai lavoratori a tempo determinato condizioni di impiego che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato comparabili, sussiste, quindi a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto giacché detto obbligo è attuazione della disciplina del rapporto a termine, del principio della Parità di trattamento e del divieto di discriminazion, che costituiscono norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela. Scrivono i giudici che le previsioni dei contratti collettivi di lavoro nel comparto scuola succedutesi nel tempo sotto il profilo in esame si pongono in contrasto con la Direttiva sopracitata e con la giurisprudenza della Corte di Giustizia sopra ricostruita. Infatti tali previsioni sono fondate sul principio sancito dall’articolo 526 del decreto legislativo numero 297 del 1994, secondo cui “al personale docente ed educativo non di ruolo spetta il trattamento economico iniziale previsto per il corrispondente personale docente di ruolo” senza alcun riconoscimento dell’anzianità di servizio. Gli stessi contratti collettivi di lavoro, invece prevedono per il personale assunto a tempo determinato un trattamento economico differenziato per posizioni stipendiali, e stabiliscono che il passaggio da una posizione all’altra avviene alla maturazione di una determinata anzianità di servizio senza demerito. “Tale disparità di trattamento sotto il profilo retributivo – scrivono i giudici – potrebbe ritenersi giustificata soltanto ove fosse dimostrata l’esistenza di ragioni oggettive, che tuttavia secondo quanto precisato dalla giurisprudenza e Corti di Giustizia devono essere strettamente attinenti alle modalità di svolgimento della prestazione e non possono consistere nel carattere temporaneo del rapporto di lavoro, nel fatto che il datore di lavoro sia una Pubblica Amministrazione, nella circostanza che il trattamento deteriore sia previsto da una norma interna generale e astratta, quale una legge oppure un contratto collettivo, nella sola diversità delle modalità di reclutamento”. La Corte d’Appello di Bologna ha pure richiamato la sentenza Gavieiro Gavieiro secondo cui “qualora non possano procedere a un’interpretazione e a un’applicazione della normativa nazionale conformi alle prescrizioni del diritto dell’Unione, i giudici nazionali e gli organi dell’amministrazione hanno l’obbligo di applicare integralmente quest’ultimo e tutelare i diritti che esso attribuisce ai singoli, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno”.
Ma che arretrati sono quelli? Come si sa, i docenti precari dopo il superamento dell’anno di prova, successivo all’assunzione a tempo indeterminato, chiedono e ottengono, spesso dopo anni di peripezie e di pazienza, il riconoscimento del servizio pre-ruolo attraverso la richiesta di ricostruzione di carriera. Ma l’ottenimento di questo obiettivo, peraltro molto ambito dai docenti interessati, e capace di restituire parte della serenità e delle retribuzioni perse, può giustificare o addirittura escludere la discriminazione tra lavoratori precari e di ruolo, visto che spesso i docenti – a differeza della ricorrente Lia Pacchioni – si accontentano di questo traguardo godendosi i pochi arretrati che coprono il periodo che va dal superamento dell’anno di prova al giorno del decreto di ricostruzione? Anche su questo punto la sentenza di Bologna è esplicita e significativa: “Deve infine escludersi – conclude la Corte d’Appello – che la discriminazione possa essere negata per la circostanza che nel settore scolastico, al momento della definitiva assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato, il periodo di servizio pregresso venga riconosciuto ai fini della anzianità di servizio. La trasformazione del rapporto, infatti, oltre a essere sono eventuale, non è idonea a compensare la diversità di trattamento economico riferibile al periodo antecedente, giacché il riconoscimento dell’anzianità pre ruolo ai fini dell’aumento retributivo opera solo dopo l’immissione definitiva nell’organico e non comporta alcun recupero delle differenze retributive pregresse. Invero l’anzianità maturata nel corso di rapporti a termine riceve una certa valorizzazione soltanto dopo l’immissione in ruolo e solo con efficacia ex nunc dal momento della conferma in ruolo. Il Ministero, cioè, corrisponde soltanto eventuali arretrati maturati da tale momento fino alla ricostruzione di carriera”.