Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, a metà maggio, del DL 59 del 13 aprile 2017, il percorso disegnato dalla Buona Scuola per gli aspiranti docenti di scuola secondaria assume fattezze sempre più concrete: dopo un concorso pubblico nazionale, indetto su base regionale o interregionale, un successivo percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente, ci sarà finalmente la procedura di accesso ai ruoli a tempo indeterminato.
L’atto legislativo ha, dunque, chiarito molti punti, ma non dipana del tutto questioni importanti, come l’acquisizione dei 24 crediti di area pedagogica e didattica considerati requisito per l’accesso al concorso iniziale. Abbiamo affrontato questo e altri nodi del provvedimento insieme a Emanuele Dettori, docente di linguistica greca all’Università “Tor Vergata” di Roma e coordinatore nello stesso ateneo delle precedenti procedure abilitanti, cioè TFA e PAS.
Professor Dettori, qual è in sintesi il suo giudizio sul nuovo sistema di formazione e reclutamento degli insegnanti di scuola secondaria?
“Sento di esprimere un giudizio globale positivo per almeno tre ordini di ragioni: il nuovo sistema collega formazione e reclutamento, prevede un percorso di tirocinio retribuito e non separa a priori e prematuramente la carriera universitaria da quella scolastica. Questo sistema delinea, insomma, un percorso di progressiva acquisizione di conoscenze e competenze professionali, prevedendo nel contempo una immissione nel mondo del lavoro meno precaria e, se ben si riflette, anche più precoce rispetto al passato. A chi nutrisse ancora dei dubbi sull’innegabile passo in avanti compiuto da questo atto legislativo consiglio di riconsiderare il panorama devastante che veniva prefigurato dal disegno di legge della cosiddetta “Buona scuola” (DL 2994), all’articolo 21 comma 2 lettera c”.
Allude alle famose lauree abilitanti? In effetti sono in molti a chiedersi che fine abbiano fatto, soprattutto perché prevedevano un accesso alla professione molto più snello rispetto agli attuali otto anni.
“Alludo ad esse, in generale, ma soprattutto a come erano ivi profilati questi due anni di corso di laurea. Sui loro molti lati negativi mi sono espresso in passato, e non vi ritorno qui. Tre anni postlaurea possono apparire tanti, ma sono anni anche di esercizio della professione e, a mio parere, sono congrui con la delicatezza e l’importanza della funzione (non con la relativa retribuzione, mi rendo conto…)”.
Il Decreto fissa a 24 crediti socio-psico-pedagogici il requisito per l’accesso al FIT, non sono poi così pochi.
“Conviene premettere che il DL 59 rimanda a successivo decreto l’individuazione dei settori scientifico-disciplinari da cui si attingerà per questi CFU. Sentirà affermare che la scelta di sostenere questi 24 CFU sarà il segno di riconoscimento dello studente veramente motivato a percorrere la carriera dell’insegnamento. Per come ho potuto seguire io la vicenda, ritengo che sia il risultato di un compromesso: chi ha perso la partita delle lauree abilitanti ha ‘ottenuto’ questi 24 CFU. Da questo dipende il loro status in fondo ‘inorganico’. Stanno però creando molti problemi, poiché ci si sta molto fermando su di essi (CRUI, CUN, Facoltà di Scienze della formazione, etc.), trascurando la riflessione sul resto. Comunque bisogna farci i conti, sono un male minore rispetto alla lauree abilitanti, e bisogna pensare serenamente a quali contenuti dar loro. Io auspico tre cose: 1) che i contenuti costituiscano una sorta di syllabus omogeneo possibilmente a livello nazionale (ricordiamoci che su di essi è basata la seconda prova scritta di accesso); 2) che siano pensati in modo da essere collegati, come una sorta di primo atto, al percorso di specializzazione del I anno TIF; 3) che si congegni il modo di disinnescare il rischio che per questi 24 CFU vengano offerti sul mercato ‘pacchetti’ scadenti. Sui contenuti non ho pregiudizi; stando però al punto di cui sopra, ovvero al loro collegamento con il percorso di specializzazione, ritengo che essi debbano prevedere didattica disciplinare. Per altro verso, penso ciò in coerenza a quanto dichiarato in audizione in commissione VII dal prof. Abate a nome del CUN, che, come si sa, è organo del Ministero rappresentativo dei settori scientifico disciplinari dell’Università. Il prof. Abate ha sostenuto che tra i 24 CFU deve essere prevista la didattica disciplinare”.
Sul Decreto (art. 5 comma 1) c’è scritto che i 24 crediti relativi alle discipline antropo-psico-pedagogiche e alle metodologie didattiche potranno essere “acquisiti in forma curricolare, aggiuntiva o extra curricolare”. Che cosa vuol dire questa triplice specificazione? Tutti i corsi di laurea che abbiano come sbocco l’insegnamento dovranno, dunque, prevederli o mutuarli da altri corsi di laurea?
“In forma curricolare significa all’interno dei 180 + 120 o dei 300 CFU necessari per la laurea magistrale; in forma aggiuntiva significa ancora entro il percorso di laurea ma in maniera aggiuntiva oltre i 300 CFU; extra curricolare significa come esami singoli, dopo la laurea. Riguardo alla seconda domanda, ho sentito pareri autorevoli per cui i corsi di laurea che nel loro ordinamento non hanno i settori scientifico-disciplinari che saranno indicati per i 24 CFU non saranno obbligati a inserirli, per cui gli studenti di quei corsi di laurea non potrebbero acquisirli in forma curricolare”.
Un altro tema da affrontare riguarda gli abilitati e i precari con 36 mesi di servizio. Come sarà gestita la fase transitoria, secondo lei?
“La disciplina transitoria è uno dei grossi problemi sulla strada dell’attuazione quanto prima efficace di questo formato. Ma non dipende dagli attuali legislatori. L’articolo 17 la disciplina in maniera abbastanza chiara; sono procedure difficili da illustrare in una intervista. Riguardano i già abilitati e i precari con 36 mesi di servizio (per le note ragioni). Il suo esaurimento e i suoi esiti dipendono molto dal calcolo del fabbisogno, e quindi è difficile farne una valutazione”.
Pensa che ci sarà qualche sanatoria?
“Adesso come adesso non la vedo all’orizzonte. La posizione attuale è quella di mettere in atto al più presto questa nuova procedura, prima nella fase transitoria e poi a regime. Del resto, se si operasse una sanatoria, a mio parere l’affidabilità della politica sulle politiche di reclutamento nella scuola subirebbe un ulteriore crollo di fiducia”.
Passando a parlare delle prove, basterà l’orale ad accertare la congrua preparazione del candidato su tutte le materie che andrà ad insegnare, visto che il primo scritto ne affronterà soltanto una a scelta? Le sembra poi equilibrato che esso sia messo sullo stesso piano della seconda prova, destinata a valutare l’acquisizione di conoscenze sulla base di soli 24 CFU?
“Credo di sapere che chi ha la responsabilità del testo del decreto non ha recepito una proposta che prevedeva due scritti disciplinari almeno per classi di concorso che prevedono molte discipline, come la ex-A52 o la ex-A51. Inoltre, ad esempio, ritengo che per la ex-A49 sarebbe stato opportuno prevedere sia la prova scritta di matematica sia quella di fisica. Penso, come lei, che, a questo stadio del percorso di formazione, la seconda prova scritta, quella sui 24 CFU, per intenderci, non dovrebbe essere messa sullo stesso piano di quella disciplinare: mi sembra forzato e prematuro”.
Così come è stato presentato, il percorso si immagina molto selettivo, poiché prevede un concorso pubblico nazionale in ingresso e diverse fasi intermedie prima dell’accesso al ruolo a tempo indeterminato. Pensa che sarà così?
“A mio parere il nuovo sistema sarà selettivo all’inizio, quasi oggettivamente per via dei numeri strettamente legati al fabbisogno. Se, in effetti, i tirocinanti anno per anno non saranno molti è facile prevedere un buon esito finale, sia per motivazione sia per pure ragioni statistiche”.
Parliamo delle attività previste per il primo anno del FIT. Ci si metterà finalmente d’accordo su che cosa significhi “didattica disciplinare”?
“Per rispondere a questo vorrei fare una premessa. È una peculiarità non so se solo italiana, ma certamente non scontata, quella del protagonismo del docente universitario nell’insegnamento didattico-disciplinare (in Germania, per esempio, è molto più importante, se non esclusivo, il ruolo del personale docente della scuola). Nella mia personale visione, le didattiche disciplinari nella formazione iniziale dovrebbero essere affidate a docenti di scuola selezionati, mentre i docenti universitari dovrebbero avere un ruolo determinante e insostituibile nella formazione in servizio. L’idea che prevale in questo momento a livello politico è che in Italia si debba rafforzare nelle Università lo statuto del docente universitario esperto nelle didattiche disciplinari. L’idea è lodevole e corrisponde a una visione ideale, ma non è ancora ben chiaro come possa realizzarsi. Comunque, senz’altro non si può ipotizzare un percorso solamente accademico per la formazione di docenti universitari di didattica disciplinare”.
Il Decreto individua ben tre figure di tutor (scolastico, universitario o accademico, coordinatore) per ovviare forse a questo problema, ma non le sembrano un po’ troppe?
“A questo proposito esprimo qualche timore su possibili sovrapposizioni conflittuali tra tutor universitario o accademico e coordinatore. Forse nella nuova istituzione del tutor universitario o accademico c’è alla base la suddetta idea di figure di docente universitario rafforzate nelle loro competenze di didattica disciplinare”.
All’art. 4, comma 3, si dice che “sono organizzate specifiche attività formative riservate a docenti di ruolo in servizio che consentano di integrare la loro preparazione al fine di poter svolgere insegnamenti anche in classi disciplinari affini”. Non le sembra che questo mortifichi la professionalità di un docente anziché valorizzarla? Sembra un po’ in contraddizione con lo spirito del provvedimento…
“Ha colto in pieno. Mi permetto di essere drastico, almeno finché non mi si farà capire meglio: è un comma mistificatorio che nasconde la volontà di risparmiare sull’utilizzo del personale in maniera non consona con le sue stesse competenze culturali. Con i risultati che possiamo immaginarci sulle competenze nozionali e critiche dei discenti”.
Che idea si è fatto sulla progressione economica del compenso previsto per i tirocinanti?
“Chiaramente mi sembra un bel passo in avanti rispetto alle precedenti esperienze di formazione iniziale. A questo riguardo bisognerebbe leggersi la relazione tecnica che accompagna il decreto: se non sono cambiate le cose lì si dice che il primo anno si potranno prendere sui 400 euro mensili lordi, il secondo anno questa cifra potrà essere incrementata da supplenze brevi, per poi arrivare, al terzo anno, ai 34400 euro lordi che sono lo stipendio previsto da un incarico annuale”.
Alle università, invece, quanto sarà corrisposto per l’erogazione del corso di specializzazione del I anno FIT?
“Se ben ricordo, nella medesima relazione si parla di un costo standard per corsista di 485 euro”.
Pensa che bastino? Con i TFA i ricavi erano nettamente superiori.
“Ci sono due tipi di discorsi da fare. Il primo riguarda la valutazione che ogni Università farà tra l’aspetto economico, certamente ‘debole’, e quello deontologico, per quanto non obbligatorio, del percorso formativo. Il secondo che vi potrà essere l’apporto del percorso pensato per l’insegnamento alle scuole paritarie, il cui costo è a totale carico del corsista”.
Nella sua università si è già messa in moto la macchina operativa per l’avvio delle attività? Le università lavoreranno in maniera autonoma o si consorzieranno a livello regionale?
“Le università non si potranno mettere in moto fino alla pubblicazione di almeno alcuni degli ulteriori 5 decreti e del regolamento previsti dal DL 59. Il consorzio a livello regionale è auspicabile, se non obbligatorio, considerando la previsione di numeri limitati. In questo consorzio dovranno essere rispettate le vocazioni disciplinari dei diversi Atenei”.
L’ultimo punto che volevo affrontare riguarda le paritarie: le sembra un passo avanti la ‘separazione delle carriere’ o no?
“L’art. 15 affronta il problema della ‘abilitazione’ per l’insegnamento nelle scuole paritarie. Su questo fronte il decreto prevede una procedura migliorativa rispetto alla legge delega: al comma 3 si dice che l’accesso sarà regolato attraverso un test di accesso organizzato dalle Università (oltre a essere condizionato dal calcolo del fabbisogno per le scuole paritarie). Questo corregge la genericità del dettato della legge, che non proponeva alcun criterio di selezione”.
Fonte: http://www.orizzontescuola.it/concorso-2018-dettori-conseguimento-24-cfu-selezionera-docenti-migliori-analisi-del-sistema-reclutamento/