Bandi ogni due anni, poi tre anni di specializzazione e la cattedra. Nel frattempo una fase transitoria per dare il ruolo a supplenti in seconda fascia e neolaureati senza abilitazione. Un colpo alla Buona scuola. Più vicina la legge per l’infanzia 0-6 anni: una materna unica e investimenti su asili e personale
ROMA – La fase transitoria della ministra Valeria Fedeli, quella che consentirà di assumere un certo numero di precari lasciati per strada o in garage dalla Buona scuola originale, trova il suo battesimo nelle commissioni di Camera e Senato. Il Parlamento dice sì alle proposte della ministra e così si possono avviare i concorsi light, su misura di precario, di cui Repubblica aveva parlato due settimane fa. I sindacati, favorevoli al nuovo corso di Fedeli chiamata a riavvicinare il mondo della scuola al centrosinistra, preferiscono definirlo un “piano pluriennale” necessario per stabilizzare il personale della scuola e arginare la supplentite, così acuta quest’anno.
Ecco, la quinta delega uscita dalle due commissioni Istruzione di Camera e Senato – anche questa sotto forma di parere – riguarda la formazione iniziale e il reclutamento degli insegnanti della scuola secondaria. Dal prossimo settembre si aprirà una fase che vedrà concorsi ogni due anni (e non più tre) i cui vincitori saranno immessi in un percorso triennale di formazione (Fit) che prevede un primo anno di specializzazione (con ottenimento di un diploma), un secondo anno di ingresso in classe e un terzo con l’assunzione in ruolo su posti vacanti, dopo il “superamento delle valutazioni intermedie e finali”. Si capovolgono i termini della Buona scuola: il concorso diventa l’inizio di un percorso di assunzione che sarà perfezionato nei tre anni successivi.
I CONCORSI LIGHT – Il nuovo sistema, si legge nei pareri, ha l’obiettivo “di attrarre e preparare alla professione docente persone giovani e competenti nelle loro discipline, eliminando il fenomeno dei lunghi periodi di precariato pre-ruolo”. Il primo concorso con la nuova formula dovrebbe essere avviato nel 2018. Potranno parteciparvi neolaureati che abbiano conseguito almeno 24 crediti formativi in discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche (al Senato si parla di “laurea magistrale”), e anche questa è una forte sterzata rispetto alla ‘Buona scuola’ che prevedeva l’accesso al bando solo agli abilitati. I vincitori cominceranno il loro percorso formativo retribuito nel 2019-2020.
Nel frattempo è prevista una fase transitoria con “procedure di valutazione e selezione che garantiscano di coprire, in modo regolare e prestabilito, con docenti di ruolo, i posti vacanti e disponibili, di assicurare la continuità didattica, di tener conto di esperienza e titoli di chi già insegna”. Nelle proposte individuate da Camera e Senato, su cui poi dovrà esprimersi definitivamente il Governo, da una parte si continuerà ad assorbire le graduatorie ad esaurimento (il 50 per cento dei posti liberi è riservato agli iscritti in Gae, dove oggi ci sono di nuovo 88mila persone in attesa grazie alle sentenze dei tribunali favorevoli ai diplomati magistrali), quindi si assumeranno i vincitori del concorso del 2016 derogando al limite del 10 per cento dei posti messi a bando (soluzione che garantirà l’assunzione ai cosiddetti “‘idonei fantasma”, che hanno superato l’ultimo concorso ma sono oltre la quota del 10 per cento prevista per chi è solo idoneo e non vincitore).
In questa “fase transitoria” entreranno anche i docenti abilitati che oggi sono nelle graduatorie di seconda fascia, spesso in cattedra da molti anni e formati con percorsi universitari: si prevede che “siano inseriti entro l’anno scolastico 2017-18 in una speciale graduatoria regionale di merito” sulla base dei titoli posseduti e del servizio effettuata e dovranno sottostare a una prova orale di “natura didattico-metodologica”. Il primo concorso light, ecco. Questi docenti saranno ammessi direttamente al terzo anno del nuovo percorso di ingresso nella scuola: una sorta di anno di prova rafforzato.
I SUPPLENTI CON TRE ANNI DI SERVIZIO – Ancora, la fase transitoria proposta dalle Camere prevede che i docenti non abilitati “che abbiano svolto almeno tre anni di servizio” siano ammessi a partecipare a “speciali sessioni concorsuali loro riservate” che si svolgeranno in contemporanea al nuovo concorso del 2018 (un solo scritto invece di due): bando “medium light”, questo. I vincitori saranno ammessi al percorso di formazione direttamente al secondo anno, con esonero dalla parte formativa e dei crediti avendo già insegnato per almeno 36 mesi. Soddisfazione, alla fine, di una larga platea di precari, e anche del Movimento 5 Stelle.
INFANZIA 0-6 ANNI – Via libera con osservazioni e condizioni, da Senato e Camera, alla delega sul cosiddetto “sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni”. La legge 0-6, un’appendice della ‘Buona scuola’ che riorganizza i primi sei anni di formazione dei bambini nella scuola materna. Il parere espresso ieri – ed è la sesta delega su otto licenziata dal Parlamento – chiarisce che per diventare educatore negli asili nido occorre la laurea triennale, mentre ribadisce che per insegnare nella scuola dell’infanzia serve conseguire la laurea magistrale. Ma se un docente di scuola dell’infanzia vuole dedicarsi ai piccoli dei nidi al di sotto dei tre anni deve acquisire altri 60 crediti formativi universitari. Il parere chiede inoltre al governo di riconoscere, ai fini dell’inserimento nelle graduatorie provinciali dei precari, il servizio prestato nelle sezioni primavera che accolgono i piccoli di età compresa fra 24 e 36 mesi. Inoltre, il fondo da 670 milioni di euro che finanzierà questa nuova riforma dell’infanzia andrà direttamente nelle casse di comuni, senza intermediazione delle regioni. E la ripartizione avverrà in maniera inversamente proporzionale alla presenza di sezioni (classi) di materna statale sul territorio: meno sezioni e più fondi statali.
“La rivoluzione culturale sta nel fatto”, spiega Francesca Puglisi, relatrice in commissione al Senato, “che l’intero percorso da zero a sei anni diventa di istruzione e formazione. In precedenza il segmento da zero a tre anni rientrava nel welfare. Con 300 milioni”, precisa la responsabile scuola del Pd, “il Governo Prodi fece balzare dal 9 al 17 per cento la presenza di nidi e micro-nidi nei comuni italiani. Con 670 milioni si dovrebbe arrivare al 33 per cento”. L’obiettivo è anche quello di estendere la scuola dell’infanzia a tutti i bambini dai tre ai sei anni (attualmente siamo al 94 per cento) e di creare le condizioni per estendere la presenza di servizi per l’infanzia al 75 per cento dei comuni. Alla base della riforma un percorso di continuità educativa per le bambine e i bambini costituito dai servizi 0-3 (nidi, micronidi e spazi gioco), dalle sezioni primavera (24-36 mesi) e dalle scuole dell’infanzia statali