Il dipendente pubblico si sta invecchiando: per la prima volta, dal dopoguerra, l’età media sfiora i 50 anni (49,8) e nel 2020 toccherà i 53,6 anni.
Da un approfondimento del rapporto annuale della Ragioneria Generale dello Stato, si comprende che i motivi di questa situazione sono da associare alle riforme pensionistiche che hanno progressivamente alzato la quota dei requisiti minimi. Fino alla “botta di grazia” della Monti-Fornero: la stessa RgS parla di “efficacia delle politiche di contenimento del turn over introdotte per la generalità dei comparti a partire dal 2008”.
Il conto annuale degli anni 2013 e 2014, spiegano gli esperti economici dello Stato, “nonostante il vistoso rallentamento delle cessazioni, dovuto all’innalzamento dei requisiti pensionistici, ha visto rispettivamente 74.000 e circa 88.000 cessazioni. Nel 2015 si sono invece avute 118.000 cessazioni, che tuttavia restano ancora al di sotto del livello precedente al 2012, quando oscillavano fra le 122.000 e le 156.000 unità annue”.
Se si escludono le forze armate, dove si continua a lasciare il lavoro in media attorno ai 57 anni, nei comparti pubblici per le classi anagrafiche “più elevate si concentra ora un numero molto elevato di dipendenti; nella classe 65-67 verrebbero a trovarsi 232.000 persone”.
Tuttavia, qui sta la buona notizia, costoro “lasceranno quasi integralmente il servizio in meno di tre anni e altre 603.000 in quella immediatamente precedente (60-64)”.
Quindi, entro il 2020 saranno 835mila i dipendenti pubblici ad andare in pensione. E forse ancora di più, se si pensa che sono diverse le spinte che vorrebbero estendere la formula Ape Social, non limitandola alle maestre con alunni fino a 6 anni. In tal caso, raggiungere un milione di pensionamenti di dipendenti pubblici in tre anni non sarebbe un’utopia.
Quindi, si sta andando verso un mega turn over. Lo sa bene la Funzione Pubblica, che non a caso sta studiando modalità “innovative” di turn over, da inserire in quello che dovrebbe essere un nuovo statuto della Pubblica Amministrazione.
Anche per la Ragioneria Generale di Viale XX Settembre “è indubbio che nei prossimi anni ci sarà una progressiva accelerazione delle uscite dal mondo del lavoro pubblico. Un così massiccio esodo di personale richiede un governo del processo e una nuova visione del funzionamento dell’apparato pubblico”.
La stessa introduzione dei contratti di formazione iniziale nella Scuola, dove dal 2020 il vincitore di concorso percepirà appena 400 euro lordi per 10 mesi durante il primo anno di lavoro, sembra andare in questa direzione, meno “indolore” per le casse dello Stato. Ma anche conveniente per chi entra a far parte del comparto pubblico, pur se con una gavetta prolungata.
Il provvedimento – leggiamo dall’Ansa – sarà al centro dell’incontro con i sindacati, che in coro chiedono di dare attuazione all’accordo del 30 novembre.
Secondo la segretaria generale degli statali della Cgil, Serena Sorrentino, occorre “una straordinaria operazione di occupazione”.
L’alternativa per il responsabile settori pubblici del sindacato di Corso d’Italia, Michele Gentile, è “una riduzione della funzionalità della P.a”.
Semplice è la ricetta per uscire dallo stallo, suggerisce il segretario confederale della Uil Antonio Foccillo: “sbloccare il turnover“, senza però grosse modifiche rispetto all’attuale modello di ricambio.
Il problema esiste, turn over a parte, anche per la Ragioneria dello Stato. Secondo la quale “il prolungato mantenimento di politiche molto rigide, soprattutto se destinate a comparti di dimensioni contenute, è suscettibile di porre problemi di sostenibilità dei servizi erogati. Alla fine del 2015 oltre 385.000 dipendenti hanno già superato la soglia dei 60 anni, mentre altri 610.000 sono compresi nella classe di età 55 – 59 anni. Il forte invecchiamento del pubblico impiego potrebbe rendere non sempre agevolmente percorribile l’affiancamento fra neo assunti e dipendenti espert
fonte: www.latecnicadellascuola.it