“Ora in molti spiegano che Renzi ha perso perché è diventato antipatico, o perché è passato dalla bicicletta al volo di stato. Il referendum non è una gara a chi è più simpatico o più austero: quando il tema è generale investe il peso e la caratura delle forze politiche e dei leader. Ti accorgi che un personaggio non ti sta più simpatico quando il suo film ti delude, quando il suo libro si rivela solo un’operazione commerciale, quando nel suo ristorante cominci a mangiar male pagando troppo. Un Renzi impettito e ingrassato e impegnato nei tagli di nastro poteva resistere anni e anni, se avesse risposto alle domande fondamentali che salgono dal profondo della società. La cosa è diventata insopportabile per molti perché nel triennio renziano la loro condizione è rimasta uguale o è peggiorata. Da molto tempo batto qui e altrove sulla cecità della politica riguardo allo schiacciamento generazionale della società. I meccanismi fondamentali tutelano all’ingrosso chi già lavora e chi ha lavorato (leggi, concertazione, dialettica sindacale, ammortizzatori sociali). Il ruolo degli ordini e delle corporazioni blinda notai, avvocati, magistrati, docenti universitari, ingegneri, architetti, giornalisti e manager, permettendo loro di lavorare e guadagnare in progressione fino a ben oltre la soglia di pensione dei comuni mortali. La paura di perdere il posto negli anni della crisi ha ulteriormente bloccato il mercato del lavoro, ermeticamente sigillato rispetto ai giovani. Rispetto a questo il più giovane premier della storia repubblicana e il suo governo non hanno fatto praticamente nulla di realmente riformatore. E questo stato di cose ha vanificato anche le misure più ‘smart’ di Renzi: come può gioire alla lunga per gli 80 euro mensili un lavoratore dipendente che ha in casa un figlio disoccupato? Secondo tutte le analisi il voto giovanile ha affossato il Sì referendario: fosse stato per gli ultra sessantenni avrebbe vinto, scendendo fino ai quarantenni avrebbe perso onorevolmente. La frustrazione delle nuove generazioni è la stessa degli insegnanti. Se quella per il lavoro ai giovani è la grande riforma che Renzi non ha fatto, quella della scuola è la riforma che il premier ha voluto e fatto riuscendo nel capolavoro di buttarci quattro miliardi e di scontentare la gran parte dei professori, compresi i nuovi assunti. Un harakiri politico e elettorale, sapendo che gli insegnanti erano la base più ampia del bacino elettorale Pd. Come in un 68 rovesciato giovani e insegnanti hanno abbattuto il governo, ma stanno peggio di prima. Chiunque guiderà l’Italia, grillini centrodestra o Renzi stesso, non potrà che partire da qui”.
Fonte: www.oggiscuola.it