FONTE: La Tecnica della Scuola
di Dino Caudullo
Qualche riflessione a caldo, dopo la pubblicazione della tanto attesa sentenza della Corte Costituzionale in materia di reiterazione dei contratti a termine nel settore scolastico.
La sentenza 187/2016 depositata il 20 luglio scorso non rende affatto giustizia, a nostro parere, alle migliaia di precari della scuola, sia docenti che Ata, che per anni, alcuni anche per più di dieci, sono stati soggiogati dal perverso meccanismo, ben collaudato nel settore scolastico, del ripetersi ininterrotto di contratti a tempo determinato.
La Consulta conclude l’articolata motivazione della sua decisione con un inciso quantomai eloquente, ma altrettanto discutibile “lo Stato italiano si è reso responsabile della violazione del diritto dell’U.E.”, ma il conseguente “illecito è stato cancellato con la previsione di adeguati ristori al personale interessato”.
In buona sostanza, sulla scorta della sentenza della Corte di Giustizia UE del 27.11.2014, la Corte Costituzionale ha sì riconosciuto che lo Stato italiano ha violato il diritto comunitario ma, con un intervento legislativo di tipo “riparatorio”, ha sostanzialmente posto rimedio all’illecito.
Vediamo qual è l’illecito sanzionato, ed il rimedio riparatorio intervenuto.
Non hanno dubbi i Giudici costituzionali nel confermare quanto già rilevato dalla Corte comunitaria, ossia che se è vero che le esigenze di continuità didattica che inducono ad assunzioni temporanee di dipendenti nel comparto scuola possono costituire una ragione obiettiva, che giustifica sia la durata determinata dei contratti conclusi con il personale supplente, sia il rinnovo di tali contratti in funzione delle esigenze di continuità didattica, tuttavia è anche vero che il rinnovo di contratti a tempo determinato al fine di soddisfare queste esigenze abbia avuto, di fatto, un carattere non provvisorio, ma, al contrario, permanente e durevole, e come tale illegittimo.
Di qui la rilevata violazione del diritto comunitario da parte del Legislatore italiano con la conseguente illegittimità dell’art. 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124.
Tuttavia lo Stato italiano, a parere della Corte costituzionale, e prima ancora della Commissione U.E. che nei mesi scorsi ha archiviato senza sanzioni la procedura di infrazione aperta nei confronti del nostro Paese, ha posto rimedio al problema con l’approvazione della legge 107/2015.
Con la sentenza Mascolo, la Corte di Giustizia in effetti aveva dato atto che la normativa comunitaria in materia non prevede misure sanzionatorie specifiche, rimettendone l’individuazione alle autorità nazionali e limitandosi a definirne i caratteri essenziali (dissuasività, proporzionalità, effettività).
L’intervento della legge 107/2015 si pone quindi in linea con i caratteri delineati dai Giudici comunitari, nel senso che le misure dalla stessa introdotte sono state ritenute idonee quanto a dissuasività, proporzionalità ed effettività.
Per la Consulta, in particolare, le misure in questione, oltre a svolgere la funzione tipica preventiva-punitiva delle sanzioni, hanno natura riparatoria dell’illecito determinandone la cancellazione.
Secondo la sentenza 187/2016, sono risultati fondamentali per la risoluzione del problema i seguenti interventi: 1) la previsione del tetto massimo di 36 mesi per la durata dei contratti a tempo determinato, con la previsione di un fondo per il pagamento degli eventuali risarcimenti dovuti; 2) ribadire la cadenza triennale dei concorsi pubblici per l’accesso ai ruoli del personale; 3) l’avvio del piano straordinario di assunzioni; 4) la conferma dell’accesso ai ruoli anche mediante scorrimento delle graduatorie ad esaurimento.
Si è in presenza quindi, a parere della Corte costituzionale, di una pluralità delle misure autorizzate dalla normativa comunitaria, e l’applicazione anche di una sola di esse è sufficiente a rispondere positivamente ai rilevi mossi dalla Corte di Giustizia.
Esclusa quindi la possibilità di applicare la sanzione della conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, prendendo atto del principio del concorso pubblico, si è ritenuta sufficiente, per superare l’illecito, una disciplina che garantisca serie chances di stabilizzazione del rapporto e dalla combinazione dei vari interventi effettuati dalla legge 107 emerge, a parere della Consulta, l’esistenza delle misure rispondenti ai requisiti richiesti dalla Corte di giustizia.
Invero, l’introduzione di un termine effettivo di durata dei contratti a tempo determinato, il cui rispetto è garantito dal risarcimento del danno, configura quella sanzione dissuasiva che la normativa comunitaria ritiene indispensabile.
Per il futuro quindi, i contratti a tempo determinato non potranno avere durata superiore a 36 mesi ed in caso di violazione di detto termine spetterà il risarcimento del danno (ed a tale scopo è stato previsto un apposito fondo).
Ma per le situazioni pregresse?
Per il passato, ossia per tutte le situazioni anteriori all’entrata in vigore della legge 107, la Corte costituzionale distingue tra personale docente e personale Ata.
Per i docenti, il Legislatore ha scelto la via della stabilizzazione con il piano straordinario di assunzioni, volto a garantire all’intera massa di docenti precari la possibilità di fruire di un accesso privilegiato al pubblico impiego fino al totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, permettendo loro di ottenere la stabilizzazione grazie o a meri automatismi (le graduatorie) ovvero a selezioni blande (concorsi riservati).
Questo meccanismo, a parere della Corte, attribuisce ai docenti precari serie e indiscutibili chances di immissione in ruolo.
Si tratterebbe di una soluzione addirittura più lungimirante rispetto a quella del risarcimento, che avrebbe lasciato il sistema scolastico nell’attuale incertezza organizzativa e il personale in uno stato di provvisorietà perenne; scelta che peraltro richiede uno sforzo organizzativo e finanziario estremamente impegnativo e che comporta un’attuazione del principio basilare dell’accesso al pubblico impiego mediante concorso pubblico.
Per il personale ATA, invece, sebbene non sia stato previsto alcun piano straordinario di assunzione, è però stata prevista la misura ordinaria del risarcimento del danno in caso di superamento del limite massimo di 36 mesi di durata dei contratti a termine.
La Corte quindi ha concluso nel senso di ritenere che lo Stato italiano si è reso responsabile della violazione del diritto dell’U.E., ma anche che il conseguente illecito è stato “cancellato” con la previsione di adeguati ristori al personale interessato.
Non resta a questo punto che attendere le decisioni dei Giudici di merito chiamati ad applicare i predetti principi enunciati dalla Consulta che, a ben vedere, hanno decisamente deluso le speranze di migliaia di precari.