FONTE: La Tecnica della Scuola
Per i precari della scuola la lunga attesa non è terminata: la Corte Costituzionale ha deciso di prendersi ulteriore tempo sulla questione dell’abuso di supplenze.
Secondo i cronisti delle agenzie di stampa, ai giudici della Consulta non sarebbero bastati i 10 mesi di slittamento della sentenza, già prevista nell’estate del 2015.
Risulterebbero “necessari – scrive l’Ansa – ulteriori approfondimenti sul caso e sulla relativa documentazione” per “valutare la legittimità delle norme contenute nella legge 124/1999 sulle supplenze anche alla luce di quanto deciso dalla Corte di Giustizia Europea”, ovvero che oltre i 36 mesi su cattedra libera – quindi con contratto sino al 31 agosto – dovrebbe scattare l’immissione in ruolo.
“La Corte – continua l’Ansa – ha iniziato a vagliare la questione nella camera di consiglio di ieri pomeriggio (martedì 17 maggio ndr) ma non ha esaurito l’esame, ritenendo utile prendere ancora un po’ di tempo prima di decidere. La decisione finale è quindi slittata”.
La vicenda, ricorda ancora l’agenzia di stampa nazionale, riguarda in maniera tangente anche la riforma della Buona scuola, la 107/2015, più volte evocata anche ieri durante l’udienza, sebbene la norma non sia in discussione di fronte alla Corte Costituzionale. Il primo a richiamarla ieri in udienza è stato lo stesso giudice relatore, Giancarlo Coraggio, ricordando che sono stati 86mila i docenti stabilizzati a seguito della sua entrata in vigore.
Sono due, sostanzialmente, le posizioni che si sono fronteggiate: quella dei legali dei ricorrenti, secondo i quali è stato commesso un “abuso” che contrasta con le direttive europee e che la riforma della buona scuola non sana; e quello dell’avvocatura dello Stato, che ha invece sostenuto che la riforma del 2015 mette in campo misure in grado di rispondere sia ai rilievi mossi in sede comunitaria sia ai problemi strutturali, attraverso i concorsi e un piano di progressiva stabilizzazione dei precari.
Una tesi sostenuta, sostanzialmente, anche dai legali che rappresentavano la Provincia di Trento, chiamata in causa per delle norme provinciali su cui poggia l’organizzazione del reclutamento degli insegnanti.