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IL DESTINO DEL DDL SCUOLA DIPENDE DAL RISULTATO DELLE REGIONALI

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Alla Camera e’ stato approvato l’articolo che attribuisce i super poteri ai presidi, e’ stata una votazione sofferta perché la maggioranza e’ stata risicata. Ma in soccorso e’ arrivata Forza Italia a confermare che la riforma e’ largamente condivisa anche dagli “amici” di FI.

Al Senato però c’è qualche rischio in più che potrebbe aumentare se il PD alle prossime regionali prenderebbe una “batosta”. A fare il quadro della situazione e’ Alessandra Ricciardi nell’articolo che segue. 

Alla fine l’articolo più contestato della riforma è stato approvato. Anche se con una maggioranza debole, 224 favorevoli, 100 contrari e 11 astenuti, contrassegnata dall’assenza della minoranza del Pd, EIPASS1l’articolo 9 del ddl scuola, l’articolo che riguarda le competenze del dirigente scolastico e attribuisce ai presidi il potere di chiamata diretta dei docenti dei propri istituti, ieri ha incassato il primo sì dalla camera. Quei poteri che hanno portato alla definizione della figura del superpreside, o preside sceriffo, e contro i quali docenti e sigle sindacali sono scesi in piazza lo scorso 5 maggio. Pronti a scendervi di nuovo, se al senato non ci saranno le modifiche auspicate e a cui il governo ha genericamentne aperto. Incassato il sì della camera al sistema di reclutamento dei docenti e alla nuova figura del dirigente scolastico, per il premier Matteo Renzi inizia ora la parte più difficile. Già perché il testo al senato avrà vita dura, con la spada di Damocle di una maggioranza risicata e nella quale l’assenza anche solo di un paio di parlamentari dem potrebbe creare grosse difficoltà. L’uscita dall’aula al momento del voto sui dirigenti di Stefano Fassina & company, le richieste da parte del deputato della minoranza interna di dimissioni del ministro Stefania Giannini, e non ultimo il riposizionamento (anche se parziale) di Forza Italia, che ha votato in difesa della chiamata diretta dei prof, sono il segnale del caos che potrebbe scatenartsi a Palazzo madama. Soprattutto se il governo dovesse decidere, per contingentare i tempi, di porre la fiducia. Ma la questione entrerà nel vivo agli inizi di giugno, bypassando la settimana politicamente critica delle elezioni regionali. La commissione istruzione potrebbe in verità lavorare anche la prossima settimana, nonostante la sospensione dei lavori decisa per consentire ai senatori di essere presenti sul territorio in occasione della sfida elettorale, per avviare la fase preparatoria sul ddl. La richieta è stata fatta dal Pd, che vorrebbe infatti portarsi avanti rispetto a una tabella di marcia strettissima (il via libera finale dalla camera è previsto per il 15 giugno), visto che ci sono altre audizioni da fare e soprattutto vanno definiti gli emendamenti che dovrebbero consentire di intervenire sul ridimensionamento del potere dei presidi nella chiamata diretta, sul ruolo del comitato di valutazione dei docenti, da cui genitore e studente potrebbero anche sparire, e poi sul contingente dei nuovi assunti. E se i poteri del dirigente sono la partita mediaticamente di maggiore impatto, la definizione di chi entra nel piano da 100 mila immissioni in ruolo è quella tecnicamente più delicata. Voler infatti, dicono da ambienti governativi, dare maggiori garanzie ai docenti della seconda fascia degli istituti potrebbe portare a dover rinviare al prossimo anno una parte delle assunzioni.

Intanto i sindacati che il 5 maggio hanno portato in piazza tra docenti e Ata 618 mila lavoratori -FlcCgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals e Gilda- sono pronti a un nuovo sciopero anche se non più per l’intera giornata ma scaglionato e per ore, se il governo non dovesse aprire il tavolo di confronto annunciato. Anche in questo caso il braccio di ferro si sposta a giugno.

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