La chiamano buona scuola, ma di buono non avrà nulla: più ore da lavorare e stipendi più bassi. Il titolo (la buona scuola n.d.r.) di tutto ciò è stato studiato ad arte dagli esperti in comunicazione di partito.
Provate, se ci riuscite, a toglierlo dalla testa degli italiani che non si tratta di buona scuola e poi magari scriveteci alla nostra casella mail. Ancora una volta, purtroppo, l’opinione pubblica ha abboccato ai tranelli del governo, cosa ancora più grave che vi hanno abboccato anche gli insegnanti, nessuno infatti ha mosso un dito per fermare questo scempio. Vediamo nel dettaglio cosa accadrà da qui a breve grazie ad un articolo di Carlo Forte che riportiamo qui di seguito.
La riforma della Buona scuola abbassa lo stipendio dei docenti. Ormai è certo: il nuovo sistema di calcolo degli scatti di anzianità servirà, prioritariamente, a risarcire, almeno in parte, i docenti collaboratori dei dirigenti scolastici. Che si sono visti sfilare sotto gli occhi l’indennità di mansioni superiori, cancellata con un colpo di spugna dalla Finanziaria 2013 (si veda l’articolo 14, comma 22 della legge 135/2012). Saranno loro, infatti, gli unici a maturare, più o meno automaticamente, il diritto ad incassare i gradoni dell’era Renzi. Tutti gli altri dovranno dire addio agli aumenti di stipendio certi a scadenze fisse. E dovranno accontentarsi di una sorta di lotteria, che premierà chi collezionerà incarichi, corsi di perfezionamento e master. Ma anche in questo caso gli aumenti andranno solo ad alcuni. Perché i nuovi gradoni, che scatteranno ogni tre anni, saranno corrisposti, comunque vadano le cose, a non più dei due terzi dei docenti. Se ne sono accorti i sindacati, che stanno valutando azioni di protesta unitarie. E se ne sono accorti anche i docenti, dopo aver letto il documento sulla Buona scuola diffuso dal governo.
Dall’esecutivo trapelano voci di possibili modifiche che dovrebbero reintrodurre gli scatti di anzianità, ma per una percentuale dell’ammontare complessivo dell’intero finanziamento del 20%-25%. Si tratta, dunque, di accorgimenti tecnici che non cambiano la sostanza del problema. E cioè che il governo intende abbassare gli importi delle retribuzioni di fatto dei docenti. L’attuale sistema, infatti, consente agli insegnanti di ottenere aumenti di stipendio da 150 a 200 euro, mediamente, ogni 7 anni. La nuova progressione di carriera, invece, nella migliore delle ipotesi, consentirà di recuperare circa la metà di quello che si ottiene oggi. E non sarà consentito a tutti. D’altra parte la situazione è più grave di quanto si potesse immaginare. Il contratto (e dunque gli stipendi) sono fermi dal 2009. E rimaneggiare al ribasso il sistema dei gradoni significa rendere strutturale l’attuale processo di impoverimento della categoria.
Ogni anno di servizio non valutato, infatti, fa perdere mediamente 1000 euro di retribuzione annua, con effetti anche sull’importo della pensione e della buonuscita. Per quanto riguarda gli stipendi, gli esiti sono immediatamente tangibili. Sulla pensione e sulla buonuscita le conseguenze si vedranno nel tempo. Ma un dato è certo: i lavoratori della scuola che andranno in pensione con il sistema contributivo andranno incontro ad una perdita di salario pari a non meno del 40%. Ciò vale solo se il governo non cambia le regole per il calcolo degli importi degli stipendi. Ma se si passa dai gradoni fissi e per tutti a quelli aleatori e solo per i due terzi della categoria, la situazione non può che peggiorare. Renzi, però, va avanti come un treno. Sebbene, almeno questa volta, la consultazione on line non abbia dato i risultati sperati.
I docenti, infatti, hanno reagito compattamente, ponendo in luce i gravi problemi di cui soffre la scuola. Tanto gravi da indurre la maggior parte dei dirigenti scolastici a battere cassa direttamente presso i genitori. La richiesta di contributi alle famiglie insieme alle iscrizioni è diventata ormai prassi. E a nulla è servito il monito del ministero che, tra note, avvisi e comunicati, non è riuscito a far cessare questa consuetudine. Segno evidente che la situazione è ormai diventata insostenibile. Resta il fatto, però, che i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni hanno fatto del merito la loro bandiera. Merito inteso in senso quantitativo. E cioè nel collegamento tra straordinario e compenso accessorio.
In buona sostanza, si è preferito deprezzare la prestazione ordinaria, utilizzando i fondi altrimenti destinati ad incrementi stipendiali, per finanziare lo straordinario.
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