I precari della scuola sono ad un passo dall’immissione in ruolo. La recente sentenza del tribunale di Napoli stabilisce un concetto chiaro: niente risarcimenti ma immissioni in ruolo. Fa il punto nell’articolo che segue ItaliaOggi.
La reiterazione dei contratti di supplenza oltre i 36 mesi, avvenuta prima del 13 maggio 2011, va sanzionata con la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Anche nella scuola. Prima di tale data, infatti, era ancora applicabile l’articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo 368/2001: la norma che dispone la stabilizzazione quando si superano i 36 mesi di supplenza.
Dopo il 13 maggio 2011, invece, con l’avvento del decreto legge 70/2011, la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, al superamento dei 36 mesi, è stata espressamente vietata. È questo il principio affermato dal giudice del lavoro di Napoli con una sentenza depositata il 21 gennaio scorso (r.g. 57536/11).
Con una pronuncia di ben 51 pagine, il giudice monocratico ha accolto il ricorso di una docente che aveva chiesto di essere immessa in ruolo per abuso di contratti a termine, derivante dal superamento del 36esimo mese di supplenza.
E ha condannato l’amministrazione a pagare 5500 euro di spese legali (+ Iva e cassa per gli avvocati) oltre che alla ricorrente, anche alle altre parti intervenute nel giudizio (in ordine di costituzione: Gilda-Unams, Flc Cgil e Cgil confederazione). In tutto, circa 28mila euro. La sentenza è la prima, in ordine di tempo, dopo la pronuncia della Corte di giustizia europea, con la quale è stata dichiarata illegittima la normativa che consente la reiterazione senza limite dei contratti di supplenza fino al 31 agosto. Ma il percorso argomentativo seguito dal giudice del lavoro di Napoli è autonomo e originale.
Secondo il giudice monocratico, infatti, ai fini del diritto alla stabilizzazione è irrilevante che il limite dei 36 mesi sia stato sforato con la successione di supplenze al 30 giugno (dunque su posti non vacanti). E soprattutto non sarebbe applicabile il criterio dei risarcimento del danno per equivalente (e cioè il risarcimento in denaro). Criterio fin qui adottato dalla prevalente giurisprudenza di merito, nella duplice accezione della corresponsione di un certo numero di mensilità oppure nel riconoscimento del diritto alla progressione di anzianità, arretrati compresi (cosiddetta ricostruzione di carriera).
La non applicabilità del risarcimento in denaro deriverebbe da una falla presente nella normativa. Che peraltro non indica nemmeno i criteri per definirne l’importo. Di qui la necessità della stabilizzazione quale unica sanzione applicabile. Inoltre, secondo il giudice del lavoro, la legge preclude la conversione del contratto. Ma non vieta la costituzione del rapporto a tempo indeterminato. In altre parole, la legge vieta solo la trasformazione del rapporto in essere (da supplenza a ruolo). Ma non la costituzione, ex novo, del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Di qui la percorribilità di tale ultima opzione. A nulla rilevando che la materia del reclutamento scolastico sia stata sottratta dal legislatore all’applicazione delle regole generali sul pubblico impiego. Perché «una cosa sono le procedure di reclutamento», si legge nella sentenza, «_altro la disciplina del contratto (dunque la disciplina del contratto a termine)».
Per argomentare la propria tesi il giudice monocratico ha citato, espressamente, diverse sentenze della Corte di cassazione. Che riguardano altri settori della pubblica amministrazione.