A riaprire la questione sulla valutazione degli alunni con DSA è la sentenza n.9261 del 1/09/2014 del Tar del Lazio, con la quale è stato accolto il ricorso dei genitori di un alunno minore che ricorrevano dinnanzi al giudice per violazione e falsa applicazione della Legge 170 del 2010, della Circolare Ministeriale del 27 dicembre 2012 e del D.P.R. n.122 del 2009, Regolamento sulla valutazione.
L’alunno non era stato riconosciuto dal consiglio di classe come disgrafico e disortografico, stante a quanto veniva al contrario riportato nei verbali dell’organo collegiale e avrebbe perciò ingiustamente patito una non ammissione alla classe successiva, per non aver il consiglio di classe tenuto conto delle difficoltà, rientranti appunto nei disturbi specifici di apprendimento, e per non aver predisposto in modo tempestivo un piano didattico personalizzato. Il TAR accoglieva il ricorso e annullava l’atto dello scrutinio finale con cui il Consiglio di classe non ammetteva alla classe successiva l’alunno.
Uno dei motivi della decisione di accoglimento del ricorso verteva proprio sulla valutazione degli alunni con DSA a cui il legislatore ha dato invece un’assoluta considerazione.
Il quadro normativo
Partendo dal D.P.R. n.122 del 2009, “Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni”, l’art.10 ha espressamente previsto che“per gli alunni con difficoltà specifiche di apprendimento (DSA) adeguatamente certificate, la valutazione e la verifica degli apprendimenti, comprese quelle effettuate in sede di esame conclusivo dei cicli, devono tenere conto delle specifiche situazioni soggettive di tali alunni; a tali fini, nello svolgimento dell’attività didattica e delle prove di esame, sono adottati, nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, gli strumenti metodologico-didattici compensativi e dispensativi ritenuti più idonei”.
La Legge 170 del 2010, che ha dettato nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico, tra le finalità dell’art.2 indica di “adottare forme di verifica e di valutazione adeguate alle necessità formative degli studenti; mentre al comma 4 dell’art.5 ha stabilito che “agli studenti con DSA sono garantite, durante il percorso di istruzione e di formazione scolastica e universitaria, adeguate forme di verifica e di valutazione, anche per quanto concerne gli esami di Stato e di ammissione all’università nonché gli esami universitari”.
Successivamente nel art.6 del D.M. del 12 luglio 2011, prot. 5669, cui sono allegate le Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento, è ribadito che “la valutazione scolastica, periodica e finale, degli alunni e degli studenti con DSA deve essere coerente con gli interventi pedagogici-didattici (…) Le Istituzioni scolastiche adottano modalità valutative che consentono all’alunno o allo studente con DSA di dimostrare effettivamente il livello di apprendimento raggiunto, mediante l’applicazione di misure che determinino le condizioni ottimali per l’espletamento della prestazione da valutare – relativamente ai tempi di effettuazione e alle modalità di strutturazione delle prove – riservando particolare attenzione alla padronanza dei contenuti disciplinari, a prescindere dagli aspetti legati all’abilità deficitaria”.
Le norme citate sono state poi seguite dalla Direttiva del 27 dicembre 2012 e dalla successiva Circolare ministeriale n.8 del 2013 in cui gli alunni con DSA sono stati identificati all’interno della categoria dei BES (Bisogni educativi speciali).
Prima del quadro normativo sopra riportato, il Miur aveva promosso iniziative in favore della dislessia; la Nota prot.4099/A/4 del 5 ottobre 2004 verte proprio sull’argomento, per gli alunni con tale disturbo essa presentava infatti un’elencazione di strumenti compensativi ritenuti essenziali e altri da adottarsi specificamente “valutando l’entità e il profilo delle difficoltà, in ogni singolo caso”, tra questi ultimi strumenti figurava una “valutazione delle prove scritte e orali con modalità che tengano conto del contenuto e della forma”. La Nota prot. 5744 del 2009 avente ad oggetto “Esami di Stato per studenti affetti da disturbi specifici di apprendimento-DSA”, in attesa che fosse emanata la Legge 170, raccomandava alle Commissioni degli esami conclusivi del primo e del secondo ciclo di adottare “nel quadro e nel rispetto delle regole generali che disciplinano la materia degli esami di Stato, ogni opportuna iniziativa per un appropriato svolgimento delle prove da parte degli studenti affetti da disturbi specifici di apprendimento”.
Valutazione e “specifiche situazioni soggettive”
Analizzando la Legge 170/2010 e il DPR 122/2009 non v’è dubbio che il legislatore abbia inteso tutelare il diritto allo studio degli alunni con DSA, prevedendo l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata, l’adozione di strumenti compensativi e misure dispensative, ex art.5 comma 2 della legge 170/2010 e una valutazione adeguata al caso trattato ovvero alle specifiche situazioni soggettive ai sensi dell’art.10 del sopracitato DPR; peraltro a sostegno di ciò sopraggiungono anche le Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento, allegate al Decreto Ministeriale 12 luglio del 2011 che richiamano appunto gli ausili previsti dalla Legge 170 (par.3).
Appare quindi illogico che un organo collegiale possa approvare criteri di valutazione univoci per tutti gli alunni perché tale prassi non solo contravviene alle norme suddette, ma si pone palesemente in contrasto con la personalizzazione degli apprendimenti, così come propugnata dalla Legge 53 del 2003 e da uno dei suoi decreti applicativi, il D. Lgs. n.59 del 2004.
Una didattica personalizzata, a dire delle Linee Guida sopra richiamate, “calibra l’offerta didattica, e le modalità relazionali, sulla specificità ed unicità a livello personale dei bisogni educativi che caratterizzano gli alunni della classe, considerando le differenze individuali soprattutto sotto il profilo qualitativo; si può favorire, così, l’accrescimento dei punti di forza di ciascun alunno, lo sviluppo consapevole delle sue preferenze e del suo talento. Nel rispetto degli obiettivi generali e specifici di apprendimento, la didattica personalizzata si sostanzia attraverso l’impiego di una varietà di metodologie e strategie didattiche tali da promuovere le potenzialità e il successo formativo in ogni alunno: l’uso dei mediatori didattici (schemi, mappe concettuali, etc.), l’attenzione agli stili di apprendimento, la calibrazione degli interventi sulla base dei livelli raggiunti, nell’ottica di promuovere un apprendimento significativo” (pagg.6-7).
Un collegio dei docenti, deliberando quindi su un livellamento dei criteri di valutazione, uguali per tutti gli alunni, realizzerebbe una menomazione a livello didattico-educativo per il significato intrinseco dato al concetto di personalizzazione che volge verso una considerazione dell’alunno nella sua unicità, ledendo oltretutto la salvaguardia di quelle “specifiche situazioni soggettive” ex art.10 del D.P.R. 122/2009 cui al contrario il legislatore ha dato particolare rilevanza.
L’adozione di strumenti compensativi e di misure dispensative senza una connessa valutazione, con criteri determinati ad hoc sulla base delle specificità del soggetto, risulta manchevole ed incompleta. Il TAR del Lazio ha accolto il ricorso perché, a suo dire, “il giudizio di valutazione uguale ed indifferenziato per tutte le posizioni è in aperto contrasto con la norma regolamentare sopra riportata, che invece impone di tener conto delle specifiche situazioni soggettive”
Differenziazione, diversificazione, adeguamento alle specifiche situazioni soggettive sono i principi cui ispirarsi perlomeno per adempiere a quanto affermato nell’art.1 dello stesso D.P.R. 122 “la valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa e attraverso l’individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi, al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo (…)” e che ci fanno comprendere come il legislatore, in fase di redazione del regolamento sulla valutazione non abbia affatto dimenticato tutte le iniziative in favore degli alunni con DSA e quanto ovviamente sancito nell’art.1 dell’antesignano D.P.R. n.275 del 1999; in quest’ultimo decreto è affermato che l’autonomia si sostanzia “nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana (…) e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire il loro successo formativo”.Nelle citate Linee Guida è detto che ciascun docente è corresponsabile del progetto formativo elaborato per l’alunno con DSA e “attua modalità di verifica e valutazione adeguate e coerenti” (pag.24).
Se è giusto quindi considerare il diritto allo studio di tutti gli alunni anche con specifiche situazioni, però è anche vero che questi casi sono da valutare e motivare puntigliosamente, perché come detto nelle citate Linee Guida l’adozione delle misure dispensative per gli alunni con DSA “dovrà essere sempre valutata sulla base dell’effettiva incidenza del disturbo sulle prestazioni richieste, in modo tale, comunque, da non differenziare, in ordine agli obiettivi, il percorso di apprendimento, dell’alunno o dello studente”.
Nell’art.5 della Legge 170/2010 si parla di monitoraggio di dette misure dispensative ai fini di valutarne l’efficacia e il raggiungimento degli obiettivi. E’ forse questa l’unica pecca di tanti PDP che vengono predisposti ma non sottoposti a valutazione in itinere, creando così spunti per contenziosi. Il consiglio di classe adotta quindi il piano didattico personalizzato ma è importante che quest’ultimo documento sia rivisto e rimodulato sulla base dei risultati ottenuti da ogni singolo docente, comprese la verifica e la valutazione.
Il TAR nella Sentenza n.9261 fa il punto sulla necessità di differenziare i criteri di valutazione degli alunni con DSA ope legis, ed è giusto così; agli organi collegiali spetta però deliberare criteri di valutazione aderenti alle specifiche situazioni soggettive e soprattutto individuare in modo tempestivo eventuali casi riconosciuti come tali, stante che l’art. 3 della Legge 170/2010 dispone che “è compito delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole dell’infanzia, attivare, previa apposita comunicazione alle famiglie interessate, interventi tempestivi, idonei ad individuare i casi sospetti di DSA degli studenti, sulla base dei protocolli regionali di cui all’articolo 7, comma 1. L’esito di tali attività non costituisce, comunque, una diagnosi di DSA”.
E sopra ogni cosa motivare sempre adeguatamente quanto rilevato sugli alunni correlandovi i dovuti interventi in modo da non cadere in difetto di illogicità e contraddittorietà.