L’Italia si sa in fatto di fantasia non ha pari. Nessun altro Paese al Mondo è più creativo di noi, anche in fatto di leggi. Il giochetto dell’organico di diritto diviso da quello di fatto è una trovata tutta italiana per fregare il precario e per consentire un sostanzioso risparmio allo Stato. Ma dopo la recente sentenza cosa accadrà?
In Europa non c’è differenza tra organico di diritto e organico di fatto. Ma il riferimento nel dispositivo della sentenza della Corte di giustizia europea alla necessità di coprire con contratti a tempo indeterminato e non più con supplenze i posti «vacanti e disponibili» di docenti e Ata è un riferimento molto chiaro che se da un alto non consentirà a tutti i precari di essere stabilizzati, dall’altro costringe il governo a riscrivere il piano di assunzioni della Buona scuola.
L’intervento si rende necessario per estendere le assunzioni ai precari che hanno avuto contratti reiterati per tre anni anche se non iscritti nelle Gae, le graduatorie ad esaurimento, a cui oggi fa riferimento la stabilizzazione varata dal governo.
E poi per inserire nel piano anche gli Ata, il personale ausiliario tecnico e amministrativo che non figura nella stabilizzazione dei 150 mila precari previsti dal governo con la BuonaScuola.
Ai vertici del ministero dell’istruzione, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, il dossier sulle modifiche legislative è aperto e riguarda anche gli indennizzi. Già, perché la Corte ha detto chiaramente che i posti stabilmente carenti di titolare vanno coperti con le assunzioni, che queste vanno fatte assicurando la regolarità dei concorsi e infine che il sistema deve dotarsi di un apparato sanzionatorio nei confronti di chi, in questo caso lo stesso stato-datore di lavoro, non rispetta le regole e abusa del ricorso al contratto a tempo determinato. Ora è facile prevedere, come del resto hanno già annunciato tutti i sindacati e le varie associazioni di categoria, che ci saranno ricorsi di massa, da parte di tutti coloro che hanno avuto un contratto di supplenza. Se sono assolutamente garantiti i contratti fino al 31 agosto di ogni anno sui posti vacanti e disponbili, stimati in 18 mila, ci sono quelli fino al termine delle lezioni- e si arriva a quota 100mila- che spingeranno ma anche la platea di quanti hanno lavorato continuativamente fino al taglio dei 90 mila posti operato con la riforma Gelmini-Tremonti e poi non più. Tutti proveranno a rientrare nella partita. I prossimi contratti a tempo, stando alla sentenza Ue, non potranno più essere disposti per aggirare il divieto di turn over, ma dovranno essere motivati da esigenze straordinarie: un titolare da sostituire perché malato, per esempio, oppure un progetto provvisorio a cui non può essere data continuità con i dipendenti in servizio.
Ricorsi sono attesi anche dall’università e dalla ricerca, che insieme alla scuola finora hanno goduto della deroga nei contratti a tempo determinato rispetto ai vincoli dei tre anni validi per gli altri comparti del pubblico impiego. Ora, se il governo vuole evitare centinaia di migliaia di ricorsi con sentenze di tipo diverso tra di loro, soprattutto sul fronte del risarcimento, deve intervenire per via legislativa. E il decreto legge sulle immissioni in ruolo atteso per il prossimo gennaio potrebbe essere già tardivo.