Un forte aumento degli iscritti in passato corrispondeva sempre o quasi ad un incremento di posti in organico, adesso così non è. Il governo Renzi fronte di un aumento di 33mila studenti ha deciso di tagliare 1.352 docenti.
Gli alunni in più, rispetto allo scorso anno, sono circa 33mila, mentre il numero dei docenti è destinato a diminuire di 1352 unità. Il taglio si rileva confrontando l’organico di diritto (e cioè il numero complessivo dei docenti che si prevede dovrebbero stare in cattedra dal 1° settembre) e il numero delle cattedre autorizzate dal ministero dell’istruzione in vista del prossimo anno: 602.191 contro 600.839.
La differenza è di 1352 posti, che costituiscono il taglio adottato da viale Trastevere, i cui effetti si vedranno dal 1° settembre prossimo.
Il problema avrebbe potuto trovare soluzione anticipando la costituzione delle cattedre necessarie, già nella fase dell’organico di diritto, senza attendere eventuali ampliamenti tardivi in sede di organico di fatto. Tale soluzione, peraltro, è già stata adottata negli anni scorsi. Ma quest’anno viale Trastevere ha fatto orecchie da mercante. Perché l’anticipazione avrebbe potuto determinare anche un aumento delle cattedre da destinare alle immissioni in ruolo. E in tempi di revisione della spesa i cordoni della borsa devono rimanere necessariamente serrati. Resta il fatto, però, che l’attuale organico di diritto non copre il reale fabbisogno. E ciò vuol dire, inevitabilmente, classi affollate nei grossi centri e pluriclassi nei piccoli comuni e nelle frazioni. Due fenomeni che mettono a rischio la sicurezza di alunni e docenti e la qualità del servizio.
A ciò va aggiunta la riduzione del numero degli incarichi di supplenza, che sarà pari al numero dei posti tagliati, e l’aumento delle situazioni di soprannumerarietà. Che espongono i docenti alla roulette russa del trasferimento d’ufficio e gli alunni ai problemi connessi all’interruzione della continuità didattica. Il fenomeno assume particolare rilievo nelle secondarie superiori, anche perché i tagli di quest’anno coincidono con l’entrata a regime della riforma Gelmini. Che ha comportato, a sua volta, una forte riduzione del numero delle cattedre proprio negli istituti superiori. Riduzione dovuta essenzialmente al taglio del numero delle ore di lezione. L’amministrazione centrale, peraltro, ha cercato di tamponare il problema ampliando la spendibilità delle abilitazioni dei docenti interessati, tramite le cosiddette tabelle di confluenza. Un sistema, cioè, che rende fungibili le abilitazioni dello stesso ambito disciplinare senza tenere conto della tipologia di scuola (cosiddette classi atipiche).
Ma tale soluzione ha alimentato un forte contenzioso, dal quale è emerso che la scelta dell’amministrazione non sarebbe legittima. Secondo la giurisprudenza, infatti, per adottare il criterio di fungibilità (e cioè per trattare gruppi di classi di concorso diverse come se fossero uguali, inserendo i docenti in un’unica graduatoria ai fini della mobilità d’ufficio) significa violare le disposizioni contenute nel decreto sulle classi di concorso. Che è sempre lo stesso, perché, sebbene la legge avesse previsto una riforma delle classi di concorso da adottare contestualmente all’entrata in vigore della riforma Gelmini, il ministero non ha ancora emanato il nuovo regolamento, accontentandosi di precedere con delle semplici note. E siccome le note non possono derogare il vecchio regolamento (attualmente in vigore) la giurisprudenza non ho potuto fare altro che prenderne atto, affermando il principio secondo il quale la fungibilità delle classi di concorso affini è giuridicamente inesistente. L’amministrazione, però, non ha pienamente recepito l’orientamento della giurisprudenza. E quindi, ai docenti delle superiori, che sono stati individuati soprannumerari tramite l’applicazione delle norme contestate dalla giurisprudenza, non resta altro da fare che compilare la domanda di trasferimento oppure ricorrere al giudice.