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RICOSTRUZIONE DI CARRIERA ATTENZIONE – SE SBAGLIATA CAUSA PROBLEMI AI FINI DELLA PENSIONE, MA PAGA IL DOCENTE O LA SCUOLA?

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Di ricostruzioni di carriera sbagliate ce ne son a iosa, se in un primo momento gli interessati attingono ad una somma maggiore rispetto a quella dovuta, prima della pensione però l’amministrazione rivede tutto il servizio e se i conti non tornano qualcuno deve pagare, ma chi? La scuola che l’ha sbagliata o il docente?

biennale ultimo1Se la scuola sbaglia la ricostruzione di carriera, e l’ufficio scolastico se ne accorge dopo 20 anni, il lavoratore non deve restiruire tutti i soldi indebitamente percepiti. Ma «solo» quelli degli ultimi 10 anni. E in ogni caso, i calcoli per determinare il dovuto vanno fatti sull’importo netto della retribuzione e non sul lordo.
Lo ha stabilito il giudice del lavoro di Potenza con una sentenza depositata il 17 dicembre scorso (r.g.311/2013). Il provvedimento, di cui si è avuta notizia solo in questi giorni, mette a nudo il problema dei ritardi cosmici accumulati dagli uffici scolastici nell’immissione dei provvedimenti di ricostruzione di carriera Vale a dire, i provvedimenti con i quali l’amministrazione scolastica riconosce al lavoratore i servizi prestati prima dell’immissione in ruolo. E sulla base di tale riconoscimento corrisponde all’interessato una maggiorazione dell’anzianità di servizio che si concreta in un aumento di stipendio e, talvolta, anche nella corresponsione degli arretrati. Peraltro, non sono rari casi di lavoratori che ottengono la ricostruzione di carriera definitiva a ridosso della pensione. In quella occasione vanno incontro alla sgradita sorpresa di dovere restituire all’amministrazione scolastica somme considerevoli. Ciò è dovuto al fatto che, in passato, proprio per attutire gli effetti della lentezza della macchina amministrativa, le scuole emettevano provvedimenti provvisori di ricostruzione di carriera. Che però venivano formati, per così dire, con riserva. Perchè il provvedimento definitivo era comunque di competenza del provveditorato.

A ciò va aggiunto il fatto che esiste un legge che consente all’amministrazione di evitare gli effetti della prescrizione. E quindi i provveditorati se la prendevano comoda. Resta il fatto, però, che esisteva comunque una disposizione che fissava in 480 giorni il termine entro cui l’amministrazione era tenuta a formare il provvedimento definitivo. E quindi, mettendo insieme le due cose, nulla lasciava intendere che il provveditorato potesse accumulare 20 o 30 anni di ritardo prima di concludere il procedimento.
Va detto subito, peraltro, che la questione riguarda solo i lavoratori della scuola immessi in ruolo prima del 2000. A partire da quella data, infatti, la competenza in materia di ricostruzione di carriera è passata ai dirigenti scolastici. E ciò ha ridotto fortemente i tempi di formazione dei provvedimenti. Resta il fatto, però, che i casi di ricostruzione tardiva sono migliaia. E la direzione provinciale del mineconomia, quando scopre che i lavoratori hanno percepito più del dovuto, non si fa scrupoli nell’inviare provvedimenti di ingiunzione con cifre che possono superare anche i 30mila euro. Ciò si traduce in un’inaspettata «cessione del quinto dello stipendio» che si cumula alla retrocessione dell’importo della retribuzione mensile nell’ordine di uno o due gradoni. Dunque, come sempre succede in questi casi, la parola è passata ai giudici del lavoro. Che si stanno gradualmente orientando verso una soluzione salomonica.

La decisione si discosta in parte dalla posizione ormai consolidata della Corte dei conti in riferimento ad una situazione analoga che, però, riguarda le pensioni. I giudici contabili sono concordi nel ritenere che, se l’amministrazione sbaglia l’importo degli emolumenti, il lavoratore, se passano molti anni, non deve restituire nulla. I giudici del lavoro, invece, ritengono che la restituzione va fatta. Ma solo per quanto riguarda gli emolumenti indebitamente percepiti negli ultimi 10 anni.
In buona sostanza, i giudici ordinari stanno semplicemente applicando la prescrizione decennale ai crediti vantati dall’amministrazione. In ciò derogando una legge speciale che, per contro, dispone che in questi casi la prescrizione non debba scattare mai. Quanto alla sentenza del 17 dicembre, va segnalato, inoltre, che il
giudice ha censurato la direzione territoriale del mineconomia affermando che l’importo da restituire, in ogni caso, va calcolato al netto delle imposte e non sul lordo.

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