La sanzione della sospensione dal servizio fino a 10 giorni, infatti, non è prevista per i docenti dall’ordinamento scolastico. Che reca invece la sospensione dall’insegnamento fino ad un mese. E siccome il decreto Brunetta, nel definire in generale la competenza dei dirigenti, prevede che essa non possa eccedere l’irrogazione di sospensioni «dal servizio fino a 10 giorni», quando si tratta di docenti, il dirigente non può andare oltre la censura.
Pertanto, se l’infrazione è più grave di quelle sanzionabili fino alla censura, il dirigente scolastico non può fare altro che trasmettere gli atti all’ufficio per i provvedimenti disciplinari territorialmente competente. Lo ha stabilito la Corte d’appello di Torino con una sentenza depositata il 7 novembre scorso (n.1079) con la quale ha capovolto l’esito di una sentenza emessa dal Tribunale della stessa città il 10.9.2012 (sentenza n.2818/12). Il collegio ha ritenuto di non condividere l’interpretazione ad ottata dal ministero dell’istruzione con la circolare 88/2010. Secondo la quale, il dirigente scolastico e l’ufficio per i provvedimenti disciplinari avrebbero entrambi competenza ai fini dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari applicabili a seguito dell’accertamento di infrazioni connotate da gravità.
Fermo restando, però, che la sanzione in concreto applicabile dal dirigente scolastico non può eccedere i 10 giorni. Tesi, questa, che non è stata ritenuta percorribile dal giudice. Perché il decreto Brunetta fa espresso riferimento alla sanzione edittale astrattamente prevista, lasciando impregiudicata la piena vigenza dell’art. 498 del testo unico. Che, per contro, non prevede la sanzione della sospensione fino a 10 giorni. Sanzione, questa, prevista nel contratto di lavoro solo nei confronti del personale Ata. In buona sostanza, dunque, la Corte d’appello, in linea con il costante orientamento della giurisprudenza, ha conformato il suo giudizio ai principi di tipicità e tassatività della sanzione. Secondo i quali, per punire un lavoratore, è necessario che la sanzione sia espressamente prevista da una norma di legge o di contratto. E ciò vale sia per quanto riguarda l’esplicitazione del collegamento tra il comportamento antidoveroso e l’applicazione della sanzione, sia per quanto riguarda l’individuazione dell’autorità datoriale competente ad infliggerla e il procedimento da seguire al fine di garantire il diritto di difesa. In più, siccome le norme punitive sono norme speciali per definizione e, come tal i, sono insuscettibili di interpretazione analogica, fino a quando l’ordinamento non prevedrà esplicitamente la sanzione della sospensione dal servizio (che è cosa diversa dalla sospensione dall’insegnamento) anche per i docenti, i dirigenti non avranno competenza in tale materia.
La sentenza si inquadra in un vero e proprio filone giurisprudenziale, inaugurato con l’entrata in vigore del decreto Brunetta. Filone caratterizzato da una lunga serie di sentenze di condanna dell’amministrazione soprattutto per il mancato rispetto delle procedure. Le soccombenze vanno dal mancato rispetto dei termini (tra le tante, si veda l’ordinanza ex art.700 c.p.c. del Tribunale di Benevento del 2.5.2012) all’omessa notizia all’incolpato della trasmissione degli atti all’ufficio per i provvedimenti disciplinari (Tribunale di Cuneo, sentenza 7.3.2012, n. 43) e all’omissione dell’instaurazione del contradditorio (Tribunale di Cosenza, sentenza 1098/2012) in particolare per quanto riguarda la contestazione degli addebiti (Tribunale di Lagonegro, sentenza 16.01.2013, n.19). Il fenomeno ha assunto dimensioni preoccupanti. Perché il contenzioso sulle sanzioni disciplinari, dopo la cancellazione degli organi stragiudiziali di composizione di questo genere di controversie (conciliazione negoziale o collegiale e ricorsi ai consigli di disciplina) si è interamente spostato in sede giudiziale. Fatta salva l’ipotesi residuale della conciliazione prevista dal codice di procedura civile (si veda l’interpello 11/2012 del ministero del lavoro).
Ciò ha contribuito ad ingolfare ulteriormente il processo del lavoro e rischia di gravare le casse dello stato di oneri importanti dovuti ai costi delle soccombenze. Recuperabili solo in parte con i giudizi di rivalsa davanti alla Corte dei conti. Il giudice contabile, infatti, può mettere le mani nelle tasche dei dirigenti inadempienti solo nei casi di dolo o colpa grave. A ciò va aggiunto il fatto che i dirigenti non possono annullare le sanzioni in autotutela (si veda la nota prot. 189 del 1° febbraio 2011 emanata dall’ufficio IV). E quindi, quando le cose si mettono male, l’Avvocatura non può suggerire tale espediente ai dirigenti per invocare la cessata materia del contendere che, talvolta, consente di evitare la condanna alle spese. Sempre che il giudice non ritenga di decidere comunque sul regolamento delle spese seguendo il criterio della soccombenza virtuale addossando, comunque, le spese all’amministrazione soccombente.