Ma il testo è generico. Non si comprende quali saranno i docenti individuati perché c’è un “minestrone” di ambiti: esiti Invalsi, disabilità, immigrazione, omofobia, innovazione tecnologica, alternanza scuola lavoro e tanto altro. Per capirne di più bisognerà leggere il decreto attuativo. Massimo Di Menna, segretario generale della Uil Scuola: il legislatore non ha annullato alcuna norma in materia, né tantomeno definito il numero di ore di formazione, quindi le attività extra rimangono quelle stabilite dal Ccnl. Dove non c’è traccia di corsi di aggiornamento obbligatori. E i 10 milioni stanziati vanno spesi bene, utilizzando docenti esperti e ‘reti di scuola’.
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Quello sulla formazione obbligatoria degli insegnanti è uno degli emendamenti più controversi e contestati del decreto Istruzione, convertito in legge dal Senato il 7 novembre: nell’articolo 16 del testo emendato è stato stabilito che “al fine di migliorare il rendimento della didattica, con particolare riferimento alle zone in cui è maggiore il rischio socio-educativo, e potenziare le capacità organizzative del personale scolastico, è autorizzata per l’anno 2014 la spesa di euro 10 milioni, oltre alle risorse previste nell’ambito di finanziamenti di programmi europei e internazionali, per attività di formazione e aggiornamento obbligatori del personale scolastico”. Vengono poi elencati gli ambiti che riguarderanno le formazione dei docenti: il “rafforzamento delle conoscenze e delle competenze di ciascun alunno, necessarie ad aumentare l’attesa di successo formativo, anche attraverso la diffusione di innovazioni didattiche e metodologiche, e per migliorare gli esiti nelle valutazioni nazionali svolte” dall’Invalsi; il potenziamento dei “processi di integrazione a favore di alunni con disabilità e bisogni educativi speciali”, ma anche “delle competenze nelle aree ad alto rischio socio-educativo e a forte concentrazione di immigrati, rafforzando in particolare le competenze relative all’integrazione scolastica, alla didattica interculturale, al bilinguismo e all’italiano come lingua”.
L’aggiornamento professionale toccherà anche le “competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere”, oltre che le “capacità nella gestione e programmazione dei sistemi scolastici”, nonché l’incremento “delle competenze relativamente ai processi di digitalizzazione e di innovazione tecnologica”. Viene indicata, infine, anche la necessità di implementare “le competenze per favorire i percorsi di alternanza scuola-lavoro, anche attraverso periodi di formazione presso enti pubblici e imprese”.
Insomma, gli ambiti di formazione sono svariati. Siamo al “minestrone”: non si comprende, infatti, quali saranno i docenti cui verrà imposto di aggiornarsi. Per capirne di più dobbiamo aspettare il decreto attuativo. Nel frattempo, però il personale “freme”. Tanti docenti temono che possano essere ristabiliti quei corsi di formazione coatti che negli anni Novanta dovettero svolgere in centinaia di migliaia per poter accedere ai “gradoni” stipendiali superiori.
Ne abbiamo parlato con Massimo Di Menna, segretario generale della Uil Scuola.
Di Menna, secondo lei ci sono i presupposti perché i docenti di tutti gli ordini e gradi debbano tornare a svolgere delle forme di aggiornamento obbligatorio?
Da quello che possiamo leggere dall’emendamento, molto generico, non direi. In attesa del decreto attuativo, c’è un passaggio che deve essere chiaro a tutti: siccome il legislatore non ha annullato nessuna norma in vigore sulla materia, né tantomeno definito il numero di ore di formazione da attuare obbligatoriamente, tutte le attività extra all’insegnamento frontale rimangono quelle stabilite dal Contratto collettivo nazionale di lavoro. Dove non c’è traccia di obbligo di aggiornamento.
Allora per cosa serviranno i 10 milioni di euro indicati nell’emendamento?
Questo lo dobbiamo ancora capire. Anche perché parlare di aggiornamento obbligatorio in questi termini significa parlare come per ‘spot’: così com’è, si tratta di una indicazione senza effetti. Viene da chiedersi a chi è rivolta? Quando si farà? E come? Poi vale la pena ricordare che l’aggiornamento professionale è insito nella funzione docente.
Le risulta che questo oggi avviene?
Certamente. Un altissimo numero di docenti si aggiorna in continuazione. E a proprie spese. Compra libri, frequenta corsi, partecipa a convegni. Semmai il Parlamento avrebbe potuto prevedere una forma di sostegno e di incentivo verso questo genere di attività auto-formative.
Ma ci sono delle parti positive nel decreto approvato al Senato, sempre sul fronte della formazione dei docenti?
In linea generale, lo stanziamento di risorse pubbliche per lo sviluppo professionale dei docenti è un dato importante. Soprattutto se si eviterà di utilizzare questi soldi coinvolgendo centri formativi esterni alle scuole. Il risultato sarebbe, molto probabilmente, disperderli.
E allora come andrebbero utilizzati?
Sarebbe decisamente utile puntare sul coinvolgimento di docenti esperti collegati uno con l’altro con il modello delle ‘reti di scuola’: in tal modo si intersecano le loro competenze e si mettono a disposizione di tutti. Il concetto è semplice: non servono procedure, ma valorizzare le esperienze.
E basta? Non ci sono altri provvedimenti con ricadute positive sul personale?
C’è almeno un altro dato positivo: riguarda la decisione di favorire l’ingresso gratuito nei musei dei docenti. La frequentazione di luoghi di cultura è una modalità importante per lo sviluppo della propria formazione professionale. Anche in questo caso, si sono introdotti dei limiti: al ministero dei Beni Culturali andranno 10 milioni di euro e se alla fine del 2014 troppi docenti avranno usufruito degli ingressi gratuiti il provvedimento potrebbe decadere.
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