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UNA VICENDA DI FUMUS PERSECUTIONIS ATTUATA AI DANNI DI UNA DOCENTE

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Da quando è entrata in vigore la legge 150/2009, che, bisogna ricordare, disciplina le sanzioni disciplinari e le relative competenze di applicazione, nella scuola si sta eccessivamente abusando, da parte dei dirigenti scolatici, di questo potere sanzionatorio

PERF 06A volte quando un docente, anche se diligente e corretto, si oppone ostinatamente al volere del dirigente scolastico, scatta la minaccia o anche il provvedimento disciplinare. In alcuni casi la minaccia o la semplice censura, sono sufficienti ad intimorire il docente, che si allinea al volere dirigenziale, in altri, il dirigente scolastico, può arrivare, secondo noi contrariamente a quanto previsto dalle norme ordinamentali, a combinare una sospensione dal servizio fino a 10 giorni.

Un’arma potente, quella che la legge 150/2009 consegna in mano ai dirigenti scolastici, che purtroppo, come si riscontra da alcune sentenze di tribunale, viene usata impropriamente e in malo modo. Sulla dubbia legittimità del potere conferito ai dirigenti scolastici a sospendere i docenti dal servizio fino a 10 giorni, abbiamo già scritto, adesso vogliamo parlare di una vicenda di fumus persecutionis attuata ai danni di una docente. In cosa consiste il fumus persecutionis? Si tratta di azioni compiute da un soggetto giuridico, come ad esempio il dirigente scolastico o il Rettore di un Convitto nazionale, che non vengono dettate da applicazione della legge o ricerca della verità, ma dalla precisa intenzione di nuocere a una precisa persona.

La vicenda è esposta nei fatti da un’elaborata sentenza del tribunale del lavoro di Napoli, depositata in cancelleria in data 11 luglio 2013, con il n. 15091. In questa sentenza si coglie l’intento persecutorio di un Rettore di un Convitto, nei confronti di una docente di sostegno della scuola secondaria di primo grado. Gli atti censori volti a sanzionare la docente sono stati 4, ma per ognuno di questi è stato accolto il ricorso della docente, che è risultata vittima delle attenzioni particolari e persecutorie del Rettore. La sentenza, infatti, dichiara le sanzioni disciplinari illegittime e condanna il Miur alla rifusione delle spese di lite in favore della parte ricorrente. La nostra curiosità rispetto a questa vicenda surreale, si sofferma su due episodi degni di nota, che riteniamo utili menzionare.

Il primo episodio che vogliamo focalizzare è quello della sanzione disciplinare combinata alla docente per omissione di soccorso, nei confronti di un allievo infortunatosi in classe. Questa sanzione disciplinare è stata considerata illegittima, per l’oggettiva lievità della lesione allo zigomo del ragazzo. Ha fatto dunque bene la docente di sostegno ad attendere il docente dell’ora che è sopraggiunto in ritardo, valutando che l’infortunio del ragazzo era così lieve che non necessitava di un pronto intervento, tanto da lasciare incustodita la classe. Nella sentenza è scritto che l’omissione di soccorso è una condotta che presuppone la necessità indifferibile di somministrare le cure, che non risulta, dai referti registrati nell’infermeria del Convitto, nel caso specifico.

Il secondo episodio che si riferisce ad un’altra sanzione disciplinare è la contestazione fatta alla docente di procurato allarme per l’inopportuna richiesta di intervento delle Forze di Pubblica Sicurezza. Il giudice nella sentenza considera che nella giornata in questione, alla ricorrente furono mosse gravi contestazioni, additandola di essersi allontanata arbitrariamente dalla classe e di avere firmato contemporaneamente in due classi la sua presenza. Quindi la docente di sostegno, afferma il giudice, è stata accusata pesantemente di condotte violative dei doveri istituzionali del docente, ed è quindi giustificabile nella concitazione del momento avere richiesto l’intervento delle Forze dell’Ordine. Al termine della sentenza si definisce la docente di sostegno una professionista diligente e l’impianto sanzionatorio destituite di fondamento e comunque sproporzionate pur nella loro lievità. Questa vicenda e dalla lettura della sentenza, emergono tutti i limiti della legge 150/2009, che permette di utilizzare le sanzioni disciplinari come un’arma di vendetta e non come un mezzo di giustizia.

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