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Santarelli ad Aversa: sono anticomunista e affermo niente cultura niente sviluppo. Breve replica di Aversa: concordo, per questo sono comunista.

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di Giulio Santarelli
“Già nel titolo -Santarelli si confessa renziano-, Maurizio Aversa in qualche modo sposta il contenuto del libro su questioni di carattere politico che invece rappresentano soltanto il corollario della narrazione agricola del libro stesso. Peraltro, l’esempio del Sindaco di Firenze è stato da me indicato (nell’esposizione a braccio) proprio perché il sindaco di Firenze ha realizzato, e non soltanto declamato, il “consumo zero” di suolo agricolo. Questione che per me assume valore di civiltà perché sottrae la terra alla speculazione fondiaria e garantisce un futuro alle giovani generazioni. La critica di Aversa (per questa parte delle sue considerazioni) è nell’ottica militante di una Sinistra ancorata alla teoria e alla prassi Marxista-Leninista. Un’ ottica che non è mai stata la mia, se si eccettua il periodo giovanile quando era ancora in vigore il “patto di unità d’azione” PCI-PSI. Per avere un’idea del clima dell’epoca basta ricordare le parole della canzone della Federazione Mondiale della Gioventù democratica: “La Libertà sull’oscuro mondo brillerà”. L’oscuro mondo ovviamente non era quello in cui loro vivevano ma quello occidentale. E noi ventenni schierati (e plaudenti)dalla parte del blocco sovietico. In Italia quella cultura venne diffusa da riviste di grande spessore intellettuale come: Mondo Operaio,Rinascita,Il Calendario del Popolo e venne veicolata anche dalla collana dei libri tascabili della Universale Economica Laterza. Tra le aberrazioni procurate al popolo non è mancato neppure il tentativo di manipolare l’evoluzione biologica delle specie vegetali con il progetto di Stalin di mettere in campo una genetica di stampo comunista affidata a Miciurin e Lisenko da contrapporre alla genetica dell’Abate Mendel perché di stampo capitalistico, laddove naturalmente la genetica è una disciplina scientifica che non può essere in alcun modo aggettivata. Una pubblicistica che entrò in crisi con il rapporto Kruscev al XX Congresso del PCUS, che mise a nudo i crimini di Stalin e dello stalinismo. Le rivolte di Ungheria,Polonia e Cecoslovacchia che seguirono, si incaricarono di mostrare il vero volto della “dittatura del proletariato”. Risultò così che in quei paesi erano stati costruiti regimi dove le parole uguaglianza,giustizia sociale,libertà,democrazia,pace tra i popoli erano una tragica finzione propagandistica. La realtà era fatta di privilegi per la nomenclatura, e di miseria per il popolo, al quale non veniva risparmiato il carcere e sovente, per chi osava dissentire, c’era la condanna a morte vera e propria. Ma questi argomenti con il mio libro non c’entrano. Le cose su cui si diffonde Aversa attengono all’eterno dibattito di cui è infarcita la storia della sinistra dal 1921. Per chiudere questo aspetto dirò che la definizione del XX come “il secolo delle ideologie”, da me usata nell’esposizione a braccio, non è una mia invenzione ma appartiene alle riflessioni e all’ampio dibattito che è seguito alla fine del fordismo e alla trasformazione dell’economia globale,verso il terziario e il quaternario: scenari e prospettive che con la lotta di classe c’entrano poco o nulla. E’ per questo che con la trasformazione ed evoluzione dell’economia sono andati in crisi anche i partiti che fondavano la loro ragion d’essere su quel modello di economia e società. Mentre è terribilmente attuale la battaglia per connotare diversamente la lotta dei più deboli e costruire nelle aree metropolitane un quadro di diritti che impedisca agli interessi che ruotano intorno alla speculazione edilizia di rapinare il territorio, non consentendo l’edificazione di quartieri che siano costruiti a misura d’uomo e a tutela della qualità della vita. Aversa dovrebbe ricordare che la questione della “vita fuori dalla fabbrica” o dal posto di lavoro venne posta già dal segretario della CGIL Luciano Lama negli anni ’70,quando il sindacato di classe scoprì che i lavoratori non potevano esaurire il loro impegno per migliori condizioni, maggiori diritti e più salario nel posto di lavoro se poi il diritto ai servizi della casa,della scuola,della sanità e dei trasporti era inadeguato o assente del tutto. Idee che furono duramente contestate dai gruppi che operavano a sinistra del PCI. Da qui la battaglia per il consumo zero di suolo agricolo e per impegnare risorse e imprese ad operare all’interno dei centri storici per ristrutturarli e dotarli dei necessari servizi.

La copertina del libro di Giulio Santarelli, la viticoltura a Roma e nei Castelli romani

Detto per inciso, se a Marino fosse stata applicata questa politica, sarebbe stato evitato al contesto urbano e al paesaggio un obbrobrio edilizio e urbanistico come quello della 167 di Costa Caselle. Da qualche parte si dirà che con la trasformazione edilizia molti viticultori hanno trovato conveniente vendere per lasciare il posto alla edificazione. Altri dicono che le ragioni che indussero il centrosinistra marinese nel 2003 a non revocare il PRG adottato e non ancora approvato (si sarebbe agevolmente potuto elaborarne uno nuovo che sarebbe stato molto meno invasivo e più attento alle esigenze di una rigorosa programmazione urbanistica!) fu la questione dei “diritti acquisiti” invocati per non correggere le destinazioni edificatorie tanto generosamente elargite. Sulla prima questione c’è da dire che, così come nel dopoguerra, chi aveva un buon vigneto poteva usufruire di redditi che gli consentivano una buona condizione sociale: non si capisce perché non si possano ricostruire quelle condizioni salvando l’agricoltura anziché puntare su facili guadagni immediati destinati ad esaurirsi nel giro di pochi anni e con la perdita di un bene che avrebbe potuto garantire un futuro ai figli e ai nipoti. Sulla questione dei presunti “diritti acquisiti”,sia la Direttiva Europea sul Paesaggio che una fondamentale sentenza della Corte Costituzionale ci dicono che è un evidente falso problema. La Direttiva Europea del 2000, convertita in legge in Italia nel 2006,afferma il principio per il quale i vincoli paesaggistici contenuti nei piani paesistici regionali prevalgono su qualunque altro tipo di destinazione urbanistica e indicava in maniera perentoria che i Comuni avrebbero dovuto adeguar i loro PRG ai vincoli regionali entro il 2008. Cosa che i Comuni e la Regione Lazio gestione-Polverini si sono ben guardati dal fare. Le osservazioni di Maurizio, nella dialettica presente all’interno delle varie anime della sinistra, mi hanno qui obbligato a dilungarmi sulla questione urbanistica, che nel libro è trattata solo nell’ultimo capitolo. Come dice il titolo,invece, il libro è una meticolosa ricostruzione della storia gloriosa della viticultura e del vino dei Castelli Romani (Plinio il Vecchio racconta di navi cariche di vino in partenza dal porto di Ostia Antica per rifornire le legioni romane alla conquista dell’Impero).E’ anche storia della crisi indotta dalle modificazioni intervenuta negli anni ’20 del secolo scorso sulla questione della varietà delle uve. Queste, fino ad allora avevano prodotto vini tipici e prestigiosi, e invece con l’impiego della malvasia di Candia si ottenne purtroppo l’aumento della quantità di uva prodotta a scapito della qualità. La crisi iniziata negli anni ’60, generata dai gruppi che agiscono in regime di monopolio, è stata via via scaricata sui piccoli produttori, i quali, non ricevendo più alcun reddito dalla coltivazione della vigna, la abbandonano. Tipico, e clamoroso, è il caso dell’area della DOC Frascati, che in 3 anni ha visto diminuire i produttori da 870 a 490. Un trend esponenziale che se non verrà fermato mette a rischio la sopravvivenza di un’attività millenaria. Deve essere chiaro che l’abbandono dei vigneti è l’anticamera del degrado del territorio che porta alla perdita del paesaggio che ha connotato per millenni la storia dei Castelli Romani.

La fontana dei Mori, “vestita” a festa con grappoli d’uva per una edizione della Sagra

Tra l’altro in questi casi a farne le spese non è solo l’agricoltura ma anche il turismo, la gastronomia, il commercio e tutte le attività indotte. In definitiva, la ricostruzione storica compiuta nel libro vuole affermare con forza che è arrivato il momento di dire “basta, fermiamo il declino!”. Smettiamo di ammucchiare mattoni e iniziamo a costruire cattedrali. Riprendiamoci la cultura vitivinicola dei nostri antenati, aggiornata alle innovazioni prodotte dalla ricerca scientifica. Il Professore Attilio Scienza dell’Università di Milano, che ha scritto la prefazione del libro, ha titolato: “Niente cultura, niente sviluppo”. Infatti è il gap culturale prevalente che ha prodotto la crisi. E’precisamente il progetto culturale, il filo conduttore del libro: è dalle varietà di uve pregiate, i sesti di impianto a filare,le tecniche e tecnologie di vinificazione finalizzata a produrre vini di alta qualità che può e deve nascere il prodotto che riconquista la competitività con la migliore produzione Italiana ed Europea, come è stato fino alla seconda Guerra mondiale. Con l’alta qualità e la competitività sarà salvata l’economia agricola e con essa i vigneti,l’ambiente e il paesaggio,incrementando il turismo enogastronomico e aprendo con esso grandi spazi e prospettive per nuova occupazione giovanile e femminile.”
Giulio Santarelli

BREVE REPLICA 

maurizio aversa

di maurizio aversa
Curioso dove ci ha condotto il trascorrere dei millenni (da Omero e Socrate fino ad oggi, passando per il rinascimento, l’illuminismo, il socialismo scientifico, il marxismo e le attuali scienze ecologiche) nell’attivare logiche di pensiero (prevalentemente occidentale) che, all’apparenza, conducono due analisi distinte (se non contrapposte) per giungere alle medesime conclusioni. Dico a Giulio Santarelli, che ringrazio dell’attenzione fino ad imegnarsi a confutare un commento, che condivido totalmente l’indicazione finale, che è di pensiero, ma che è anche pratica, “pragmatica” di governo locale e non solo, per investire sul futuro difendendo le culture e le colture. E l’ambiente e la salvaguardia delle stesse in cui possono riprodurre la propria vita e vitalità. L’urlo arrabbiato contro gli speculatori, dunque lo condividiamo, al pari dell’auspicio che questo possa far aprire alle giovani generazioni scenari e visioni che puntando su beni ambientali, su sedimentazione culturale, su innovazione e ricerca riescano al meglio a valorizzare, conservando, rispettando e proteggendo l’ecosistema naturale e l’impronta dell’uomo, affinchè persegui l’armonia uomo-ambiente. Per l’oggi, poi, condividiamo perfino lo stesso obiettivo dichiarato di natura politica (locale): cacciare gli artefici, Giunte Palozzi e suoi sodali e seguaci, dell’assalto al territorio marinese, all’agro romano, ai Castelli romani. A ben guardare, una battaglia simbolica d’avanguardia, verso cui poter far protendere tutte le amministrazioni locali castellane. Infine, non apro da queste colonne un confronto-disquisizione storico per ovvi motivi, ma confermo che la coerenza ruolo della fabbrica, che si è fatta quartiere, proprio secondo un canone di lettura marxista della società; oggi, rafforza l’analisi e la visione che il “proletariato” comunque lo si voglia definire o identificare (il perenne precario che lavora in un gruppo di quattro persone, il prestatore d’opera con partita iva che vive grazie al “caporale” tecnologico etc), è comunque il soggetto sfruttato, da meccanismi di produzione che tendono a riprodurre se stessi senza mutare mai l’origine della proprietà e dei mezzi; quindi per estensione, la fruizione dei beni collettivi (sempre meno tali, dopo la stagione del welfare) e sempre nella disponibilità di tutti. Per questo sono comunista. Per cambiare tutto questo.

http://tastorosso.wordpress.com/2013/06/23/santarelli-ad-aversa-sono-anticomunista-e-affermo-niente-cultura-niente-sviluppo-breve-replica-di-aversa-concordo-per-questo-sono-comunista/

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