Per il ministro del Welfare, Enrico Giovannini, la riforma Fornero testimonia l’impegno del Paese per la stabilità e il rafforzamento dell’economia europea e dell’Unione Monetaria: cambiare i parametri introdotti minerebbe la sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica. Viene da chiedersi, allora, a cosa serva il lavoro di verifica della Commissione Lavoro della Camera sulla fattibilità della riduzione dei requisiti per alcune categorie di lavoratori, tra cui quelli della scuola.
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Ha destato un certo rammarico, soprattutto nei componenti del Comitato “Quota 96”, la smentita della portavoce del ministro del Welfare, Enrico Giovannini, sulla presunta volontà del Governo in carica di abbassare a 62 anni l’età del pensionamento, soprattutto per alcune categorie professionali particolarmente faticose, tra cui quelle attinenti alla scuola: attraverso una nota, la rappresentante del ministro ha detto che non alcun fondamento la notizia che l’esecutivo stia valutando tale possibilità, aggiungendo anche che stravolgerebbe “la riforma pensionistica adottata dall’Italia nel 2011”.
Il problema è che la riforma delle pensioni del precedente governo Monti ha innalzato bruscamente a 66 anni l’età della pensione. “Tale riforma – continua la nota – ha contribuito in modo decisivo a determinare la sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica italiana e, insieme alle altre riforme strutturali varate dall’Italia (come quella sul mercato del lavoro), testimonia l’impegno del nostro Paese per la stabilità e il rafforzamento dell’economia europea e dell’Unione Monetaria, obiettivo al quale il governo italiano sta lavorando intensamente insieme agli altri partner europei”, conclude la nota.
A molti la precisazione è sembrata eccessiva. Soprattutto i toni perentori. Soloqualche giorno fa, infatti, Maria Luisa Gnecchi e Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd nella Commissione Lavoro e vicepresidente della Commissione Cultura, avevano dichiarato con un certo entusiasmo che “l’Ufficio di Presidenza della Commissione Lavoro della Camera ha posto all’ordine del giorno dei lavori della prossima settimana la nostra proposta di legge n. 249 che modifica la manovra Fornero in merito ai requisiti di accesso al trattamento pensionistico per il personale della scuola”. La contraddizione appare quindi netta: mentre la commissione Lavoro sta valutando le carte, quindi anticipando il suo parere tecnico, alcuni membri del Governo (anche il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni si è espresso nella stessa direzione del collega Giovannini) rendono pubblico già l’epilogo della vicenda.
Anche Elena Centemero, responsabile nazionale Scuola del PdL, si era prodigata nella stessa direzione del Pd avviando una interpellanza parlamentare al sottosegretario al lavoro, Carlo Dell’Aringa, per chiedere, al suo interno, “al Ministro dell’Istruzione, Carrozza, al Ministro Della Funzione Pubblica, D’Alia, e al Ministro del Lavoro, Giovannini, di riconoscere la specificità del settore scuola e i diritti delle circa 3.500 persone, tra docenti e personale della scuola, che hanno visto sfumare la possibilità di andare in pensione a causa di un errore dell’ex Ministro Fornero. Questa situazione ha creato un contenzioso, con ulteriori costi per lo Stato. Le istituzioni non possono rimanere in silenzio ancora una volta, va riconosciuto il valore di chi lavora nella scuola, luogo di educazione, di cultura e di crescita. Cerchiamo risposte immediate ad un diritto violato”. La risposta è arrivata. Peccato che sia negativa. Senza se e senza ma.
Sulla decisione del Governo è intervenuta pure l’Anief, trovandola “discriminante. Vale la pena ricordare – ha scritto il sindacato autonomo – che in Italia esistono delle categorie di lavoratori che continuano a mantenere dei requisiti pensionistici fortemente ridotti: lo stesso Inps lo scorso 10 gennaio, con la comunicazione n. 545, ha ricordato che seppur adeguando i requisiti agli incrementi della speranza di vita per l’accesso alla pensione di anzianità, il personale appartenente al comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico continua a fruire di ‘tetti’ decisamente di vecchio stampo: per questi lavoratori, infatti, i requisiti per l’accesso al pensionamento ‘a decorrere dal 1° gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2015 l’accesso al pensionamento anticipato prevede il raggiungimento di un’anzianità contributiva non inferiore a 35 anni e con un’età di almeno 57 e anni e 3 mesi’. Addirittura è stato mantenuto, anche se per una minima parte di lavoratori, ‘il raggiungimento della massima anzianità contributiva corrispondente all’aliquota dell’80%, a condizione essa sia stata raggiunta entro il 31 dicembre 2011 (attesa l’introduzione del contributivo pro-rata dal 1° gennaio 2012), ed in presenza di un‘età anagrafica di almeno 53 anni e 3 mesi’.
Per i dipendenti che operano nei settori sicurezza, difesa e soccorso pubblico,continua dunque ad essere valida la soglia corrispondente a “quota 92”, derivante dalla somma dell’età anagrafica e contributiva. “Il sindacato – specifica l’Anief – non ha nulla da eccepire sulla volontà del Governo di mantenere in essere tali agevolazioni, sicuramente legate a professioni fortemente logoranti. Per quale motivo, però si ostina a negare ai dipendenti della scuola di lasciare il servizio mediamente dieci anni dopo questi colleghi?”. L’Anief ricorda, inoltre, che nella scuola “i docenti con oltre 20-25 anni di anzianità potrebbero non necessariamente essere collocati in pensione, ma anche rimanere in servizi come tutor-formatori degli ultimi assunti. Non gravando, in tal modo, sulla previdenza e aprendo le porte alla staffetta generazionale. A questo punto, il sindacato – conclude – confida nella decisione che il prossimo 17 novembre prenderà la Corte Costituzionale proprio sulla legittimità dello stop alla pensione per i cosiddetti ‘Quota 96’ della scuola”.
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