Il tema della previdenza torna ad agitare la scuola. Sia tra il personale scolastico in servizio con contratto a tempo indeterminato, infatti, che tra le decine di migliaia di docenti e Ata precari, si sta registrando una certa preoccupazione per le voci, sempre più insistenti, di possibili modifiche alle norme previdenziali in vigore introdotte dal decreto legge n. 201/2011 (riforma Fornero), a condizione che si reperiscano i fondi necessari, che sarebbero all’esame del governo in carica. Nell’ambito delle ipotizzate modifiche ci sarebbe anche la soluzione, da tempo auspicata, del problema sollevato da alcune migliaia di docenti e di personale Ata che non hanno potuto fare valere, ai fini pensionistici, i requisiti richiesti dalla normativa previgente l’entrata in vigore del predetto decreto legge «quota 96» perché tali requisiti li maturavano entro l’anno scolastico 2011/2012 e non entro il 31 dicembre 2011, come richiedeva l’art. 24 del decreto. Sul personale della scuola le modifiche potrebbero da un lato consentire soprattutto al personale femminile di accedere alla pensione con una età anagrafica meno elevata rispetto a quella attualmente richiesta e dall’altro offrire ai precari un maggior numero di posti disponibili per incarichi sia a tempo indeterminato che di durata annuale. La più consistente modifica che potrebbe essere apportata alle norme in vigore dovrebbe infatti riguardare, unitamente però a penalizzazioni nel calcolare la pensione, la riduzione dell’anzianità anagrafica e/o contributiva oggi richiesta per accedere sia alla pensione di vecchiaia che a quella anticipata.
Un’altra ipotesi che sembra trovare molto consenso soprattutto tra le organizzazioni sindacali del comparto scuola è quella favorire, congiuntamente a benefici contributivi, l’accesso dei docenti e del personale Ata alla pensione anticipata con permanenza in servizio in regime di parttime fino al raggiungimento dell’età anagrafica o contributiva richiesta dalla normativa in vigore per accedere al trattamento di quiescenza.
Ad avviso di quanti sostengono quest’ultima ipotesi, una sua attuazione consentirebbe ad alcune decine di migliaia di precari di ottenere un incarico a tempo indeterminato sia su posto a tempo pieno che su posti a tempo parziale, come espressamente previsto dall’art. 39 del contratto collettivo nazionale scuola in vigore.
Nel comparto scuola la ricerca di nuovi posti disponibili è diventata ancora più impellente alla luce della drastica riduzione dei pensionamenti che avranno decorrenza dal 1° settembre 2013. Dovrebbero andare in pensione, secondo i dati provvisori comunicati a marzo dal ministero dell’istruzione, solo 10.009 docenti e 3.343 personale Ata.
Una riduzione che sarebbe superiore addirittura del cinquanta per cento rispetto al numero dei pensionamenti registrati nel 2012 (21.112 docenti e 5.336 Ata).
Sul numero reale delle cessazioni dal servizio che avranno effetto dal 1° settembre prossimo resta comunque un fondato dubbio sull’esattezza dei dati provvisori comunicati a marzo dal ministero dell’istruzione.
Secondo una indagine campione realizzata da Azienda Scuola, infatti, i docenti che cesseranno dal servizio a settembre non dovrebbero essere meno di 15.000, mentre gli Ata non meno di 4.500. Sui numeri reali non si hanno ancora, a fine maggio, dati certi. I competenti uffici del ministero di viale Trastevere continuano, infatti, a non fornire alcuna notizia in merito. Top secret. Ma, cui prodest?
Nicola Mondelli – ItaliaOggi