Nel cedolino di aprile degli statali assunti dal 2000 è subentrata una sorta di ‘tassa’ “compensativa per garantire parità retributiva tra vecchi e nuovi. Anief: il Mef fa il mea culpa e corre ai ripari per non restituire niente, chi è in regime di TFR deve rivolgesi al tribunale. Intanto Palazzo Chigi farebbe bene a mettere da parte 3 miliardi
Non c’è pace sulle trattenute stipendiali che alcuni sindacati continuano a considerare non lecite. Anche le novità introdotte dal Governo sulla trattenuta del 2,5% sullo stipendio di aprile dei dipendenti pubblici assunti a partire dal 2000, apparentemente favorevole a questi circa 700 mila lavoratori, non soddisfa proprio l’Anief.
Il sindacato di Pacifico, che aveva fatto pervenire migliaia di diffide del personale della scuola contro la trattenuta da intendersi come contributo obbligatorio per la costituzione del TFR, sostiene che ora “il Governo cambia la giustificazione della trattenuta, perché, in verità” sostiene di aver inserito una sorta di ‘tassa’ “compensativa per garantire parità retributiva tra vecchi e nuovi assunti, ai sensi dell’art. 1, c. 3, del DPCM 1999”.
E qui sta il punto. Per l’Anief, infatti, il CCNQ 26 luglio 1999, recepito dal DPCM 20 dicembre 1999 prevede dal maggio 2000 per i neo-assunti statali il passaggio da regime di TFS con aliquota 9,60% e trattenuta 2,5% a regime TFR con aliquota 6,91% totalmente a carico del datore di lavoro (nota Inpdap 9 giugno 2000). Dopo 13 anni, a seguito delle recenti diffide sindacali, il Mef sembra fare mea culpa e correre, invano, ai ripari per non restituire niente.
“Ma forse – si chiede il sindacato autonomo – la pensione non è una retribuzione differita? Come è possibile affermare un principio, quello corretto della parità retributiva, dopo averlo sconfessato nei commi precedenti a sfavore delle nuove generazioni sulle buonuscite future? E questa trattenuta, se non doveva essere data, perché è tassata all’origine? E perché non è stata recuperata esplicitamente a livello figurativo nella contrattazione? Forse che il 2,5% pagato in regime di TFS non garantisce una maggiore buonuscita rispetto alla riduzione già penalizzante dello 0,19 (7,10% – 6,91%) dell’aliquota o della liquidazione?”.
Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir al contenzioso, tutto questo è paradossale, tanto che “pone queste domande non soltanto al Governo ma a tutte le Confederazioni sindacali perché non si adotti più una riforma che penalizzi i lavoratori in base all’anno di assunzione, proprio mentre il Governo pensa di portare a 70 anni l’età anagrafica necessaria dal 2020 per andare in pensione e di erogare dal 2030 ai lavoratori in quiescenza soltanto il 40% del loro ultimo stipendio”.
Per il sindacato, quindi, il mea culpa del Mef, se mea culpa è stato, non convince, perché non si tratta di un mero errore formale in un Paese nel cui ordinamento giuridico la forma è sostanza, ma di un’evidente ingiustizia. L’Anief, già dopo la pubblicazione della sentenza n. 223/12 della Consulta aveva già messo a disposizione un primo modello di diffida per interrompere la trattenuta (ottobre 2012), superato poi dalla legge 228/12 (art. 1, cc. 98-99) che ha ripristinato la situazione precedente. In seguito, a tale norma, il sindacato ha elaborato un secondo modello di diffida (febbraio 2013) atto alla certificazione del credito figurativo del 2,69% (9,60%-6,91%) quale differenza tra le due aliquote per gli anni 2011-2012 per chi è ritornato in regime TFS. Oltre che all’interruzione della trattenuta del 2,5% con richiesta risarcitoria-recupero credito per gli ultimi dieci anni per chi è stato assunto in regime TFR o ha optato per esso.
Pertanto, il sindacato oggi fa sapere che continuerà a raccogliere le diffide per i lavoratori in regime di TFR, al fine di avviare “le opportune iniziative giudiziarie nei tribunali della Repubblica perché possa essere rispettato il principio della parità di trattamento tra tutti i cittadini senza distinzione di età e perché i lavoratori del pubblico impiego non siano penalizzati rispetto ai privati soltanto perché il Governo ha la potestà di legiferare d’urgenza e di disapplicare i contratti da lui firmati in contrasto con la legge da lui voluta”.
L’Anief invita quindi “Palazzo Chigi farebbero bene a fare bene i conti” per coprire le spese dovute ai dipendenti che, anche se con qualche anno di ritardo rispetto alla vecchia tabella di marcia, andranno in pensione: “oltre ai soldi per cassa integrazione o proroga dei contratti”, il Governo dovrebbe preoccuparsi di “trovare la copertura anche per quei 3 miliardi (corrispondente al 2,69%, frutto della differenza tra le due aliquote TFS e TFR per gli anni 2011-2012) necessari per onorare interamente le future buonuscite dei 2,5 milioni di dirigenti e dipendenti pubblici che nei prossimi anni andranno in pensione, rispetto ai 41 milioni già stanziati nell’ultima finanziaria bastevoli a riliquidare il trattamento di fine servizio di chi è andato illegittimamente, nel frattempo, in pensione in regime di TFR”.