Con la nota circolare pubblicata l’ 11 gennaio e relativa “ad alcuni aspetti applicativi della nuova disciplina per il conseguimento dell’abilitazione nazionale” il Ministro Profumo ha nei fatti suggerito alle commissioni per il conferimento dell’abilitazione nazionale di tenere nel minor conto possibile le mediane di produttività scientifica. Infatti, la nota sottolinea come le commissioni giudicatrici devono esprimere innanzitutto un giudizio motivato sui curricula dei candidati. In tal senso, la nota chiarisce come “il superamento degli indicatori numerici specifici non è un fattore di per sé sufficiente ai fini del conseguimento dell’abilitazione”. Certamente “di norma l’abilitazione deve essere attribuita dalle commissioni esclusivamente ai candidati che abbiano soddisfatto entrambe le condizioni: giudizio di merito e superamento degli indicativo”. Ma questa norma può essere derogata ogni qual volta la commissione lo ritenga opportuno purché ne venga rigorosamente motivata la ragione.
Nella nota viene anche ribadita l’intenzione del ministero di procedere il prossimo 28 gennaio adun nuovo bando per l’abilitazione 2013 e alla pubblicazione del calendario per i nuovi bandi 2014 e 2015. Vengono infine ribaditi i termini entro i quali le attuali commissioni (in molti settori, vedi l’intera area 12, non ancora neppure sorteggiate) dovranno terminare i loro lavori.
Fin dall’inizio del lungo, lento e contrastato e contrastato iter di questa disposizione di legge si sono inseguite interpretazioni diverse, che di volta in volta accentuavano il peso da attribuire agli indicatori di produttività scientifica o all’autonomia delle commissioni sotto la spinta delle pressioni del momento. Non ultimi i ricorsi già presentati contro un dispositivo, quello delle mediane, palesemente inefficace, sbagliato e illegittimo sotto molti aspetti e l’altissimo numero di candidati all’abilitazione presentatisi. Sia chiaro, l’ampia autonomia delle commissioni nell’utilizzare questi indicatori cui oggi si fa riferimento – che noi abbiamo chiesto fin dall’inizio – non proviene dalla legge che recita tutt’altro, ma è il frutto della pressione operata in questi mesi per incidere su un meccanismo abilitativo che pur con queste correzioni si mostra pieno di incongruenze e punti di scarsa chiarezza.
Che questo meccanismo non funzioni è mostrato dall’ennesimo cambiamento di rotta dell’Anvur che con una breve nota sul sito comunica di ritenere “importante che le commissioni tengano adeguatamente in conto delle differenze interne ai settori concorsuali circa le pratiche di pubblicazione scientifica ed i relativi indicatori. A tale scopo pubblicherà in tempi brevi le mediane di tutti gli indicatori riferiti ai singoli SSD”. In altri termini, devono essere prodotte mediane per tutti i settori disciplinari e non più per i soli settori concorsuali. Che la cosa avvenga ad oltre due mesi dalla presentazione delle candidature, quando le regole del gioco erano diverse, all’Anvur non interessa. Evidentemente interessato solo a tamponare le falle di una diga che pian piano lascia emergere crepe ovunque. Che poi il calcolo di queste nuove mediane avvenga mentre il Ministro interviene a minimizzarne il peso a favore della piena autonomia delle commissioni mostra tutta l’approssimazione della gestione di questo processo.
Peraltro, si è oggi in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale sul ricorso presentato da studiosi di diritto costituzionale sull’impianto dell’abilitazione scientifica nazionale, pronunciamento previsto per le prime settimane di febbraio. Tutto ciò mentre aumentano le incertezze sulla tenuta dei bilanci di atenei a fronte dei nuovi tagli previsti per il prossimo anno. Dietro le follie di queste procedure abilitative c’è nei fatti il nulla delle risorse: lo stesso piano straordinario per il reclutamento di professori di II fascia è largamente inattuato mentre assistiamo allo sconcertante fallimento dei nuovi contratti da ricercatore a tempo determinato pochi nei numeri complessivi e pressoché nulli nella loro forma più avanzata, quelli con la “tenure all’italiana”. Gli ultimi due ministri lasciano una eredità pesante al futuro governo. Il prossimo governo dovrà rompere marcare una discontinuità radicale con tutto questo, in gioco è ormai la sopravvivenza stessa dell’Università italiana.