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Legge Fornero e conciliazione obbligatoria nei licenziamenti per motivi oggettivi: i chiarimenti del Ministero del Lavoro

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A diversi mesi dall’entrata in vigore e dall’operatività dellemodifiche all’art. 7 della Legge 604/66 del 18 luglio 2012 e quindi dell’obbligatorietà del tentativo di conciliazione per i licenziamenti per motivi oggettivi (c.d. “per motivi economici”) introdotta dalla legge Fornero, il Ministero del Lavoro fornisce, con la Circolare 3 del 16 gennaio 2013, i “primi chiarimenti operativi” sulla nuova procedura.

 

I dubbi, le incertezze interpretative ed applicative della norma emerse in questi mesi hanno evidentemente reso necessario ripuntualizzarne il contenuto per evitare disparità di comportamenti e di letture da parte prima di tutto delle Direzioni Territoriali del Lavoro, alle quali è assegnato un ruolo di forte responsabilità nella gestione della procedura.

 

D’altra parte anche l’INPS è dovuta intervenire, ancora una volta con forte ritardo, col Messaggio 20830 del 18 dicembre 2012 per porre rimedio alla palese disparità di trattamento ingenerata dalla “interpretazione letterale”  del comma 40 – sostenuta da molte sedi INPS e da subito denunciata dall’INCA CGIL – che portava a negare il riconoscimento dell’indennità di disoccupazione ai lavoratori licenziati con la nuova procedura nel periodo 18 luglio-31 dicembre 2012  che avessero aderito ad una risoluzione consensuale del rapporto.

 

La circolare riprende e ripercorre l’intero iter della nuova procedura e fornisce precisazioni e chiarimenti ulteriori anche in riferimento alla giurisprudenza.

 

Motivi di licenziamento

La circolare, nel ricordare  che la motivazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo in questa fase è rimessa unicamente alla valutazione del datore di lavoro, richiama, pur in via non esaustiva, la casistica nella quale si ritiene ricorra l’ipotesi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo:

  • ristrutturazione di reparti;
  • soppressione del posto di lavoro.

 

Viene precisato che queste ipotesi non possono essere solo genericamente individuate ma vanno ricondotte all’effettiva e documentata esigenza di dover sopprimere o ridurre  il reparto o il singolo posto di lavoro dimostrando l’impossibilità di ricollocazione o riutilizzazione in altre mansioni del lavoratore.

Inoltre la circolare individua ulteriori casistiche quali:

  • terziarizzazione e esternalizzazione di attività;
  • inidoneità fisica;
  • impossibilità di “repechage” all’interno del gruppo di imprese;
  • licenziamento di lavoratore a tempo indeterminato in edilizia anche per chiusura del cantiere;
  • provvedimenti di natura amministrativa che incidono sul rapporto (es. ritiro della patente di guida a un autista o del porto d’armi ad una guardia giurata);
  • misure detentive.

 

La circolare invece esclude dall’ambito di applicazione della norma il licenziamento per superamento del periodo di comporto ex art. 2110 c.c. in ciò contraddicendo agli orientamenti seguiti almeno da alcune Direzioni Territoriali del Lavoro (DTL).

 

Il Ministero del lavoro evidenzia che il tentativo di conciliazione è obbligatorio  anche quando il datore intenda effettuare per i medesimi motivi meno di 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni. A tale proposito la circolare richiama le DTL a contrastare tentativi di aggirare le norme e quindi a verificare che il datore non abbia cercato di eludere l’obbligo di applicare la L. 223/91 (licenziamenti collettivi) utilizzando invece  tali procedure, ex art. 7 L. 604, nei licenziamenti superiori a 4 unità da effettuare nell’arco dei 120 giorni a parità di motivazione.

 

La comunicazione del datore di lavoro

A proposito dei contenuti relativi alla comunicazione, la circolare – oltre a ribadire quanto già presente nella norma – ricorda che per quanto riguarda le eventuali misure di ricollocazione che il datore deve prospettare in modo puntuale, la Cassazione ha affermato che queste non necessariamente devono avere la caratteristica del lavoro subordinato e che quindi l’offerta può legittimamente “riguardare una prospettiva di lavoro autonomo o in cooperativa”.

 

Esito positivo della conciliazione

In riferimento alla possibilità che il tentativo di conciliazione si risolva con un accordo che sancisce la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro o le dimissioni, la circolare risolve la questione del rapporto che intercorre tra questa previsione della norma e l’applicazione dell’art. 4 comma 17 della L. 92/2012, che subordina l’efficacia della risoluzione consensuale o delle dimissioni alla convalida effettuata presso la DTL o il Centro per l’impiego (CPI) competente.  A tale proposito viene chiarito che la risoluzione medesima sottoscritta nell’ambito della procedura di conciliazione, quindi davanti ad un funzionario della DTL, è pienamente esaustiva e non richiede al lavoratore alcun altro passaggio.

Considerazioni finali

In conclusione va sottolineato come molti passaggi della circolare siano rivolti a evidenziare“l’importanza e la delicatezza” del ruolo affidato alle Direzioni Territoriali del Lavoro, richiamate alla responsabilità, efficienza, efficacia e competenza nell’intero iter della procedura,  in relazione sia ai tempi ristretti e vincolati del suo svolgimento sia al ruolo attivo che la commissione di conciliazione è chiamata a svolgere nell’intero iter.

Per quanto ci riguarda, anche alla luce dell’esperienza di questi mesi, non si può che confermare il giudizio negativo espresso dalla CGIL su questa specifica norma in quanto farraginosa, contraddittoria e penalizzante come del resto gran parte delle norme sul mercato del lavoro introdotte dalla signora Fornero.  Proprio per questo è necessario  che la FLC Cgil mantenga alto  l’impegno a porre in essere tutti gli sforzi per offrire ai lavoratori la miglior assistenza e tutela.

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