Così, in attesa della revisione del Regolamento, l’autonomia scolastica diventa la foglia di fico di un Ministero inadempiente, che fa ricadere sulle scuole una responsabilità che non dovrebbe essere loro. Sembra ovvio infatti che la valutazione (in una scuola “pubblica”, che rilascia titoli di studio del medesimo valore legale) debba appartenere alle “Norme generali”, e che debba essere omogenea sul territorio nazionale.
Cosa succederà adesso? Evidentemente potranno crearsi situazioni disomogenee:
1. sarà possibile valutare gli apprendimento con un voto per ogni tipologia di prova prevista (scritto, orale, grafico, pratico);
2. sarà possibile valutare tutte le discipline con un voto unico;
3. sarà possibile valutare una disciplina con voto unico e un’altra con voto distinto.
E’ vero che si tratta di valutazioni intermedie, ma nulla toglie al fatto che la mancanza di chiarezza in questo clima generale sia deleteria, crei discussioni fuorvianti ( “a chi spetta la decisione? Ai Dipartimenti, per le loro discipline? Al Collegio, per tutte le discipline? Al Collegio, disciplina per disciplina?” ecc..) e distolga dai temi veri della valutazione e certificazione delle competenze. Nel primo biennio sta già capitando, infatti, che anche quelle scuole che avevano avviato un lavoro importante sulla certificazione delle competenze del ”nuovo obbligo”, stiano abbandonando quell’impegno, e insieme ad esso un percorso che stava dando i primi frutti.
Il nostro consiglio è di fare deliberare subito dal Collegio il voto unico per tutte le discipline, e di concentrare l’attenzione su una valutazione e certificazione degli apprendimenti che sappiano coniugare insieme la “valutazione per l’apprendimento” con un ricco repertorio di prove capaci di produrre valutazioni trasparenti e comparabili e condurre a certificazioni obiettive.
Il voto unico è giusto per vari motivi, ne indichiamo tre:
1) Se si vogliono valutare le competenze nella loro progressiva costruzione è fondamentale utilizzare una serie di prove differenziate, strutturate, non strutturate, grafiche, pratiche, progetti, prodotti multimediali, osservazioni in classe, portfolio digitale ecc… E’ infatti solo attraverso prove di natura e tipologia differenziata che si possono da un lato valorizzare i diversi stili di apprendimento, le potenzialità e le diverse attitudini degli studenti, dall’altro rendersi costantemente conto dei punti di forza e di debolezza di ciascun alunno, per arrivare a una certificazione complessiva il più possibile obiettiva delle competenze acquisite in riferimento a compiti di realtà, da testare e certificare alla fine del percorso con comuni prove obiettive, trasparenti e comparabili.
2) La prova orale, così come è tradizionalmente sviluppata nelle nostre scuole è la meno obiettiva e occupa una percentuale del tempo scuola esageratamente alta. Ciò non significa che non si debba curare l’espressione orale, che è al contrario importantissima, significa solo che per farlo non sono necessarie le tradizionali canoniche interrogazioni orali finalizzate al “voto orale”.
3) Il mantenimento della suddivisione “scritto” e “orale” conduce a quella pratica, priva di qualsiasi rigore scientifico, che è la media tra voto orale e scritto.