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DUE STATALI: I MAGISTRATI E I COMUNI IMPIEGATI

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I magistrati ricorrono in tribunale e ottengono dalla Consulta – anche per gli avvocati dello Stato – lo sbocco degli automatismi di carriera. Subito il Mef ordina il pagamento dell’acconto +3,04% a partire da dicembre. Insegnanti e altri dipendenti pubblici continuano invece a perdere potere d’acquisto: -6.000 euro tra 2010-2013 con ricostruzione di carriera ritardata per neo-assunti. “
E’ l’Anief che mette ancora il dito nella piaga, già del resto da noi individuata e additata , sulle due differenti posizioni degli impiegati dello Stato di fronte allo stesso Stato. Figli e figliastri? Sicuramente si, ma anche nobili e poveri, privilegiati e poveracci. Dice infatti l’Anief:
“oltre alla consolidata differenza tra pubblici e privati, all’interno dello Stato da una parte 3 milioni di dipendenti pubblici con progressioni di carriera e contratto bloccato per legge in attesa dell’intervento di qualche nume (L. 122/10), dall’altra magistrati e avvocati dello Stato che ricorrono al Tar e ottengono la cancellazione da parte della Corte costituzionale (sentenza n. 223/12) della norma (art. 9, c. 22) che riduceva l’indennità tabellare, cancellava gli acconti relativi agli automatismi di carriera per il triennio 2011- 2013 e imponeva (art. 9, c. 2) il prelievo forzoso del 5% sulla differenza di reddito superiore a 90.000 euro fino a 150.000 euro e del 10% per cifre superiori.
Così il MEF, con nota 157 dell’8 novembre 2012, ordina a partire da dicembre l’adeguamento degli importi tabellari per il personale della magistratura, avvocati e procuratori dello Stato con un incremento mensile a titolo di acconto del 3,04% in busta paga e la sospensione della riduzione dell’indennità giudiziaria già avviata per il mese di novembre, mentre gli stipendi medi degli altri dipendenti pubblici – al netto dell’aumento dell’inflazione e del costo della vita – continuano a perdere potere d’acquisto, come ha rilevato l’ARAN, fino a 6.000 euro nel 2014, secondo studi di settore sindacali.
Cosa fare? Ricorrere in tribunale come hanno fatto i giudici e rivendicare la violazione degli stessi principi costituzionali. Dove? Al tribunale del lavoro attraverso il sindacato, al fine di arrivare alla Consulta e fare cassare le norme impugnate.”
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