Un’importante sentenza della Cassazione conferma indirettamente una posizione da noi più volte sostenuta riguardo alla diversa retribuzione dei docenti impegnati su cattedre orario esterne.
È chiaro infatti, che i docenti a cui è stata assegnata una cattedra con completamento orario in una o due scuole diverse da quella di titolarità, spesso con sedi in comuni diversi e a volte distanti diverse decine di chilometri, sono costretti a sostenere costi che i docenti impegnati in una cattedra orario interna non sostengono. È evidente che ciò dà luogo ad una diversità di trattamento rispetto ai colleghi con orario tutto interno in una scuola. In tempi in cui il costo del carburante è divenuto insostenibile per i magri stipendi degli insegnanti, il problema non può più essere trascurato, ancor di più se si considera che le cattedre orario esterne, per la contrazione delle ore, rischiano di divenire la regola a cui sono sottoposti tutti gli insegnamenti.
E li dove i contratti di lavoro non arrivano, anche per la miopia di chi li scrive, il gap di giustizia non può essere colmato che con il richiamo alle norme fondanti che regolano il nostro ordinamento. È quanto ha fatto la Suprema Corte di Cassazione riguardo ad una situazione che pur non riguardano direttamente la scuola ha comunque delle chiare implicazioni.
Di seguito riportiamo l’articolo pubblicato su http://www.dirittoscolastico.it.
Corte di Cassazione – Sentenza n. 17511 del 27-07-10
Il tempo necessario al dipendente per recarsi sul luogo di lavoro va considerato lavorativo, se lo spostamento è funzionale alla prestazione.
E’ quanto recentemente affermato dalla Corte di Cassazione, sez. lavoro, con sentenza n. 17511 del 27 luglio 2010.
Per la Suprema Corte, nel caso in cui lo spostamento sia funzionale alla prestazione, occorrerà tenerne conto ai fini della quantificazione dello stipendio.
Non solo, ma tale prestazione dovrà essere qualificata come lavoro a tutti gli effetti, anche in relazione al limiti di durata giornaliera e settimanale della prestazione di lavoro imposti dall’art. 2107 del codice civile.
La questione era stata recentemente affrontata anche dal Ministero del Lavoro con interpello n. 13/2010 del 2 aprile 2010, che ha chiarito come il D. Lgs. n. 66/2003, superando la normativa contenuta nel RD 1955/1923, considera la prestazione lavorativa quale “messa a disposizione” e non più come lavoro effettivo.
Tale principio, del resto, corrisponde a quanto stabilito con Direttiva CE 1993/104, secondo cui per orario di lavoro deve intendersi “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
Il principio, ribadito dai giudici di legittimità, pur non riferendosi specificamente al comparto scuola, può avere risvolti pratici molto importanti.
Si pensi al caso di scuole articolate su più succursali, sedi staccate, oppure al docente (precario o di ruolo) con cattedra orario esterna.
In questi casi, qualora il dipendente dovrà recarsi da una scuola all’altra (magari nell’ambito della stessa giornata), potrà legittimamente pretendere che il tempo di spostamento venga considerato a tutti gli effetti quale prestazione lavorativa.
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Corte di Cassazione Sez. Lavoro – Sent. del 26.07.2010, n. 17511
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 12-13 dicembre 2007, la … s.n.c. ha chiesto, con due motivi, la cassazione della sentenza depositata il 27 marzo 2007, con la quale la Corte d’appello di Reggio Calabria, riformando la decisione del giudice di primo grado, l’aveva condannata a pagare a XXX la somma di euro 4.905,44 – oltre accessori di legge – a titolo di compenso per il lavoro straordinario da questi prestato, nel corso del rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti, per trasportare, per un’ora al giorno, con automezzo aziendale, dalla sede della società ai singoli cantieri gli operai e i mezzi di questa.
Resiste alle domande della società XXX , con rituale controricorso, illustrato poi con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1 – Col primo motivo di ricorso, la società deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c.
In proposito, il giudice di primo grado aveva dichiarato d’ufficio nullo il ricorso introduttivo del giudizio per la insufficiente esposizione dei fatti costitutivi dei diritti azionati.
Viceversa la Corte d’appello aveva ritenuto che il ricorso avesse sufficientemente esposto tali fatti, mentre la ricorrente sostiene che, mancando la indicazione del contratto collettivo applicabile al rapporto, la domanda avrebbe dovuto essere dichiarata nulla.
Il motivo conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “Chiarisca la Corte se, per i motivi sopra evidenziati il ricorso privo dell’esatta determinazione dell’oggetto della domanda o dell’esposizione dei fatti e degli elementi normativi sui quali si basa è, per giurisprudenza costante, affetto da nullità, ai sensi degli artt. 414, 164 e 156 c.p.c., risultando precluso alla parte produrre nel corso del giudizio i contratti collettivi non citati nel ricorso ed al giudice agire sulla scorta del principio iura novit curia; – sempre per i motivi sopra argomentati, chiarisca la Corte se la nullità dell’atto introduttivo, con riferimento alla mancanza o assoluta incertezza dei requisiti di cui all’art. 414 n. 3 e 4 c.p.c., opera pregiudizialmente rispetto al merito, traducendosi in inammissibilità della domanda senza che operi sanatoria per la costituzione del convenuto che eccepisca anche l’infondatezza nel merito della domanda e senza che sia possibile una integrazione successiva mediante note illustrative depositate nel corso del giudizio, ovvero senza che possa essere sanata dall’esercizio dei poteri previsti dall’art. 421 c. 2 da parte del giudice”.
2 – Col secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2107 e 2108 c.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere come lavorativo il tempo necessario al dipendente per recarsi sul luogo di lavoro.
Comunque, secondo la ricorrente, la Corte avrebbe altresì errato in quanto l’art. 12 del C.C.N.L. disporrebbe che l’operaio che percepisce, come l’appellante, la diaria per la trasferta, ha l’obbligo di trovarsi sul posto di lavoro per l’ora stabilita per l’inizio del lavoro.
Quesito: “Chiarisca la Corte, alla luce delle superiori argomentazioni confermate dalle risultanze processuali, se il tempo impiegato per raggiungere il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, non essendo connaturato alla prestazione stessa – tenuto presente che il lavoratore, pur non rivendicando con il proposto giudizio la diversa qualifica di autista, si portava presso la sede dell’azienda non per disposizione datoriale ma per comodità propria – resta comunque estraneo all’attività lavorativa vera e propria non sommandosi quindi al normale orario di lavoro?”.
Il ricorso conclude pertanto con la richiesta di annullamento della sentenza impugnata, con ogni conseguenza di legge.
Il ricorso, scarsamente rispettoso del principio di autosufficienza (su cui, anche recentemente, cfr. Cass. nn. 5043/09, 4823/09 e 338/09) e i cui quesiti di diritto sono generici e non sempre aderenti alla fattispecie concreta illustrata (in argomento, cfr., tra le altre, Cass. S.U. ord. 5 febbraio 2008 n. 2658 e 5 gennaio 2007 n. 36), è comunque manifestamente infondato.
La sentenza impugnata ha infatti riformato quella di primo grado, dichiarativa della nullità del ricorso per indeterminatezza, accertando viceversa che in esso erano stati sufficientemente determinati il petitum nonché i presupposti di fatto e di diritto posti a sostegno della pretesa.
La Corte territoriale ha altresì accertato che i fatti costitutivi del diritto al compenso per lavoro straordinario azionato non erano stati contestati dalla società, la quale aveva unicamente obiettato che erroneamente il XXX avrebbe qualificato come tempo di lavoro (come tale da retribuire) quello necessario per recarsi al cantiere in cui di volta in volta doveva operare.
I giudici dell’appello hanno infine rilevato che anche i conteggi elaborati dal C.T.U. sulla base di determinati contratti collettivi non erano stati contestati.
A fronte di tali accertamenti, la società lamenta ora, col primo motivo, la mancata allegazione fin dall’inizio, nel ricorso introduttivo del giudizio, del contratto collettivo applicabile al rapporto, dei conteggi e dei prospetti e deduce di avere contestato la normativa contrattuale collettiva utilizzata nei propri conteggi dal C.T.U. nominato nel giudizio di primo grado.
Sul primo punto, va anzitutto rilevato che la fonte normativa primaria del compenso per lavoro straordinario è la legge, la quale stabilisce comunque determinati criteri di determinazione del relativo compenso in assenza della contrattazione collettiva, per cui la mancata invocazione di quest’ultima potrebbe semmai comportare la diretta applicazione dei criteri di legge, viceversa non richiesta dalla ricorrente.
Per il resto, la società non specifica quando e in quali precisi termini essa abbia effettivamente contestato la mancanza di conteggi allegati al ricorso introduttivo nonché l’erronea utilizzazione di determinati contratti collettivi in sede di C.T.U., per cui di ciò non deve tenersi conto in questa sede.
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
La Corte territoriale non ha infatti affermato in via di principio che il tempo necessario al dipendente per recarsi sul luogo di lavoro debba essere considerato come lavorativo, correttamente richiamando viceversa la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 14 marzo 2006 n. 5496), citata anche dalla società ricorrente, secondo cui ciò si verifica unicamente nel caso in cui lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione, il che in particolare si verifica ove il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta destinato in diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa; che è la situazione concretamente accertata nel caso di specie, in cui il XXX era altresì gravato dell’ulteriore incombenza di guidare l’automezzo aziendale verso tali località, trasportando mezzi e uomini.
Infine, la società invoca “l’art. 12 del C.C.N.L. all’epoca vigente”, per sostenere che, alla stregua di tale norma, il dipendente che percepisce (come il XXX ) la diaria di trasferta sarebbe obbligato a trovarsi sul luogo di lavoro per l’ora stabilita.
In proposito, va peraltro rilevato che non solo tale deduzione non è specificata con la riproduzione della norma contrattuale collettiva invocata, ma quest’ultima non risulta neppure contestualmente depositata nella cancelleria della Corte, come prescritto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369, 2° comma n. 4 c.p.c. (né, del resto, prodotta in sede di giudizio di merito, come rilevato dalla stessa sentenza di appello, sul punto non censurata).
Concludendo, il ricorso va respinto, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle relative spese, così come operato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al XXX le spese di questo giudizio, liquidate in euro 16,00 per spese ed euro 1.500,00, oltre accessori di legge, per onorari, che distrae all’avv. D. P.
Depositata in Cancelleria il 26.07.2010