Fin dall’inizio della guerra dello Stato alla Scuola Pubblica, che continua con le ostentate e provocatorie rassicurazioni recentissime di Monti alle scuole “non statali”, quelle che ci fanno crollare, coi loro pessimi risultati, agli ultimi posti delle classifiche OCSE, per intenderci, è sempre stata una sorpresa dolorosa, rinnovata ad ogni dichiarazione sprezzante e ad ogni servile proscinesi ai distruttori della Scuola, il constatare che i presidi non stavano dalla parte della Scuola della Costituzione, ma dalla parte dei mercanti che sono entrati nel “tempio” di quella che fu un’Istituzione e che è stata ridotta a “servizio”, tagliando fondi, umiliando e diffamando i docenti (andassero a lavorare!), riducendo il monte-ore di materie portanti, soprattutto di quelle umanistiche, notoriamente inutili perché notoriamente inutile, anzi nocivo, nell’attuale contesto socio-economico e politico, è il saper pensare con la propria testa, sopprimendo laboratori e ricacciando gli ingombranti disabili nelle buie segrete della vergogna, specie quando la classe è chiamata a bere la pozione INVALSI, “somministrata” solo a quelli che Darwin chiamava i “fittest “, i più attrezzati alla sopravvivenza.
Siamo rimasti sgomenti di fronte al rito, trionfalmente e fieramente celebrato dai presidi, del passaggio dal ruolo di fautori e garanti di processi culturali e formativi al ruolo di promoter ed entusiasti procacciatori d’affari dell’“azienda-scuola”.
Da presidi a “dirigenti” d’azienda, da intellettuali a veri padroni, piccoli e felici Marchionne coi sottoposti da bacchettare e far tremare, col potere puerile e violento della legge del più forte, quella che la Scuola insegnava a spregiare e a rinnegare, con l’osso della ricompensa da dare al più ruffiano e la minaccia di licenziamento da ruggire contro il dissenziente, contro il contestatore retrivo e nemico delvero progresso, quello, cioè, che regala agli alunni un buono per comprare la carta igienica alla propria Scuola ogni 50 euro di spesa effettuata nel Supermarket X.
Pensavamo che l’avrebbero presa come un’offesa grave; invece l’hanno intesa come una “promotio ad regnum“: finalmente anche loro manager cazzuti e spregiudicati; finalmente anche loro “utili” e “integrati” nel sistema produttivo dei warlords del mondo, quello che ruota attorno a Wall Street! In un certo senso, è accaduto nuovamente quel che accadde sotto il fascismo, quando i prof., specie quelli di Lettere classiche, ahimé, come Luciano Canfora suggerisce ne “Le ideologie del classicismo“, giurarono con entusiasmo fedeltà al regime liberticida perché la rozza riesumazione delle simbologie imperiali e imperialistiche di Roma da parte del Duce li lusingava, illudendoli di costituire finalmente il perno ideologico-culturale del paese… Un bel “riscatto”, non c’è che dire!
Nella nostra solitudine, e vivendo sulla nostra pelle, nelle scuole, il mutamento in peggio dei rapporti tra i docenti e i “dirigenti”, che hanno introiettato con rapidità incredibile il modello “Marchionne”, senza mai ribellarsi alle meretricie pratiche imposte loro dai ministeri degli ultimi governi e allo scadimento del livello di conoscenza e di consapevolezza degli alunni, di cui i rettori universitari denunciano giustamente l’imbarazzante incapacità di padroneggiare la lingua-madre, abbiamo spesso riflettuto sulla debolezza, indifferenza o miseria morale e umana di questi individui, che devono essere stati sicuramente pessimi insegnanti prima di diventare pessimi presidi e, poi, senza traumi, validi “grossisti” della Scuola.
Nel leggere le ultime dichiarazioni di una dirigente pervasa anch’ella dal sacro fuoco del “taglio”, inteso purgativamente e liberatoriamente come “igiene” del mondo scolsatico, proviamo pena infinita, ma anche rabbia, nel vedere la facilità acritica con cui viene accettato e ripetuto il salmo del risparmio necessario, come se la crisi l’avesse determinata lo “scialo” dei docenti e, quindi, dovessero ora pagarla loro, come se le risorse fossero state finora equamente distribuite, come se non ci fossero stati e ci fossero vergognosi sprechi che nessuno intende “tagliare” e che ci siamo ormai stancati di elencare!
Soprattutto, però, ci fa rabbia la prospettiva distorta attraverso cui, in malafede, la preside (Uh! Pardon: la DIRIGENTE!) pretende di riprodurre e rappresentare quella che sarebbe la nostra visione della scuola, cioè un allegro “carrozzone” sfasciato per mediocri sagome di falliti (cioè “non-manager”), desiderosi di trovarsi una “nicchia” nella quale sopravvivere con lo stipendio minimo senza far niente fino al passaggio nella nicchia ultima e ultimativa.
E ci fa rabbia, ancora, constatare il compiacimento assurdo, degno di un ignorante astioso verso quella scuola dalla quale è stato messo di fronte ai propri limiti, con cui si approva la “riconversione” dei docenti come una normale e brillante “ottimizzazione” delle “risorse umane”, come se fare lezione di matematica anziché di scienze fosse lo stesso che andare ad avvitare bulloni invece che viti a stella!
La Purger e i suoi colleghi non arrivano a capire che la riconversione è l’ennesima umiliazione inflitta in primis ai presidi, considerati dirigenti di un settore “morto” e pieno di lavoratori che la prepotenza analfabeta di questo governo ignobile e non eletto continua a trattare da “generici” e “fungibili”, come i lavacessi; non arrivano a capire che difendere la professionalità dei loro docenti significa difendere la propria dignità di figure necessarie e non “tollerate” graziosamente da un potere che chiede la rinuncia ai diritti in cambio della conservazione del posto di lavoro!
A quest’ultimo proposito, insulsa e davvero indecente ci pare la considerazione della Purger che dovremmo essere felici di essere dequalificati e umiliati perché “c’è chi sta peggio“, come i lavoratori dell’ILVA! Ancora una volta viene instaurato un parallelo assolutamente incongruo con realtà produttive che non hanno nulla a che vedere, per struttura, funzione e finalità sociali, con la Scuola, e, cosa più grave, viene colpevolizzato, con inaccettabile inversione e perversione valoriale e logica, il docente che rivendica il sacrosanto diritto al rispetto e alla dignità, sostenendo, con un minimalismo etico che spaventa e agghiaccia, che i diritti sono un lusso che non ci si può permettere nel momento in cui (per garantire a pochi il godimento dei loro storici privilegi!) si tratta di salvare la pagnotta!
Sicuramente questa rampantissima dirigente non ha mai compreso la ricchezza di significati racchiusa nel motto: Vogliamo il pane e le rose. Noi docenti, precari e di ruolo, interessati davvero a che voi non trasformiate la Scuola in un carrozzone circense in cui si ammaestri la gioventù a fare qualche bel “numero” pour épater le buorgeois, mettendo crocette su quesiti stolidi e meccanizzanti , vogliamo il pane e le rose, perché ci spettano e perché una crisi non provocata da noi non può tagliare gli orizzonti del diritto e della felicità a chi ha studiato e lavorato per garantire quell’uguaglianza che il paese ha statuito di attuare attraverso la Scuola della Repubblica.
Vogliamo il pane e le rose significa che non vogliamo solo entrare in classe a fare qualunque cosa pur di portare a casa uno stipendio (che fino alla pensione sarà comunque equivalente a quello di un apprendista in fabbrica), ma per dire ai ragazzi, attraverso le discipline che amiamo e che costituiscono la nostra personale cifra di indagine a largo raggio politica, che la loro preziosità non consiste nell’essere indiretti e ignari committenti di affari per imprese che arrogantemente pretendono di “naturalizzare” un modello di sviluppo sperequatorio e predace, che premia gli evasori e i furbi, mortifica l’intelligenza, denigra la cultura e sputa sulla legge, bensì nel loro essere individui che, investigando con rigoroso metodo il passato, analizzando con realismo critico il presente e prefigurando con creativo coraggio il futuro, si preparano a dare il loro contributo di umanità e di ingegno al vero progresso sociale.
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