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Prove TFA. Qualche idea per voltare pagina

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tratto dal blog di Max Bruschi (consigliere dell’ex Ministro Gelmini e attuale dirigente dell’Ufficio III  dell’USR Lombardia) – Innanzitutto, complimenti a tutti coloro i quali hanno superato le prove preselettive per l’accesso ai percorsi di tirocinio formativo attivo. Spiace, a volte, vederli additati come degli appestati o dei lebbrosi, quasi che il loro risultato sia frutto di un furto e non di studio o cultura personale. Saranno stati anche fortunati, ma sono stati soprattutto bravi. E hanno tranquillamente ripreso a studiare. Spero davvero che nessuno pensi di ledere, in alcun modo, il loro sacrosanto diritto a proseguire nel cammino.
Detto questo, una riflessione si impone. Potrei, a dire la verità, starmene a guardare con un sogghigno l’inenarrabile caos scatenatosi intorno ai test TFA. O, ancora, salire sul banco della pubblica accusa e inveire contro chi, non sapendo pedalare, con uno spintone si è impossessato della bicicletta che altri avevano costruito.

Amicus Plato, sed magis amica veritas, però. E allora provo un’altra strada, non semplice, meno popolare, ma che forse può essere di aiuto in mezzo alla canea scatenatasi in questo mese di luglio.
Sul banco degli accusati, errori o opacità nei quesiti, un eccesso di nozionismo (spinto, in alcuni casi, all’estremo) che ha provocato, in alcune classi di concorso, un’autentica mattanza.
E’ inoppugnabile: ci sono stati errori. Magari meno di quelli denunciati, ma decisamente troppi. E che comunque non ci dovevano essere. Si sia trattato di sviste, dovute a una memoria incerta (il titolo di un racconto di Buzzati) o a un mancato aggiornamento (un quesito in francese), le brutte scivolate hanno gettato un’ombra sull’intera procedura.

In certi casi, basta purtroppo un solo errore per “fare notizia”. Quando poi gli errori si ripetono, il guaio assume dimensioni esponenziali, inducendo alcuni a gridare allo strafalcione anche quando strafalcioni non ce ne sono e ad assistere a scene da “assalto ai forni”, in questo caso a siti web che pubblicano senza filtri anonimi atti di accusa, a volte fondati, a volte fantasiosi. Chi ha sbagliato nella predisposizione degli item porta dunque, oltre al fardello dell’aver gettato discredito sul Ministero, la responsabilità aggiuntiva di aver vellicato l’italico piagnonismo.

Gli “onnipotenti analfabeti” di cui ha parlato Luciano Canfora (non tutti analfabeti, però, e comunque, anche chi ha sbagliato, non più analfabeta di chi, nell’ateneo dell’esimio filologo, parlavano all’epoca delle SSIS di risposte da contenere in “15 RIGHI” o piazzavano un bel “qual’è” tra i quesiti: il riferimento d’obbligo è a Matteo 7, 1-5) hanno combinato un grosso guaio. Spetta all’amministrazione, se e quando lo vorrà, rendere noto l’elenco degli autori, magari distinguendo tra chi ha sbagliato e chi errori non ne ha compiuti, visto che è proprio brutto essere gettati, da incolpevoli, nel tritacarne.
Tornerò dopo sulla inadeguatezza, vera o presunta, colpevole o colposa, degli item.

La domanda, però, resta. Ma chi saranno mai, costoro? Dei grigi burocrati pescati non si sa dove, o non piuttosto un misto di ispettori, docenti di scuola, docenti universitari, tutti con una ampia esperienza nel campo della predisposizione delle prove SSIS? Siamo così sicuri che chi si è sobbarcato (e gli va detto grazie) il coordinamento dell’immane e gratuita baracca sia proprio così sprovveduto? Che le colpe debbano ricadere su inesistenti burocrati e non invece su una parte almeno di quell’accademia o di quella scuola reale che oggi grida allo scandalo?

Pochissimi, ma da censurare, sono stati gli episodi di scarsa vigilanza da parte delle commissioni. Incredibile il “buco” dell’Università di Catania (che, ci si immagina, avrà esemplarmente punito i responsabili del mancato svolgimento delle prove). Chi ha violato, se lo ha violato, il protocollo di somministrazione o quello di vigilanza non può farla, come al solito, franca, perché altrimenti chi è stato corretto sarà additato come una carogna e gli aspiranti che si sono comportati secondo le regole come dei “fessi”. Sempre che alle decine di denunce anonime (sovrastate, però, dalle lamentele o dai ringraziamenti per comportamenti quasi polizieschi) che corrono sul web seguano altrettante denunce firmate alle autorità competenti. Abbassare la testa fa passare dalla parte del torto. Spargere illazioni è vergognoso.

Ma la questione delle questioni è un’altra. A prescindere dai risultati delle singole classi di concorso, vale la pena soffermarsi su tre dati.
Il primo è che chi rimpiange i test SSIS si comporta come i laudator(es) temporis acti di oraziana memoria. Solo che la memoria, per l’appunto, fa difetto. A scorrere le vecchie prove o il repertorio più vasto, pubblicato dalla SSIS Puglia, c’è più o meno la stessa proporzione di quesiti facili, medi, difficili, difficilissimi o, banalmente, ottusamente nozionistici. Per intenderci, come scritto da una mia delusa, ma non piagnona, corrispondente, “difficilissimo” è chiedere le ragioni della scansione scelta da Gugliemo Gorni per la sua edizione della “Vita nova”.  Ottuso è chiedere contezza dell’ormai celebre Amafinio o di Kaspar Hauser. E si potrebbe andare avanti a lungo, con l’avvertenza che spesso sono stati sbrigativamente giudicati come irrilevanti item che invece riguardavano fatti, autori, opere importanti, o che nel nervosismo post prova ci si sia appellati a Wikipedia per gridare all’errore, dove invece errore non c’era. La vera differenza tra queste prove e le prove SSIS è che le prove TFA sono nazionali, e dunque rappresentano un bersaglio “grosso”, e che l’ultima tornata di selezioni SSIS si è svolta prima che il web mostrasse tutto il suo potenziale di “visibilità” delle proteste.

Secondo dato, ci sono buchi nella preparazione universitaria. Non sto parlando di scarsa qualità dei laureati in questo o quel settore. Sto parlando di falle, quando non di voragini, tanto nelle conoscenze di base (la “parte istituzionale” degli esami, croce e delizia del vecchio ordinamento), quanto in alcune aree che si sono dimostrate spesso scoperte e che neppure l’eventuale studio individuale è riuscito a colmare. Per fare due esempi, la letteratura italiana contemporanea (parte integrante, peraltro, delle nuove indicazioni nazionali) risulta pressoché sconosciuta a legioni di candidati, pur magari ferratissimi in altre discipline. La linguistica, la glottologia  e la teoria della letteratura appaiono, del pari, ignote a un numero astronomico di candidati per lingua e cultura straniera, per i quali pure rappresenterebbero parti essenziali della “cassetta degli attrezzi”.

E veniamo al terzo dato, a mio parere il più rilevante. Alle prove è mancato (ma mancava in generale anche alle prove SSIS, con rare, felici, eccezioni) un “filo logico”, un “quadro di riferimento” o, meglio ancora, la definizione di uno standard di argomenti disciplinari imprescindibili, il cui possesso è ritenuto essenziale per poter dimostrare altre competenze nelle prove scritte e orali e per entrare nel percorso abilitante.

Senza standard, non solo ciascuna prova futura sarà destinata a essere contestata (lo sarebbe comunque, non ci si illuda), ma si perderebbe di vista l’oggetto di ogni selezione, e cioè il tipo di risultato che si vuole ottenere. Anche la “selezione più selettiva”, senza avere ben chiaro chi si vuole che la superi, si tramuta in una decimazione senza costrutto, perché la tipologia dei selezionati non corrisponde a una “tipologia” qualitativa di aspirante da inserire in formazione.

Il problema, i problemi che ho evidenziato si pongono per tutte, o quasi, le classi di concorso. Risultano, per alcune, magari paradossali. Per le prove di lingua straniera, ad esempio, esistono quadri di riferimento internazionale consolidati dalle “certificazioni”, che mi sembra sia stato indicato di NON utilizzare, e che invece rappresenterebbero un eccellente punto di partenza. Per altre, di difficile ma non impossibile soluzione. E’ il caso delle discipline umanistiche, il cui sterminato potenziale canone va invece rigorosamente definito, anche a costo di suscitare il malpancismo dei sostenitori di questo o quell’autore. Ma non sarebbe utile una mera azione di potatura, senza una accurata definizione della tipologia degli item, volta a privilegiare alcune competenze e conoscenze approfondite, piuttosto che una estensione meramente enciclopedica.

Ecco, se si ripartisse almeno da questi elementi, anche e soprattutto in vista delle future preselezioni per il secondo ciclo TFA e per il prossimo concorso, si potrebbe rimettere in carreggiata un meccanismo preselettivo tanto inevitabile quanto, allo stato attuale, discusso e discutibile. Altre opzioni, naturalmente, sono possibili: dal “librone” da imparare a memoria a una generale facilitazione delle prove.

Ma spero si possano, per una volta, privilegiare le scelte più adeguate e non le più, apparentemente, facili.

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