Per rendere più rilevanti gli esiti delle prove dei concorsi si minimizzeranno voti, tipi di corsi e i titoli conseguiti negli atenei peggiori. Il Cdm ne tornerà a parlare il 27 gennaio. D’accordo Confindustria, Fondazione Agnelli e Lega. Contrari associazioni, sindacati e studenti.
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Il Governo Monti avrebbe intenzione di minimizzare il valore legale della laurea. In particolare l’esecutivo vorrebbe ridurre ai minimi termini il punteggio del titolo di studio accademico, al fine di rendere più rilevanti gli esiti delle prove dei concorsi, soprattutto quelli pubblici. Ma anche sminuire le lauree conseguite negli atenei meno prestigiosi (su indicazione dell’Anvur?), in particolare quelli che rilasciano la laurea dopo un percorso di studi poco faticoso o per tre quarti via internet (le cosiddette università telematiche). Allo studio vi sarebbe poi un “appiattimento” delle lauree conseguite: per accedere ad un concorso pubblico, tranne quelli che richiedono specializzazioni particolari, basterà essere in possesso del titolo, prescindendo dalla tipologia. L’intento è quello di rendere sempre più importanti, ai fini lavorativi, le competenze messe in mostra in sede di selezione. E non “nascondersi”, come avviene in alcuni casi, dietro meriti derivanti da punteggi non sempre rispondenti alla realtà. Il 22 gennaio un quotidiano nazionale ha riportato che se ne è già è stato parlato durante l’ultimo Consiglio dei ministri. Il tema è stato rimesso in agenda per il prossimo del 27 gennaio, in occasione del confronto che precederà la stesura del decreto semplificazione. Assieme a Confindustria e Fondazione Agnelli, si è schierato a favore del progetto il senatore Mario Pittoni, capogruppo Lega Nord commissione Istruzione del Senato, che proprio in questi giorni sta cercando di convincere il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, a guardare con interesse a ddl leghista sul reclutamento dei docenti: questo modello, ha spiegato Pittoni, “prevede l’inserimento dei nuovi abilitati nella “sezione aperta” di albi a carattere regionale (libera la scelta della regione ove collocarsi). Con la particolarità che la posizione in graduatoria, e quindi l’accesso al 50% delle cattedre, dipenderà dal risultato della somma del punteggio base (1/5 sui titoli, 4/5 su una valutazione approfondita effettuata a parità di condizioni con gli altri iscritti all’albo regionale) con il punteggio derivante dal concorso, che sarà su direttive nazionali – uguali per tutti – ma gestito a livello regionale”. Di parere opposto sono invece una serie di associazioni, sindacati e movimenti universitari, tra cui Flc-Cgil, Snals, Cisl, Cnru e Andu: attraverso un documento congiunto hanno fatto sapere “che il valore legale del titolo di studio rappresenta un elemento di certezza indispensabile nel nostro Paese e una funzione di garanzia dello Stato sull’equità e sulla correttezza dei rapporti tra i cittadini, che individua con certezza i contenuti di conoscenza da acquisire nell’Università”. Contrari al progetto che mette a rischio il valore legale del titolo di studio sono anche i diretti interessati, gli studenti: secondo Luca Spadon portavoce di Link, in questo modo “si incentiverà la nascita di atenei di serie A e atenei di serie B e si favoriranno solo quegli studenti che possono permettersi costosissimi master e decine di corsi di specializzazione post-laurea, a discapito di chi con fatica e sacrifici e’ riuscito a terminare gli studi universitari, nonostante le enormi lacune del sistema di diritto allo studio”. Gli studenti, insomma, non ci stanno: annunciano che se il Governo intende procedere con questa norma presto le piazze torneranno a riempirsi. |