Spareranno sui precari, ma spareranno a salve. I parlamentari berlusconiani stanno preparando lo sgambetto ai precari della scuola, ma le loro armi sono spuntate. Abbiamo scoperto perché, come spiegheremo più avanti. Intanto è partita all’attacco la fanteria. Pensatori ed esperti scolastici dell’ultima ora cominciano ad affollare le colonne dei giornali con toni che diventano preoccupati dopo le sentenze di molti giudici che hanno riconosciuto i diritti dei precari su vari fronti, come più volte abbiamo scritto, anche in anteprima. Questa gente non s’è mai preoccupata dello stato di sfruttamento del lavoro in cui versano decine di migliaia di precari storici con contratto annuale reiterato decine di volte (in tutto 150.000 docenti e 50.000 non docenti sempre anuali che garantiscono da sempre l’avvio, il decorso e la fine dell’anno scolastico) e solo oggi si dicono frastornati per il destino delle casse pubbliche dopo che hanno fatto leggi e leggine capaci di garantire a loro lauti stipendi per il loro presente e pensioni di cospicua entità per il (sempre) loro futuro.
Il vicepresidente Pdl della Commissione Lavoro della Camera, Giuliano Cazzola, scrive sul Sussidiario: “Due sentenze della magistratura mettono nei guai la Pubblica istruzione e potrebbero dare la stura, se non fossero corrette negli altri gradi di giudizio, a un contenzioso con effetti devastanti per le finanze pubbliche”. Cazzola si è accorto con qualche anno di ritardo che la magistratura sta facendo giustizia dello sfruttamento dei precari della scuola e ripercorrendo le tracce della sentenza del tribunale di Genova che ha risarcito alcuni precari con un molte decine di migliaia di euro a testa (mezzo milione nel totale) e della sentenza del Tribunale di Siena che ha stabilizzato un precario dopo alcuni anni di contratti a termine ripetuti senzasoluzione di continuità. Il parlamentare berlusconiano denuncia il pericolo di una debacle delle finanze dello Stato italiano. Il giudice di Siena (ma noi aggiungiamo quello Livorno), si allarma il deputato, avrebbe “ordinato, in pratica, la stabilizzazione dei ricorrenti che avevano già compiuto (da idonei) una lunga trafila nella scuola”. E poi aggiunge: “come è sempre avvenuto a causa delle caratteristiche stesse di quel tipo di impiego”. E “c’è da sperare – insiste Cazzola – che tali sentenze siano corrette negli ulteriori gradi di giudizio, dal momento che l’orientamento assunto sembra essere in palese contrasto con le norme di legge”. Se questo non bastasse, ci sarebbe un’arma segreta. “All’occorrenza”, insiste il Cazzola “è stata predisposta una norma di natura interpretativa (si parla di un emendamento alla legge comunitaria, in aula alla Camera questa settimana)”. Da sempre, conclude il deputato, “l’organizzazione del lavoro nella scuola richiede di utilizzare personale straordinario per far fronte alle supplenze, alle sostituzioni e quant’altro”. Ora, a parte che la Corte d’appello di Firenze ha appena sospeso gli effetti della sentenza del Tribunale di Siena, per la gioia di Cazzola, che ancora non lo sa, quest’ultimo dovrebbe però preoccuparsi del fatto che la mancata stabilizzazione del precario dev’essere per forza controbilanciata e giustificata con un molto lauto risarcimento del medesimo lavoratore perché così impongono le norme italiane (decreti legislativi 165 e 368/2001) e quelle comunitarie. Non si capisce dove possa rinvenirsi l’interesse dello Stato datore di lavoro ad avere un tenersi un dipendente precario-stabile e super indennizzato invece che un dipendente di ruolo su quello stesso posto, pagato in maniera “normale”. Eppure, stanno preparando un blitz alla Camera. Il fatto è che ci avevano tentato due anni or sono inserendo nel decreto Salvaprecari del 2008 (poi diventato legge 133) una norma, poi espunta, che prevedeva che la reiterazione dei contratti nella scuola non solo non dava diritto a una stabilizzazione del precario abusato ma anche che il precario medesimo non avrebbe maturato alcuno scatto di anzianità. Ora tornano alla carica con ? Non sappiamo con quale faccia ma conosciamo lo strumento: “un emendamento alla legge comunitaria”, spiega il nostro. Ebbene, abbiamo scovato un parere redatto dal Servizio Studi-Dipartimento Affari Comunitari della Camera durante l’iter di formazione della legge salvaprecari. Proprio grazie a questo parere la norma ammazzadiritti è stata eliminata. Il parere, poi girato al legislatore fa riferimento alla Nota della Direzione Generale per il personale scolastico del Miur del 25 settembre 2008 secondo la quale “il rapporto di lavoro che s’instaura tra il docente supplente e l’amministrazione scolastica ha caratteristiche del tutto peculiari, tali da giustificare e da rendere necessaria una diversità di trattamento, poiché il regime specifico delle supplenze nel settore della scuola si caratterizza quale disciplina separata e speciale, nell’ambito dei rapporti di lavoro a tempo determinato, in ragione della necessità di garantire, attraverso la continuità didattica, il diritto costituzionale all’educazione, all’istruzione e allo studio (…)”. Tale diversità di trattamento, prosegue preoccupato il Servizio Studi, “troverebbe fondamento nel fatto che le supplenze sono caratterizzate sia dalla precarietà del rapporto, legata all’assenza del titolare, sia dalla mancanza di continuità, in quanto i vari periodi di servizio di supplenza attengono a diversi contratti di lavoro”. L’Ufficio studi ha proseguito consigliando al legislatore di soprassedere. Vi si legge: “Tuttavia la disposizione in oggetto potrebbe venirsi a trovare in contrasto con le previsioni della direttiva 1999/70/CE e con quanto statuito nella Sentenza C-307/05. Potrebbero mancare infatti “ragioni oggettive”, secondo la richiamata interpretazione che la Corte ha dato di questa nozione, tali da giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato comparabili”. Inoltre, si spiega ancora, la disciplina prevista dalla norma poi espunta dall’art. 1 del decreto-legge salavaprecari “potrebbe sollevare questioni di incompatibilità” con alcune norme comunitarie che stabiliscono “un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, ivi comprese le condizioni di retribuzione”. E si tratta di norme comunitarie non campate per aria, come il governo appoggiato da Cazzola, ma da norme comunitarie che secondo il Servizio Studi della Camera s”ono state recepite nell’ordinamento nazionale con il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216, recante disposizioni volte all’attuazione della parità di trattamento tra le persone per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, indipendentemente dalla religione, dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall’età e dall’orientamento sessuale. Il decreto stabilisce le misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione, in un’ottica che tenga conto anche del diverso impatto che le stesse forme di discriminazione possono avere su donne e uomini”. Siamo di fronte, dunque, a un’interpretazione “autentica” del problema. Stiamo cioè dicendo che lo “stesso” Parlamento ha già interpretato la problematica in senso favorevole ai precari. In attesa di conoscere la natura dell’annunciato blitz parlamentare, ci alletiamo con una riflessione relativa a un’altra allarmata intuizione di Cazzola. Quest’ultimo tempo fa si era appena allarmato (ancora lui) dopo avere scoperto che la scuola conta pochi insegnanti laureati in giurisprudenza e tanti in lettere. Il problema era stavolta rappresentato dall’ignoranza degli studenti in questioni di legge e di economia. Nel commentare un’analisi condotta nel 2009 dalla Fondazione Agnelli sugli insegnanti appena assunti a tempo indeterminato, Cazzola ha scritto che solo il 2,9 per cento del campione usato dalla Fondazione nella sua analisi è laureato in giurisprudenza, mentre ben il 42 per cento è laureato in lettere! Ci limitiamo a riportare qui quanto abbiamo scritto nel libro “Una vita da supplente” e cioè che “la proporzione denunciata è invece ovvia, giacché corrisponde alla proporzione usata dal ministero per la scelta delle discipline da premiare con l’immissione in ruolo”. Se sul totale degli immessi in ruolo solo il 2,9 è laureato in giurisprudenza è perché si è scelto ancora una volta di mantenere nel precariato pluridecennale gli insegnanti di diritto”. Una situazione che Cazzola ancora oggi desidera che continui a persistere.
Vincenzo Brancatisano
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