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Gelata sui precari storici: senza concorso non si entra

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Collezionare incarichi di supplenza per anni e anni non dà titolo all’immissione in ruolo. Perché la Costituzione prevede che le assunzioni a tempo indeterminato nella scuola devono avvenire per concorso. E in ogni caso, la normativa italiana che vieta la conversione dei contratti non viola la normativa comunitaria. 
Tanto più che lo ha detto anche la Corte di giustizia europea. Così ha deciso la Corte d’appello di Perugia, con una sentenza depositata l’8 marzo scorso (n.524). La pronuncia si pone in netta controtendenza rispetto all’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito di I grado. E rischia di mandare in fumo le speranze di migliaia di docenti precari, che avevano sperato nella via giudiziaria per ottenere l’immissione in ruolo o almeno un risarcimento in denaro. L’immissione in ruolo per sentenza è avvenuta peraltro in casi sporadici. Per esempio nel caso del Tribunale di Siena (sentenza 699/2009). Il risarcimento, invece, è stato disposto nella stragrande maggioranza delle decisioni fin qui adottate dai giudici di merito.                
 Che hanno escluso la possibilità della conversione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato, ma hanno condannato l’amministrazione scolastica a pagare ai ricorrenti le differenze retributive, tra quanto avrebbero percepito se fossero stati immessi tempestivamente in ruolo e quanto hanno realmente ottenuto per effetto dei contratti a termine. La prevalente giurisprudenza di I grado ha ritenuto che il risarcimento fosse dovuto a titolo di sanzione per l’amministrazione a causa dell’abuso dei contratti.
Mentre altri giudici hanno ritenuto di adottare tale decisione in applicazione del principio di non discriminazione tra lavoratori precari e di ruolo, contenuto nella normativa europea. In questo ultimo filone si inquadra anche una recente sentenza del tribunale di Genova che ha disposto un risarcimento di circa 500mila euro in favore di un gruppo di precari. Si tratta però di pronunce di giudici di primo grado. Unica eccezione una sentenza della Corte d’appello di Brescia ( 87/10). Che però ha semplicemente disposto il pagamento delle mensilità di stipendio estive ad alcuni precari ricorrenti, che avevano lavorato solo fino al 30 giugno. Finora, dunque, la maggior parte dei giudizi non ha ancora affrontato il vaglio dei successivi gradi del procedimento. E la pronuncia della Corte d’appello di Perugia, quindi, è la prima sentenza di II grado che esamina la questione sotto tutti i suoi aspetti. Non solo sotto il profilo della normativa comunitaria. In riferimento alla quale esclude la illegittimità della mancata previsione della conversione dei contratti in caso di reiterazione degli stessi, citando la stessa giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza 07/09/2006, causa C-180/2004 e sentenza 07/09/2006, causa C-53/2004). Ma anche e soprattutto entrando nel merito, analizzando la natura della reiterazione dei contratti sotto il profilo sostanziale e alla luce della normativa interna. Il tutto giungendo alla conclusione che l’amministrazione non commette alcun abuso nel conferire ripetutamente supplenze «posto che ciascun contratto è svincolato dai precedenti, non costituendone proroga o prosecuzione, e talvolta attiene alla copertura di posti situati i sedi diverse». Supplenze che, anche se ripetute, sono legittime dal punto di vista giuridico, perché la normativa che esclude la conversione dei contatti è di natura speciale. E quindi essa non è stata abrogata dalle successive disposizioni che sanzionano l’abuso dei contratti a tempo determinato nel settore privato. La normativa speciale, infatti, deroga la normativa generale e prevale su di essa limitatamente agli ambiti specifici a cui fa riferimento.  (da Il Tirreno di Antimo Di Geronimo)

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