da aetnanet: Via libera alle immissioni in ruolo dei precari oppure agli aumenti di stipendio legati all’anzianità di servizio. Senza passare per l’autorizzazione del ministero dell’economia. Ma a patto che sia un giudice a disporlo. La normativa europea vieta sia la reiterazione delle supplenze che gli stipendi più bassi per i precari e siccome prevale su quella nazionale, legislativa o contrattuale, il giudice italiano può disapplicare la normativa interna applicando direttamente quella comunitaria. È questo il principio che si evince da due recenti sentenze di giudici del lavoro, le ultime di una lunga serie,depositate in questi giorni. (da ItaliaOggi di di Antimo Di Geronimo)
La più recente è del 25 gennaio scorso, ed è stata emessa dal giudice del lavoro di Livorno (r.g. 428/2000), che ha disposto l’immissione in ruolo dei ricorrenti. E la seconda è del 3 gennaio, ed è stata emessa dal giudice del lavoro di Trieste (n.503/2010), che ha condannato l’amministrazione scolastica ad attribuire ai ricorrenti la ricostruzione di carriera. Le pronunce si inquadrano in un vero e proprio filone, ingenerato dal recente orientamento della giurisprudenza comunitaria, basato sulla direttiva 28/6/99/70 CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. Da questo orientamento si evincono due principi: il principio di non discriminazione tra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato, (a tutela del quale è prevista la prevenzione dell’abuso derivante dalla reiterazione del lavoro a termine tramite l’applicazione di sanzioni) e il principio di eccezionalità del contratto di lavoro a termine, mentre la regola è il lavoro a tempo indeterminato. Va detto, inoltre, che la Corte di giustizia europea, a differenza del giudice italiano, è un giudice di common law. E quindi le relative sentenze immettono diritto nell’ordinamento vincolando direttamente la giurisprudenza. A fronte di tale situazione, il giudice italiano può seguire tre strade. La prima è quella di rimettere gli atti alla Corte costituzionale, se dovesse dubitare della costituzionalità delle disposizioni da applicare al caso in esame. Qualora le disposizioni italiane non dovessero essere conformi all’ordinamento comunitario, infatti, esse sarebbe incostituzionali per contrasto con l’articolo 117 della Costituzione. La norma costituzionale, infatti, vincola l’esercizio della potestà legislativa oltre che alla Costituzione anche ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. La seconda possibilità è quella si di sollevare una questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia, chiedendo direttamente ai giudici comunitari di pronunciarsi circa la compatibilità della norma italiana rispetto all’ordinamento comunitaria. La terza via, invece, è quella di applicare direttamente la norma comunitaria disapplicando quella italiana. Ed è esattamente quello che hanno fatto i giudici del lavoro di Livorno e Trieste. Il giudice di Livorno, dopo avere accertato la illegittimità della reiterazione dei contratti a termine effettuata dall’amministrazione scolastica nei confronti dei ricorrenti, ha disposto la loro immissione in ruolo. In ciò sposando la tesi affermata dal giudice del lavoro di Siena (r.g. 662/2010) che al risarcimento per equivalente (in denaro) ha preferito la reintegrazione in forma specifica ( l’immissione in ruolo). Il giudice del lavoro di Trieste, invece, ha ritenuto di disporre la corresponsione delle differenze retributive tra il trattamento riservato ai ricorrenti rispetto a quello che avrebbero percepito se fossero stati immessi in ruolo (la cosiddetta ricostruzione di carriera).