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Firmata dal Capo dello Stato la riforma Gelmini

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E dunque la riforma Gelmini va. Infatti il Capo dello Stato non ha «ravvisato nel testo motivi evidenti e gravi per chiedere una nuova deliberazione alle Camere». Tuttavia i tecnici del Quirinale hanno fatto una attentissima lettura di questa legge – il cui testo occupa 37 pagine della Gazzetta Ufficiale e si snoda in 29 articoli – e hanno rilevato quattro elementi di criticità sui quali il Presidente Napolitano chiede al Governo di intervenire nel momento in cui la legge verrà declinata nella massa (circa una cinquantina) dei decreti attuativi, attesi da qui a giugno prossimo.
Venendo al dettaglio, il Capo dello Stato evidenzia delle criticità negli articoli 4, 23 e 26 della legge, ma ricorda anche una svista della quale il governo aveva già preso atto ma che, tuttavia, permane nel testo all’articolo 6. 
Cominciamo da quest’ultimo punto. L’articolo 6 si riferisce allo stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo. Il comma 5 introduce una modifica a una norma citata nella riforma Moratti del 2004, ma poi abrogata. Si parla, dunque, di qualcosa che non esiste più nella legislazione italiana. La cosa fu fatta notare al governo e il ministro Gelmini si impegnò, il 21 dicembre scorso in Senato, a rimuovere il contestato comma. Il Capo dello Stato si limita a ricordare questo impegno.
Più di merito le altre questioni. «Per quanto concerne l’art. 4 relativo alla concessione di borse di studio agli studenti – dice il Quirinale – appare non pienamente coerente con il criterio del merito nella parte in cui prevede una riserva basata anche sul criterio dell’appartenenza territoriale». In effetti il testo, al punto 3 comma O, riporta una norma di evocazione leghista, secondo cui almeno il 10% delle borse di studio debbano essere riservate agli studenti della Regione, e questo – rileva il Presidente – stride con un principio di meritocrazia.
«Inoltre – dice sempre il Quirinale – l’art. 23, nel disciplinare i contratti per attività di insegnamento, appare di dubbia ragionevolezza nella parte in cui aggiunge una limitazione oggettiva riferita al reddito». La norma, infatti, dice che i professori a contratto debbano avere, oltre ai titoli scientifici, anche un reddito non inferiore a 40 mila euro: un dato ritenuto dal Quirinale incongruo rispetto alla funzione didattica.
Infine Napolitano fa riferimento all’articolo 26, che riguarda i lettori stranieri di lingue, e osserva che il testo non tiene conto di alcune indicazioni della Corte costituzionale: in sostanza va riscritto.
Il Presidente della Repubblica conclude la sua lettera, facendo osservare al governo che ci sono una serie di ordini del giorno dei quali occorre tenere conto. In particolare ne cita due, uno firmato dal senatore Antonio Rusconi del Pd, che impegna le università, nel momento in cui fanno un contratto a un ricercatore (3 anni più 3 più 2) ad accantonare fin dall’inizio le risorse necessarie, affinché non si dia il caso che un contratto non venga onorato solo perché i soldi sono finiti.
L’altro, firmato dal senatore del Fli Giuseppe Valditara, è quasi un progetto di legge, tant’è che consta di 16 articoli e tocca materie rilevanti come l’eliminazione del blocco del turn over per gli atenei virtuosi, l’abolizione del 3+2 per quelle facoltà che ne facciano richiesta, l’istituzione di un fondo per le eccellenze, eccetera.
Il ministro Mariastella Gelmini ha accolto con il rispetto del caso le indicazioni del Quirinale: «La promulgazione – ha sottolineato – è un fatto positivo. Insieme al governo e al presidente Berlusconi certamente terremo conto delle osservazioni del Colle».
Quanto agli studenti protagonisti della grande protesta e ricevuti al Quirinale, hanno preso bene la lettera ma non demordono: «Il fatto che il presidente abbia promulgato il ddl non ci stupisce – afferma Luca Cafagna, di Uniriot Roma – perché nonostante sia stato l’unica figura istituzionale ad aver cercato di relazionarsi con il movimento studentesco, c’è una scelta generale di non farsi carico della proposta e dell’iniziativa politica degli studenti». Per questo, aggiunge Elena Monticelli, di Link-Coordinamento universitario, «riteniamo che la mobilitazione debba continuare». (da La Stampa Raffaello Masci)

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