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L’Aran ha deciso: il decreto non si applica nell’immediato alla scuola, servono criteri ad hoc. Slitta la meritocrazia nella distribuzione delle risorse interne.

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 decreto Brunetta lascia intatti i contratti di istituto. Lo ha fatto sapere l’Aran, lAgenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, con una nota trasmessa al ministero dell’istruzione a fine dicembre. Il provvedimento è stato reso noto alle scuole dall’amministrazione scolastica con una nota emanata l’11 gennaio (prot. n. AOODGPER. 161) e sgombra il campo dai dubbi sulla validità dei contratti di istituto. La questione riguarda la cosiddetta ultrattività dei contratti collettivi: una regola generale che vale anche per la scuola e che consiste nell’automatica proroga della vigenza dei contratti fino a quando non venga stipulato il contratto successivo.

Il ministero aveva investito l’Aran della questione e ora l’agenzia, sotto la guida del commissario Antonio Naddeo, ha fugato ogni perplessità: i contratti rimangono in vigore. Le nuove disposizioni, infatti, impongono semplicemente alle amministrazioni di adeguare la distribuzione del compenso accessorio all’introduzione delle nuove gerarchie interne (il cosiddetto merito). Gerarchie che, almeno per il momento, non riguardano la scuola, per la quale sono previsti ulteriori provvedimenti ad hoc.

Insomma, sulla distribuzione del fondo di istituto non cambia nulla. Qualche mutamento potrebbe interessare, invece, le sanzioni disciplinari. Ma anche in questo caso nel se ne farà nulla fino a quando le parti non si riuniranno a livello nazionale, per definire la disciplina delle infrazioni. Non è escluso, infatti, che le parti possano devolvere ai tavoli negoziali decentrati parte della materia. Sempre però nel rispetto delle norme di legge.

Fermo restando, però, che la materia delle sanzioni disciplinari non è mai stata materia di contrattazione integrativa di istituto e, quindi, anche quest’ultima considerazione non incide in alcun modo sulla vigenza degli attuali contratti integrativi di istituto.

In ogni caso, l’Aran ha spiegato che il decreto legislativo 150/2009 non modifica la regola generale secondo la quale i contratti sia nazionali che integrativi restano in vigore fino alla sottoscrizione dei successivi. E quindi si è trattato di un falso allarme.

Non di meno, la contrattazione collettiva nel pubblico impiego, scuola compresa, esce piuttosto malconcia dopo l’entrata in vigore degli ultimi provvedimenti ammazza-contratti. In primo luogo dopo l’entrata in vigore della legge 15/2009, che ha cancellato la possibilità di introdurre trattamenti migliori rispetto a quelli previsti dalla legge. E poi dopo gli altri provvedimenti che si sono succeduti riguardo alla riduzione della retribuzione per i lavoratori in malattia. A ciò si aggiunge anche l’inasprimento delle sanzioni disciplinari, con relativa cancellazione della possibilità di comporre le controversie senza andare dal giudice.

E infine la riduzione del tavolo negoziale sulle retribuzioni a strumento residuale, operata dall’articolo 59 del decreto 150, ai fini della corresponsione degli adegumenti retributivi periodici.

La nuova disciplina dispone infatti due situazioni di intervento. La prima prevede che, una volta decorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria che dispone in materia di rinnovi dei contratti collettivi per il periodo di riferimento, l’amministrazione possa erogare provvisoriamente gli incrementi previsti per il trattamento stipendiale. Salvo conguaglio all’atto della stipulazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

La seconda possibilità, invece, è che in ogni caso, a decorrere dal mese di aprile dell’anno successivo alla scadenza del contratto collettivo nazionale di lavoro, qualora lo stesso non sia ancora stato rinnovato e non sia stata disposta l’erogazione facoltativa, venga obbligatoriamente riconosciuta ai lavoratori una copertura economica che costituisca un’anticipazione dei benefici complessivi che saranno attribuiti all’atto del rinnovo contrattuale. Insomma, il contratto nazionale diventerà una specie di tappabuchi, che servirà solo a riempire gli spazi vuoti lasciati liberi dalla legge.

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