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Gite scolastiche rinunciare si può

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Tra le tante proteste, più e meno motivate, degli insegnanti contro i tagli del governo sul sistema scolastico, si affaccia la minaccia di non prestarsi più ad accompagnare gli allievi nelle gite o, detto con parole più impegnative, viaggi di istruzione.

I malumori sono comprensibili, si tratta per loro di ore perse e non retribuite, di un superlavoro faticoso che comporta notevoli responsabilità. Meno comprensibile, senz’altro eccessivo, il lamento sul danno che soffrirebbero i ragazzi se fossero privati di questa forma di vacanza. In realtà, è il caso di dire, non tutto il male vien per nuocere.

C’è da considerare, innanzitutto, il profilo etico della questione. Si è affermato infatti nelle scuole italiane un andazzo che prevede trasferimenti per più giorni in luoghi lontani e di forte richiamo turistico, a costi piuttosto elevati. È una scelta che diventa discriminatoria per i non abbienti, penalizzante anche se i loro genitori, per evitare frustrazioni, devono sottoporsi a sensibili sacrifici.

Mentre le famiglie con maggiori disponibilità potrebbero provvedere da sole, senza il supporto della scuola, a «istruire» i loro rampolli. Basterebbe semmai, a stimolare sensibilità e intelligenza, scandagliare la regione di provenienza, facilmente accessibile da ogni punto di vista. Non c’è territorio, in qualunque plaga d’Italia, che sia avaro di offerte paesaggistiche, artistiche e storiche. Con le dovute eccezioni, appare dubbioso anche il profitto che si trae da siffatte spedizioni. I docenti si trovano sovente alle prese con allievi indisciplinati e tardi, devono contrastare (parlo di ragazzi delle scuole superiori) le loro pulsioni trasgressive, tra amoreggiamenti e soste in birreria.

L’ultimo pensiero dei discenti sono i musei, le cattedrali, le testimonianze storiche che dovrebbero essere l’obbiettivo primario del viaggio. Assistono annoiati alle spiegazioni, riservate di solito a una piccola covata di resistenti; rumoreggiano disturbando i visitatori e bisogna stare attenti – professori e custodi di musei – perché non facciano danno.

Rabbrividisco ancora al ricordo di uno zaino strusciato ribaldamente contro un affresco in quel di Ferrara. Insomma, il «viaggio di istruzione» si risolve spesso in pura perdita sotto il profilo conoscitivo. E non sarà la minacciata sospensione, o un più sobrio contenimento – se ne persuadano gli insegnanti protestatari – a turbare la nostra coscienza.

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