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Incompatibilità tra incarichi dirigenziali e cariche sindacali o politiche

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CIRCOLARE N. 11/2010
OGGETTO: art. 53, comma 1 bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 – requisiti per il conferimento di incarichi di direzione del personale nelle pubbliche amministrazioni.
1. Premessa.
L’art. 52 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, ha modificato l’art. 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, inserendo nel testo il comma 1-bis. Questo prevede che “Non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni.”. La disposizione è stata approvata ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. m), della legge 4 marzo 2009, n. 15, nell’esercizio della delega al Governo a “rivedere la disciplina delle incompatibilità per i dirigenti pubblici e rafforzarne l’autonomia rispetto alle organizzazioni rappresentative dei lavoratori e all’autorità politica”.
Considerati i numerosi quesiti pervenuti sulla portata della norma, si ritiene opportuno fornire alcune indicazioni generali ai fini di un’omogenea applicazione della disposizione.
2. Finalità della norma.
La norma introduce un impedimento ovvero una condizione ostativa relativa al conferimento di incarichi di direzione nelle amministrazioni con riferimento alla preposizione a strutture che gestiscono il personale.
La finalità della disposizione è quella di perseguire un’azione amministrativa imparziale e uno svolgimento della funzione dirigenziale scevro da possibili condizionamenti mediante il ricorso a strumenti organizzativi formali. La norma pertanto si riconduce ai principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, che, a prescindere dalla natura dell’attività e anche in presenza di un rapporto di lavoro contrattualizzato, debbono essere osservati dalla pubblica amministrazione, la quale è tenuta «al rispetto dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento cui è estranea ogni logica speculativa» (Corte costituzionale, sentenze n. 146 del 2008 e 82 del 2003).
Ciò che si vuole evitare è un’eventuale influenza sulla gestione che può derivare dal coinvolgimento attuale o passato del responsabile della struttura in particolari e significative attività sindacali o politiche o dall’aver avuto con tali organizzazioni particolari rapporti. In quest’ottica, la disposizione pone una norma precettiva che non prevede alternative, volta ad evitare un potenziale conflitto di interessi tra due uffici o tra l’interesse personale e l’interesse pubblico. La situazione di “incompatibilità” dovuta alla circostanza di rivestire una carica in organizzazioni sindacali o in partiti politici o di avere collaborazioni continuative con tali organizzazioni non è rimovibile, a nulla valendo il fatto che l’incaricato possa eventualmente dimettersi. Solo il decorso del tempo previsto può rendere possibile il conferimento dell’incarico nell’amministrazione.
La disposizione si colloca nel quadro più generale delle misure introdotte con la riforma finalizzate a rafforzare il ruolo del dirigente e, soprattutto, l’autonomia della sua gestione rispetto a possibili ingerenze della politica e del sindacato. Si pensi alla nuova formulazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 165 del 2001 (novellato dall’art. 34 del d.lgs. n. 150 del 2009), nel quale chiaramente si ribadisce che “… le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati, ove prevista nei contratti di cui all’articolo 9. Rientrano, in particolare, nell’esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità, nonché la direzione, l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici.”. In questo contesto rientra anche la revisione della disciplina del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali operata mediante la novella all’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 da parte dell’art. 40 del d.lgs. n. 150 del 2009, lì dove, in aderenza all’orientamento della Corte costituzionale (Corte costituzionale, sentenze n. 161 del 2008, nn. 103 e 104 del 2007),è stata eliminata la previsione della cessazione automatica dell’incarico, decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia al Governo, in precedenza prevista per gli incarichi conferiti ai sensi dei commi 5 bis e 6 del medesimo articolo, con conseguente limitazione della caducazione automatica agli incarichi di vertice.
3. Ambito soggettivo.
3.1. Le amministrazioni interessate. Come detto, la norma concerne le modalità di conferimento degli incarichi di responsabilità sulle strutture; essa pertanto riguarda direttamente le amministrazioni dello Stato. Tenuto conto del fatto che la norma persegue i valori costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento, per le altre amministrazioni la norma vale comunque come principio. Le amministrazioni non statali, quindi, devono adeguare il proprio ordinamento al principio enunciato nella disposizione operando secondo quanto previsto dall’art. 27 del d.lgs. n. 165 del 2001 e, per gli enti locali, dall’art. 111 del d.lgs. n. 267 del 2000.
3.2. I soggetti interessati. Per quanto riguarda le amministrazioni dello Stato, l’impedimento concerne innanzi tutto gli incarichi dirigenziali conferiti ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001. Il vincolo di incompatibilità sussiste anche nei confronti di tutti i dirigenti che vengono preposti in base al comma 5 bis e ai soggetti incaricati ai sensi del comma 6 del citato articolo. Stante l’ampia dizione utilizzata nella disposizione e la finalità perseguita, la norma si applica inoltre a tutte le ipotesi in cui sia conferito con atto formale un incarico sulle strutture deputate alla gestione del personale. Sono comprese nel campo di applicazione anche le strutture prive di rilevanza esterna e, quindi, la disposizione riguarda pure l’attribuzione di posizioni organizzative e di competenza mediante delega.
4. Ambito oggettivo.
4.1. Individuazione delle “strutture deputate alla gestione del personale”. La norma in esame pone il regime di vincolo in riferimento agli incarichi di direzione di “strutture deputate alla gestione del personale”. Il termine “deputate” individua in modo chiaro la “missione”, ossia la competenza specifica in materia di gestione “del” personale. Pertanto, la locuzione è da riferirsi propriamente ai soli uffici cui istituzionalmente, in base agli atti di organizzazione, è attribuita la competenza sulla gestione del personale in ciascuna amministrazione. Dunque, non è compresa nella previsione la preposizione ad uffici che, tra le altre competenze, svolgono anche l’attività di gestione del personale (ad esempio, i Capi Dipartimento e i Segretari generali preposti a strutture organizzative complesse nel cui ambito sono collocati gli uffici dirigenziali generali competenti in materia di affari generali e personale, mentre rientrano nel regime restrittivo i Capi Dipartimento degli affari generali e personale) e, in generale, la preposizione alle strutture alle quali, specie in amministrazioni di dimensioni ridotte, fanno capo tutte le competenze generali di gestione, tra cui quella relativa al personale interno (ad esempio, i dirigenti scolastici e, comunque, tutti i dirigenti cui viene attribuito un incarico di funzione su un ufficio, i quali, come noto, hanno competenza sulla gestione del personale assegnato alla propria struttura). In tali ipotesi, sarà cura di ciascun responsabile evitare la ricorrenza di situazioni di conflitto di interesse, soprattutto in occasione di trattative negoziali, adottando, se del caso, le iniziative e gli atti organizzativi necessari. Si richiama in proposito l’osservanza del codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni  approvato con d.m. 28 novembre 2000.
In sostanza, la prescrizione riguarda la preposizione alle strutture del personale, siano esse di livello generale o non generale, competenti in materia di reclutamento, trattamento, gestione e sviluppo del personale, relazioni sindacali, secondo le scelte e l’individuazione che ogni amministrazione effettuerà in base alle competenze attribuite dallo specifico ordinamento a ciascuna struttura. Nella valutazione, fra gli altri aspetti, saranno considerati anche il potere di rappresentanza quale delegazione trattante per l’amministrazione attribuito all’ufficio ed il grado di discrezionalità insito nell’esercizio di ciascuna competenza.
Al fine di un’applicazione quanto più oggettiva della norma, sarebbe opportuno che ciascuna amministrazione individuasse, per mezzo del regolamento di organizzazione o mediante altro atto ministeriale generale, le strutture per le quali sussiste il regime di limitazione in base alla norma. Ciò si rivela tanto più utile in quanto le nuove norme sul conferimento degli incarichi ai dirigenti, in osservanza ad un principio di trasparenza, prevedono che il conferimento dell’incarico sia preceduto dalla pubblicizzazione dei posti vacanti e dalla valutazione delle disponibilità dei candidati (art. 19, comma 1 bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2009). L’individuazione a priori e in generale delle posizioni la cui copertura richiede la sussistenza di particolari requisiti contribuisce ad evitare che soggetti che non rispondono alle condizioni di legge possano manifestare all’amministrazione la propria disponibilità verso posti per i quali vige la preclusione.
4.2. Concetto di carica in organizzazione sindacale e in partiti politici ai fini dell’applicazione della norma.
La norma, come detto, introduce una condizione ostativa per il conferimento di incarichi rispetto allo svolgimento attuale o passato di certe attività. Trattandosi di disposizione che interferisce con libertà costituzionalmente tutelate (artt. 18, 39 e 49 Cost.), la sua portata va interpretata in maniera strettamente attinente alla finalità perseguita.
4.2.1. Il concetto di carica in organizzazioni sindacali. Premesso che la mera iscrizione quale associato ad un sindacato o ad un partito politico non ha alcun rilievo ai fini dell’applicazione della disposizione, per il concetto di carica sindacale si ritiene coerente con le predette finalità attribuire rilievo all’aspetto del ruolo che il soggetto assume e svolge nell’ambito dell’organizzazione sindacale. Tale ruolo non può essere quello di semplice partecipazione priva di funzione direzionale. Sono richiesti invece la partecipazione alle scelte dell’organizzazione e lo svolgimento, come da statuto o da atto costitutivo, di compiti di reale impulso all’attività mediante la decisione, l’adozione e l’esternazione di atti gestionali secondo quanto previsto negli atti costitutivi e negli statuti delle organizzazioni o quanto risultante dalle eventuali comunicazioni dei sindacati. Nell’ottica dell’introduzione in via legislativa di precauzioni formali finalizzate ad assicurare un esercizio della funzione scevro da possibili condizionamenti, la circostanza che il dipendente ricopra o abbia ricoperto nel biennio precedente questo tipo di carica è un fattore di interferenza che si intende escludere a priori poiché il soggetto, in quanto organo che è stato recentemente munito di mandato per realizzare i fini del sindacato, potrebbe essere coinvolto anche nell’espletamento dell’incarico di gestione all’interno dell’amministrazione. Coerentemente con l’intento sopra enunciato di interpretare la norma in senso stretto ed in linea con la finalità, non si ritiene rientri nel concetto di carica sindacale la circostanza di svolgere attività nell’associazione in mancanza della titolarità delle funzioni sopra indicate, poiché in tal caso risulta assente il potere di assumere decisioni autonomamente rilevanti nell‘organizzazione e per l‘organizzazione.
In sostanza, ai fini della norma in esame è rilevante la circostanza di essere o di essere stato dirigente sindacale, nonché di agire – in virtù di un atto formale – in nome e per conto dell’associazione quale funzionario delegato.
Un conforto normativo all’utilizzo di questi criteri può essere rintracciato nell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 564 del 1996, che, nell’ambito di una disciplina relativa alla contribuzione figurativa per le posizioni di aspettativa sindacale e politica, definisce cariche sindacali “quelle previste dalle norme statutarie e formalmente attribuite per lo svolgimento di funzioni rappresentative e dirigenziali a livello nazionale, regionale e provinciale o di comprensorio, anche in qualità di componenti di organi collegiali dell’organizzazione sindacale.”.
La rilevanza della carica nel senso sopra indicato si verifica in qualsiasi tipo di organizzazione sia essa una confederazione, una federazione o un’organizzazione di categoria.
Inoltre, la rilevanza della carica si realizza a qualsiasi livello dell’organizzazione, sia esso nazionale, locale o aziendale. Quindi, rientra nel concetto di carica anche la funzione di dirigente sindacale nell’ambito delle R.S.A., operanti per i dirigenti delle aree, le quali, nel settore del lavoro pubblico, sono costituite dalle organizzazioni sindacali rappresentative e si presentano come articolazioni periferiche del sindacato (art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001).
Ai fini della norma si deve ritenere compreso nel regime di impedimento anche l’essere componente della R.S.U.. Infatti, la R.S.U. è costituita a seguito di elezione di candidati in liste presentate dalle organizzazioni sindacali (art. 42, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001), i suoi  componenti sono equiparati ai dirigenti delle R.S.A. (art. 42, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001) e l’organismo subentra “alle RSA o alle analoghe strutture sindacali esistenti comunque denominate ed ai loro dirigenti nella titolarità dei diritti sindacali e dei poteri riguardanti l’esercizio delle competenze contrattuali ad esse spettanti” (art. 5 CCNQ 7 agosto 1998).
Si segnala che un repertorio delle organizzazioni sindacali presenti nei vari comparti di contrattazione è elaborato e pubblicato periodicamente dall’ARAN (www.aranagenzia.it), che cura l’accertamento della rappresentatività sindacale ai sensi dell’art. 43 del d.lgs. n. 165 del 2001. Tale documento non ha carattere esaustivo, ma può essere un utile punto di riferimento per conoscere i sindacati che operano nell’ambito dei diversi comparti ed aree.
4.2.2. Il concetto di carica in partiti politici. Anche per l’individuazione del concetto di carica in partito politico è necessario utilizzare criteri rispettosi e non eccedenti la finalità della legge. Il riferimento al criterio direttivo, utilizzato per l’individuazione delle cariche sindacali rilevanti, è utile anche per delimitare le cariche in partito politico. Infatti, attraverso la condizione ostativa posta dalla norma si elimina a priori il rischio del conflitto di interesse che si può creare tra il soggetto che opera nell’amministrazione come dirigente preposto alla direzione del personale e il soggetto che opera o ha operato nell’organizzazione politica con poteri direttivi.
Pertanto, l’impedimento al conferimento dell’incarico sulle strutture del personale sussiste ogni qual volta nei confronti dell’interessato ricorrono le condizioni dell’attribuzione di un incarico formale su posizioni direttive dell’organizzazione partito, nelle sue varie articolazioni, che comportano compiti di reale impulso all’attività mediante l’adozione di decisioni, anche con la loro esternazione al di fuori dell’organizzazione, di atti di gestione, come da statuto, da atto costitutivo, delibera dell’assemblea o di altro organo del partito.
La considerazione del potere direttivo quale elemento necessario per la configurazione della carica politica trova il conforto nell’orientamento formatosi nell’ambito della giurisprudenza amministrativa in tema di commissioni di concorso, disciplinate dall’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, che, al pari della disposizione in esame, prevede quale causa ostativa alla nomina nelle commissioni l’essere titolare di “carica politica” (Cons. Stato, Sez. V, 27 luglio 2002, n. 4056; Tar Lazio, Roma, Sez. II quater, 22 aprile 2008, n. 3367). In particolare, il Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che “per carica politica deve intendersi solo l’ufficio che postula la rappresentanza, in via organica e professionale, di interessi e valori direttamente riferibili ad una parte politica, e cioè, ad un partito, con la conseguenza che il divieto in esame va circoscritto ai soli titolari di cariche direttive all’interno dei partiti.” (Cons. Stato, Sez. V, 27 luglio 2002, n. 4056).
Occorre precisare che la circostanza che l’interessato sia risultato vincitore in competizioni elettorali non è di per sé significativa della ricorrenza del presupposto richiesto dalla norma. Infatti, da un lato le cariche in partiti politici possono essere attribuite anche a soggetti che non sono risultati eletti, dall’altro, dal fatto di essere risultato eletto non consegue automaticamente l’attribuzione di una carica nel senso indicato. Emerge quindi la differenza tra il concetto di carica in partito politico, che comporta un’investitura formale nell’organizzazione dell’associazione, e carica pubblica, consistente nel conferimento di un incarico organico nell’organizzazione pubblica. E’ chiaro che, a prescindere dalla norma in esame, rimane in ogni caso salvo il principio generale della distinzione tra attività di indirizzo e controllo e attività di gestione amministrativa, con la conseguente preclusione della possibilità di attribuire la responsabilità di strutture amministrative di gestione ad organi facenti parte dell’autorità politica (salvo precise eccezioni, come per gli enti locali previsto dall’art. 53, comma 23, della l. n. 388 del 2000). Anche per questo caso vale il richiamo all’osservanza del codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Per quanto riguarda l’individuazione dei partiti politici, non esiste nel nostro ordinamento un albo ufficiale dei partiti politici, che, come detto, si configurano come associazioni non riconosciute dalla più varia articolazione. Non si intende in questa sede fornire specifici criteri di individuazione, ma soltanto rammentare elaborazioni già compiute. Richiamando l’orientamento della dottrina prevalente, il partito politico è definito come <<“parte totale”, propria di una formazione sociale che, pur adottando una visione del mondo necessariamente caratterizzata da uno specifico indirizzo politico ideologico, è in grado di proporre una sintesi politica dei particolari interessi espressi dalla società.”>> (G. Rizzoni, in Commentario alla Costituzione a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, sub art. 49, UTET, 2006, 985 ss., con citazione di Mortati e Crisafulli).
Tale dottrina ha pure evidenziato i caratteri tipici del partito politico alla luce del dettato costituzionale, che vengono individuati nella partecipazione a competizioni elettorali e nell’essere munito di un’organizzazione  stabile e di un’articolazione organizzativa permanente, con il che si individuerebbe anche la differenziazione rispetto ad altre formazioni, come i gruppi di pressione e i gruppi politici organizzati (idem).
4.2.3. Le collaborazioni e le consulenze rilevanti ai fini dell’applicazione della disposizione. Analogo impedimento è stabilito dalla disposizione anche nei confronti di chi abbia o abbia avuto nei due anni precedenti “rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza” con le organizzazioni politiche o sindacali.
Al fine di indicare i limiti di operatività della norma ed evitare un’applicazione fumosa e ambigua del disposto in un contesto che, come si è visto, è caratterizzato dalla rilevanza di valori costituzionali, si ritiene che la sua portata possa essere limitata alle collaborazioni oggetto di un rapporto di lavoro e professionale qualificate dalla pattuizione di un compenso. L’esistenza del rapporto di lavoro e professionale, infatti, consente di ancorare a dati oggettivi accertabili la verifica della sussistenza del vincolo con l’associazione, evitando nei fatti che anche un rapporto di cortesia od “amicale” di interessamento possa far scattare l’incompatibilità. D’altra parte, è con la pattuizione e la corresponsione del compenso che si rafforzano il vincolo e l’interesse del soggetto nei confronti dell’organizzazione. Pertanto, non si ritengono rilevanti per la configurazione della causa ostativa eventuali collaborazioni a titolo gratuito, che, d’altra parte, rappresentano un’eccezione rispetto alla regola dell’onerosità delle prestazioni lavorative e professionali.
La legge menziona i rapporti di collaborazione e di consulenza. Quest’ultima si configura come una collaborazione avente un particolare oggetto, quella dell’assistenza con il consiglio, realizzando la fattispecie della prestazione d’opera intellettuale.
In base alla norma, non rilevano rapporti di tipo occasionale o saltuario, mentre l’incompatibilità sussiste nel caso di ripetuti rapporti aventi carattere occasionale tali da concretarsi in attività continuativa.
La terminologia utilizzata nel testo, nell’ottica dell’esigenza di interpretare la disposizione in senso coerente con le finalità perseguite, induce a ritenere che nel concetto di collaborazione rilevante rientri anche la fattispecie del rapporto di lavoro subordinato, il quale certamente implica una collaborazione continuativa con il datore caratterizzata dal particolare vincolo della subordinazione.
Pertanto, le collaborazioni rilevanti sono quelle oggetto di lavoro autonomo, che si traducono in rapporti continuativi o di lavoro a progetto, e oggetto di lavoro subordinato, per la cui prestazione è stabilito un compenso. Si precisa, inoltre, che la norma non richiede che la collaborazione sia coordinata oltre che continuativa; in sostanza, la disposizione prescinde dalla concreta configurazione del rapporto quale collaborazione a progetto.
5. Ambito temporale di applicazione.
In base alla norma, l’impedimento si manifesta nel caso in cui l’incarico o la collaborazione sia in corso al momento della preposizione alla struttura o si siano verificati negli ultimi due anni. Gli estremi del periodo di incompatibilità sono costituiti da un lato dalla scadenza del mandato o dal termine del rapporto di collaborazione o di lavoro subordinato e, dall’altro, dal termine iniziale di efficacia del provvedimento di incarico dirigenziale.
In mancanza di una più specifica indicazione della norma, per individuare il dies a quo dell’operatività della disposizione è necessario fare riferimento al generale principio secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire. Conseguentemente, la norma in esame riguarda soltanto gli incarichi di direzione conferiti a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009 (15 novembre 2009). In assenza di diversa disposizione, per tali incarichi dovrà essere verificata l’insussistenza della causa ostativa con riferimento al momento del conferimento e con riferimento al pregresso biennio.
6. Dichiarazione di notorietà dell’interessato.
Ai fini dell’osservanza della norma, le amministrazioni che intendono conferire un incarico su strutture deputate alla gestione del personale debbono acquisire apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da parte dell’interessato resa ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 445 del 2000.
7. Inosservanza della norma.
Nel caso in cui dovesse emergere la situazione di incompatibilità, a parte l’applicazione delle sanzioni collegate alla falsa dichiarazione resa (art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000), l’amministrazione avvierà il procedimento disciplinare per l’accertamento della relativa responsabilità e l’applicazione delle connesse sanzioni. In proposito, si segnala che l’art. 55 quater del d.lgs. n. 165 del 2001, introdotto dall’art. 69 del d.lgs. n. 150 del 2001, prevede la sanzione del licenziamento senza preavviso nei casi di “falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera”. La fattispecie disciplinare è stata ripresa dall’art. 9 del CCNL dell’area dirigenziale I stipulato il 12 febbraio 2010, contratto che, come noto, ha per la prima volta disciplinato il codice disciplinare per il personale dirigenziale. Nonostante l’infrazione faccia specificamente riferimento all’instaurazione del rapporto di lavoro e alle progressioni di carriera, è chiaro che l’analoga condotta tenuta al fine di conseguire il conferimento dell’incarico, merita una valutazione altrettanto severa e può essere tale da giustificare il recesso per giusta causa, sempre possibile a mente di quanto previsto dalla menzionata clausola. Per il personale non dirigenziale ad analoghe conclusioni potrà pervenirsi ai sensi dell’art. 13 comma 6 del CCNL 12 giugno 2003.
Considerato che la norma contiene un impedimento rispetto all’esercizio del potere di conferire l’incarico, a seconda delle circostanze, la responsabilità potrà estendersi anche al soggetto conferente, il quale poteva eventualmente essere a conoscenza della situazione ostativa o aver omesso l’accertamento del requisito.
A fronte dell’esistenza di una delle ragioni di impedimento introdotte dall’art. 53, comma 1 bis, in esame l’amministrazione, come detto, non può conferire incarichi di gestione del personale. Nell’ipotesi in cui l’incarico venisse conferito in presenza di una causa ostativa, questa determinerebbe la nullità degli atti con cui l’incarico è stato attribuito per violazione di norma imperativa. L’amministrazione dovrebbe pertanto operare per la rimozione dell’illegittimità ed il ripristino della legalità mediante l’adozione di un atto ricognitivo della nullità e il conferimento di un nuovo incarico a soggetto munito dei requisiti prescritti dalla legge. A prescindere dalla natura giuridica degli atti in questione, appare rispettoso del corretto assetto dei rapporti tra l’amministrazione ed il dirigente che la rimozione degli atti viziati sia preceduta da una comunicazione di avvio del procedimento indirizzata all’interessato, con il quale è opportuno si verifichi un contraddittorio sui presupposti di fatto.
IL MINISTRO PER LA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE E L’INNOVAZIONE
Renato Brunetta

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