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La “risoluzione forzosa del rapporto di lavoro” è incostituzionale

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I “pensionamenti forzosi” del personale scolastico con 40 anni di contributi sono incostituzionali e illegittimi una bieca operazione di “macelleria sociale” o “darwinismo sociale”del tutto priva di valide e coerenti motivazioni, realizzata con delle circolari Miur che violano la forma e la sostanza delle stesse leggi 133/2008 e 102/2009, che regolano tale pensionamento. Infatti, mentre le leggi presuppongono l’accertamento di esubero in organico, le circolari “impongono” ai dirigenti scolastici di licenziare il personale anche in condizioni di non esubero. 
Senza l’attenuante di far posto a giovani docenti precari, in attesa di immissione in ruolo, perchè la Finanziaria 2008 e la recente manovra economica correttiva hanno tassativamente bloccato nuove assunzioni. altre ulteriori discriminazioni:

1) alcuni dirigenti scolastici hanno licenziato o non licenziato i propri dipendenti per simpatia o antipatia o in base alla paura o meno di improbabili sanzioni disciplinari che sarebbero loro arrivate (a loro dire, se non licenziavano) dagli Uffici provinciali, regionali o nazionali del Miur.
2) si sono già avute, da parte dei giudici del lavoro di tutt’Italia sentenze difformi sui ricorsi inoltrati loro dai docenti rottamati. Fino a questo momento almeno 15 giudici hanno accolto i ricorsi dei ricorrenti, altrettanti li hanno respinti. I dirigenti, nel licenziare il personale docente e Ata, con 40 anni di contributi, oggettivamente, hanno agito in una condizione di evidente “conflitto di interessi”, perchè, essi, all’ultimo momento, sono stati furbescamente, esclusi dal “pensionamento coatto”; In una scomoda ed ambigua posizione di palese “conflitto di interessi ” si son venuti a trovare anche tutti i giudici del lavoro che si sono occupati e si stanno occupando ancora dei numerosi ricorsi, perchè anch’essi, dalle leggi 133/2008 e 102/2009, che regolano la materia, sono stati furbescamente esclusi dal “pensionamento coatto”. 

E’ totale l’incostituzionalità sia della legge 133/2008 che della successiva legge 102/2009, perchè esse confliggono palesemente con l’art. 3, comma 1, Cost. in quanto escludono dalla “risoluzione forzosa del rapporto di lavoro” i magistrati, i professori universitari (art. 72, comma 11, legge 133/2008), i dirigenti medici di strutture complesse (art. 17, comma 35 novies, legge 102/2009) e i dirigenti scolastici. Incostituzionalità che (essendo tali norme “eccezionali” relative ai soli anni 2009, 2010 e 2011, termine oltre il quale non sarà più possibile la “risoluzione forzosa del rapporto di lavoro” nella P.A.), si paleserà maggiormente, allo scadere del 2011, perchè si creerà un’altra disparità di trattamento (altro conflitto con l’art. 3, comma 1, Cost.) tra i soggetti ai quali la “risoluzione forzosa del rapporto di lavoro” oggi si applica e i loro colleghi ai quali, pur trovandosi nelle medesime condizioni dei primi, dopo il 2011, non sarà più possibile applicarla.
La “risoluzione forzosa del rapporto di lavoro” del personale, in presenza di uno stato di servizio contributivo di 40 anni, si basa sul presupposto legislativo di accertamento della condizione di esubero in organico, come novellano le leggi citate che attribuiscono alla PA la facoltà di “risoluzione forzosa e unilaterale del rapporto di lavoro” ma solo ” nell’ambito degli interventi per il contenimento della spesa per il pubblico impiego…con la riduzione di un rilevante numero di posti di docenti….” con la raccomandazione che “dovrà essere evitata ogni forma di aggravio erariale connesso al formarsi di ruoli in esubero” (vedi art. 64 legge n. 133/2008 e Direttiva Miur n. 94 del 4 dicembre 2009, pag. 1). 
La “risoluzione forzosa del rapporto di lavoro”, anche in condizioni di non esubero, per gli insegnanti con 40 anni di servizio contributivo, è prescritta come obbligatoria solo dalla nota Miur prot. n. AOODGPER 1053 del 29/1/2010 e dalla nota Miur prot. AOODGPER 2261 del 25/2/2010. Ma tali note, come tutti sanno, non hanno alcuna cogenza di legge (vedi, ad esempio, sent. Cassazione n. 35 del 5 gennaio 2010: “….“La violazione di circolari ministeriali non può costituire motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge, non contenendo le circolari norme di diritto, ma essendo piuttosto qualificabili come atti unilaterali…”). 
Esse, quindi, sono solo un’interpretazione arbitraria delle leggi 133 /2008 e 102/2009 da parte dell’Amministrazione del Miur, centrale e periferica, e configurano a loro carico un grave abuso di potere (comportamento illegittimo). Ciononostante il Ministero della Pubblica Istruzione, gli Uffici scolastici regionali e provinciali, con queste circolari (Direttiva Miur n. 94 del 4 dicembre 2009 e successive nota Miur Prot. n. AOODGPER 1053 del 29/1/2010 e nota Miur prot. AOODGPER 2261 del 25/2/2010, citate) hanno imposto ai dirigenti scolastici, su tutto il territorio nazionale, l’obbligo inderogabile di procedere al “pensionamento coatto” dei loro dipendenti che hanno maturato, entro il 28 febbraio 2010, 40 anni di servizio contributivo, con un comportamento autoritario che ha annullato, di colpo, le facoltà discrezionali propri del loro ruolo dirigenziale, le prerogative dell’autonomia scolastica e del decentramento amministrativo. 
Un provvedimento questo che confligge anche con una recente Direttiva della UE che vieta, ai fini del licenziamento, la discriminazione per età. Vista la polemica e il violento antagonismo che il “pensionamento forzoso” ha provocato negli insegnanti precari contro i loro colleghi “anziani” di ruolo da rottamare, che stanno ricorrendo al Giudice del Lavoro contro il loro “pensionamento coatto” (colpevoli, ai loro occhi, di togliere loro la possibilità di avere un posto di ruolo stabile) faccio presente una notizia poco nota alla maggioranza dei docenti e dell’opinione pubblica : Sia la Finanziaria 2008 che l’attuale manovra economica correttiva, testè approvata definitivamente alla Camera, escludono, almeno fino al 2013, tassativamente, nuove assunzioni, anche in sostituzione di docenti pensionati o pensionandi. Le immissioni in ruolo di docenti precari (pare 10.000) promesse dalla Gelmini fanno parte di posti già occupati dagli stessi precari, posti diversi da quelli che occupano attualmente i docenti con 40 anni contributivi. Questi ultimi non saranno assegnati a nessuno, si perderanno e basta (vedi Italia Oggi di pochi giorni fa). E gli alunni, che sarebbero stati affidati ai docenti pensionati, saranno “spalmati” sulle classi dei loro colleghi rimasti in servizio, andando ad incrementare ancor più, in aggiunta agli effetti dei tagli di cattedre già avvenuti, il rapporto proporzionale docenti / allievi che, ad esempio, per le scuole secondarie superiori, da Settembre 2010, potrebbe mediamente arrivare a 30 studenti per 1 docente, accrescendo notevolmente il carico di lavoro degli insegnanti. Con buona pace dell’efficacia della didattica e dei processi di apprendimento! 
Questo è il grande inganno e la crudele beffa dell’attuale Governo e del suo Ministro dell’Istruzione, con la complicità dei “compagni socialisti” Brunetta e Tremonti (SIC!): hanno scatenato cinicamente ed artatamente (divide et impera!) una guerra tra poveri, mettendo i precari contro i loro colleghi di ruolo, con il tacito consenso di tutte le forze politiche di maggioranza ed opposizione, della stampa, e di tutti i sindacati della scuola. Alla faccia di tutte le periodiche raccomandazioni dell’Unione Europea e dell’OCSE che, ricordando i deficit di bilancio dei vari Stati, invitano da tempo i Paesi membri ad innalzare l’età pensionabile, anche su base volontaria, fino a 67/70 anni (In Spagna Zapatero ha proposto di innalzarla a 67 anni). 
Alla faccia di analoghe raccomandazioni fatte, di recente, a Bruxelles, dal nostro Presidente del Consiglio. Alla faccia dei consigli pressanti dati al nostro governo, anche recentemente, dal dott. Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia e dalla dott.ssa Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, che hanno ancora sottolineato l’esigenza urgente di innalzare l’età pensionabile fino a 67 anni e oltre. Alla faccia dell’emendamento alla manovra economica correttiva, testè approvata dall’attuale governo, in cui si afferma la correlazione graduale dell’età pensionabile con la cosìddetta “speranza di vita”, misurabile in base agli indicatori periodicamente forniti a riguardo dall’Istat. 
Alla faccia del disegno di legge, a firma, tra gli altri, dell’on. Giuliano Cazzola (PDL), tutt’ora in discussione alla Camera, che propone l’innalzamento “sperimentale” dell’età pensionabile, oltre i 65 anni, su base volontaria. Alla faccia delle recenti dichiarazioni del ministro Brunetta rilasciate alla radio RTL. 102, in cui lo stesso affermava che “il pensionamento forzoso” era “una norma intelligente che va applicata con intelligenza”. Che cosa sta accadendo da mesi, invece, in tutt’Italia? 
Molti dirigenti scolastici, adducendo di eseguire ordini gerarchici tassativi, temendo di ricevere sanzioni disciplinari dai loro superiori, entro il 28 febbraio 2010, hanno inviato, in tutta fretta, ai loro dipendentii con 40 anni contributivi, il “preavviso di risoluzione forzosa unilaterale del rapporto di lavoro”, a decorrere dal 1° settembre 2010, imponendolo loro implacabilmente, in modo totalmente indiscriminato. In taluni casi, i dirigenti, nella loro ansia di far presto per compiacere i loro superiori, hanno pure violato gravemente le leggi vigenti, innescando centinaia di ulteriori ricorsi da parte dei dipendenti pensionati contro la loro volontà. Infatti, mentre le leggi citate danno loro la facoltà di licenziare i pubblici dipendenti con 40 anni di contributi effettivi e figurativi realmente e definitivamente pagati, con avvenuta registrazione del pagamento presso gli Uffici della Ragioneria provinciale e dell’Inpdap (inclusi il riscatto degli anni di laurea, dei servizi preruolo, dei servizi prestati all’estero, etc.), in molti casi, nonostante tali precondizioni legislative non esistessero, i dirigenti hanno ugualmente licenziato i loro dipendenti, senza prendere in considerazione tali elementi ostativi.
Ci sono state anche altre situazioni in cui, per omissioni o negligenza continuate nel tempo della P.A., pur non essendo stata definitivamente chiarita la posizione giuridica degli insegnanti da licenziare, ed essendosi, perciò, avviato (anche senza una formalizzazioine istituzionale), un contenzioso tra questi ultimi e gli uffici centrali e periferici del Miur (per esempio, conosciamo un caso in cui, in base ad atti ufficiali dell’Amministrazione Scolastica, non è chiaro se l’insegnante, oggetto del provvedimento di pensionamento, appartenga giuridicamente alla Scuola Secondaria di I o di II grado), i Dirigenti, senza porsi alcun dubbio, e senza considerare le ragioni degli interessati, li hanno licenziati ugualmente in tutta fretta, ledendo gravemente il loro diritto alla difesa giurisdizionale dei loro legittimi interessi lesi dall’Amministrazione, seppure in regime di autotutela amministrativa già avviata. 
Addirittura, in alcuni casi, vista la resistenza opposta al pensionamento coatto da insegnanti e Ata, i dirigenti hanno chiesto in modo autoritario a questi ultimi di firmare una lettera di autolicenziamento. In alcune scuole i dirigenti, dopo aver loro consegnato la lettera di “preavviso di licenziamento”, hanno inviato ai loro dipendenti una diffida scritta, con minacce di sanzioni disciplinari in caso di non ottemperanza da parte loro, nella quale li sollecitavano a compilare, con la massima urgenza, i vari moduli necessari per richiedere all’Amministrazione l’erogazione della pensione e della buonuscita a decorrere dal 1 settembre 2010. Ovviamente, in questa loro decisione ha influito sicuramente anche il fatto che essi, grazie anche ai loro sindacati, successivamente all’approvazione delle leggi nn. 133/2008 e 102/2009, sono stati esclusi dal “pensionamento forzoso”. 
D’altronde, proprio l’attuale Governo ha da pochi giorni firmato con tutte le OO.SS. della dirigenza scolastica il nuovo contratto di lavoro che attribuisce ai dirigenti un aumento stipendiale medio di 350 euro lorde mensili più gli arretrati di vacanza contrattuale dal 2006 al 2009 da riscuotere entro il mese di agosto 2010. Di converso, ha bloccato per 3 anni il rinnovo del contratto di lavoro, già scaduto, degli insegnanti e del personale Ata (aveva programmato di dar loro 20 euro lorde di aumenti mensili !), stabilendo anche che gli anni 2009/2012 non saranno validi ai fini della maturazione degli scatti stipendiali di anzianità. Per questi motivi, i dirigenti, nel licenziare il personale docente e Ata, con 40 anni di contributi, oggettivamente, hanno agito in una condizione di evidente “conflitto di interessi”. Altri Dirigenti, in base ai loro insindacabili criteri, compresi la simpatia o antipatia personali verso gli interessati (altra discriminazione) e, quindi, utilizzando, di fatto, le facoltà discrezionali propri del loro ruolo dirigenziale, le prerogative dell’autonomia scolastica e del decentramento amministrativo, escluse in modo autoritario, come abbiamo visto, dalle Note e dalla Direttiva Miur summenzionate, non hanno inviato ai loro insegnanti la lettera di “preavviso di licenziamento”. Le centinaia di ricorsi ai giudici del lavoro, promossi dai dipendenti pubblici, insegnanti e non, contro i “pensionamenti coatti”, stanno avendo risultati difformi in tutti i Tribunali italiani. 
Almeno una ventina di giudici si sono già schierati a favore della Pubblica Amministrazione, altrettanti contro (altra discriminazione verso i pubblici dipendenti !), con grande intasamento delle aule giudiziarie (come se non fossero già abbastanza ingolfate!) ed enorme spreco di risorse umane ed economiche da parte dei ricorrenti (altra ingiustizia!) e, talora, anche dello Stato, quando esso viene (e, in alcune ordinanze, già lo è stato) condannato a pagare le spese processuali.
Per non parlare, poi, della scomoda ed ambigua posizione di palese “conflitto di interessi “in cui si son venuti a trovare tutti i giudici del lavoro che si sono occupati e si stanno occupando ancora dei numerosi ricorsi avverso i pensiionamenti forzosi, visto che essi dalle leggi citate (vedi sopra) sono stati esclusi da tale provvedimento. Non sarebbe stato meglio, nella L. n. 133 /2008, e nella n. 102 /2009, invece che dire che “l’amministrazione ha la facoltà di procedere unilateralmente alla risoluzione forzosa del rapporto di lavoro”, affermare che “l’amministrazione ha la facoltà, in base alle sue esigenze organizzative ed operative, di procedere, con accordo bilaterale con gli interessati, o su base volontaria degli stessi, alla risoluzione del rapporto di lavoro dei dipendenti con 40 anni di contributi”? 
Ci sono, infatti, migliaia di dipendenti pubblici che vorrebbero andare in pensione con 40 anni ed anche meno di contributi. Ma perchè imporre a tutti di andare in pensione per forza, anche a quelli che se la sentono ancora di lavorare (per la passione che hanno sempre transfuso in questa difficile professione, per l’entusiasmo e l’amore per la cultura che hanno cercato, con impegno e fatica, spesso riuscendoci, di comunicare ai loro studenti, per continuità didattica a vantaggio delle classi loro affidate) e anche a quelli, magari monoreddito, con figli e mogli a carico, con il mutuo casa da pagare, che fanno fatica ad arrivare a fine mese (come la maggior parte delle famiglie italiane con reddito mediobasso da lavoro dipendente), ai quali 100-150 euro in più nello stipendio, rispetto alla pensione, in questa fase di grave crisi economica, aiutano un po’ a tirare avanti? 
E, poi, qual è il risparmo che lo Stato ricaverà da questa operazione? Secondo Italia Oggi ed altri quotidiani, il Tesoro risparmierebbe, su 10.000 appartenenti al personale scolastico, comprendenti anche i presidi, una cifra che si aggira, più o meno su 450.000.000 di euro l’anno. Essendo i presidi, come abbiamo visto sopra, stati esclusi dal provvedimento di pensionamento, rimarranno da pensiionare, press’a poco, 6000 docenti su un totale complessivo di 700. 000. 
Dal loro pensionamento si prevede di ricavare, ipotizzando uno stipendio medio di 1900 euro a testa, un risparmio di 148.200.000 Euro l’anno. Ma, se consideriamo che lo Stato deve pagare a costoro la pensione massima, minimo 1700 Euro a testa, esso dovrà sborsare Euro 132.600.000. Infine, attraverso l’Inpdap, il Tesoro dovrà pagare ai pensionati coatti, dal 1° settembre 2010, entro 3 mesi, la buonuscita massima. Calcolando mediamente una buonuscita di 70.000 Euro a persona, lo Stato dovrà pagare subito a 6000 docenti rottamati, una somma complessiva che si aggira sui 420.000.000 di Euro, aggravando, così, il traballante bilancio Inpdap che, in parte è finanziato da contributi statali accantonati proprio per le buonuscite e le pensioni dei pubblici dipendenti. A questo punto, qual’è il risparmio a beneficio dei conti pubblici? Irrisorio. 
L’ultima giustificazione per il “pensionamento coatto”, addotta, oltre che dalle burocrazie ministeriali, dai precari, ancora dall’opinione pubblica ed anche, in un’altra intervista alla radio RTL. 105, dallo stesso ideatore del provvedimento, il ministro Brunetta, si fonda sull’asserzione (falsa) che, mandando in pensione 6000 insegnanti (ma il problema è esteso a tutti i pubblici dipendenti) si farebbe gradualmente largo ai giovani, svecchiando l’età anagrafica di questi lavoratori della scuola. Tale tesi è facilmente confutabile. Tra gli insegnanti, per esempio, centinaia di migliaia su 700.000, che rimarranno in servizio per non avere maturato 40 anni di contributi, hanno un’età anagrafica di 60-64 anni, spesso superiore a quella dei loro colleghi rottamati a 52-59 anni che possiedono 40 anni contributivi solo perchè hanno già riscattato, a loro spese (e a loro danno!) i 4 anni di laurea, servizi pre-ruolo, servizi all’estero o in altre Amministrazioni pubbliche o aziende private (ricongiunzioni). 
Ed allora, qual è la ragione del “pensionamento coatto”? Non è individuabile. Insomma, stiamo assistendo ad un’ ennesima operazione di “macelleria sociale” o “darwinismo sociale”, da parte del governo in carica, del tutto priva di valide e coerenti motivazioni. Puro arbitrio del potere. 
Un capriccio del Principe ! E, poi, seguendo una logica di “svecchiamento anagrafico”, perchè non mandiamo in “pensione coatta” i politici (i componenti di assemblee elettive nazionali, europee e degli enti locali) o i manager pubblici (parecchi dei quali hanno raggiunto l’età di 70 anni ed oltre), a partire da 60 anni in su? 

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