Tra gli indagati dell’inchiesta sulle graduatorie scalate indebitamente a Napoli ora figurano anche 26 capi d’Istituto e responsabili del personale Ata: per loro c’è l’ipotesi di omissioni in atto d’ufficio. E per alcuni anche quella di mancata denuncia all’autorità. Dietro un giro d’affari che arrivava a chiedere fino a 6.000 euro a candidato.
Dirigenti scolastici e Dsga farebbero bene a verificare la veridicità dei certificati loro presentati dal personale precario in occasione delle domande di inserimento o aggiornamento delle graduatorie d’istituto: in alcuni casi la mancata verifica dei titoli, soprattutto quelli dei servizi dichiarati, aprirebbe infatti indebitamente le porte delle supplenze a docenti o Ata posizionati, senza averne titolo, tra i primi posti delle rispettive graduatorie. E laddove l’amministrazione scolastica non riuscisse ad esaminare tutte le domande, potrebbe bastare anche una verifica a campione (ad esempio sul 20-30% delle domande presentate, un po’ quello che accade in molte scuole con le visite fiscali).
Un caso, ancora del tutto da chiarire ma su cui riflettere, è accaduto a Napoli, con decine di supplenti della scuola che a partire dall’a.s. 2007/08 hanno scalato le graduatorie con la compiacenza di alcuni impiegati dell’Usp: quell’inchiesta è proseguita ed ora nel registro degli indagati sono finiti anche 26 dirigenti scolastici e direttori dei servizi generali ed amministrativi. Per loro, ha riferito un quotidiano nazionale, la Guardia di Finanza ha fatto scattare la denuncia per omissioni in atto d’ufficio. E per una parte quella di mancata denuncia all’autorità: in certi casi sembrerebbe, infatti, che pur avendo riscontrato l’incongruenza tra quanto dichiarato dai candidati alle supplenze e gli effettivi servizi svolti o titoli realmente acquisiti, i responsabili di alcuni istituti del capoluogo campano abbiano volutamente chiuso un occhio.
Nel frattempo si sarebbe anche ampliato il numero delle persone coinvolti nell’inchiesta: sarebbero oltre un centinaio, in prevalenza aspiranti docenti. Uno di loro, assieme ad un amministrativo, avrebbe ammesso di aver pagato per ottenere punteggi “gonfiati”. E non si parla di cifre simboliche, visto che i candidati alle supplenze (sicure) avrebbero tirato fuori anche 6.000 euro.
Per chi non aveva molte possibilità di farcela da solo, del resto, era un vero investimento: pagare tre-quattro mesi di stipendio in cambio di almeno il doppio. Garantendosi, in molti casi, l’avvio di una carriera dietro la cattedra di una classe o la scrivania di un ufficio amministrativo.
Per questi precari a volta ottenuti i certificati di servizio, seppure mai svolti, non rimaneva che aspettare di essere convocati per le supplenze. L’unico problema, che sarebbe potuto subentrare, era legato al fatto che gli istituti avrebbero potuto scoprire l’inganno. Circostanza che, a quanto scoperto dai giudici, non si sarebbe mai verificata.
Come se non bastasse, c’è poi un secondo “filone” dell’inchiesta: quella che porta ad un funzionario dell’Usp, sembra già agli arresti, che forzando le password ai sistemi informatici delle graduatorie aggiungeva i punti preventivamente pattuiti (sempre previo esborso di euro). In questo caso le nomine, ancora più sicure e quasi sempre annuali, arrivavano direttamente dall’ex Provveditorato. Senza alcuna potenziale interferenza.