Moltissimi insegnanti di scuola primaria e dell’infanzia, attualmente in vacanza e lontani dagli affanni delle riforme e delle manovre finanziarie estive, scopriranno probabilmente solo a settembre che il loro Ente nazionale di assistenza (Enam) è stato soppresso e che tutti i beni patrimoniali passeranno inaspettatamente in altre mani.
Lo scopriranno forse dalla busta paga di settembre o ottobre che subirà un leggero aumento per la cancellazione della ritenuta mensile obbligatoria a favore dell’Enam (0,80%) che gravava da sempre sull’intero stipendio.
Quel contributo variava dai 12,86 euro mensili per un insegnante all’inizio della carriera ai 18,86 a fine carriera. 30 euro e più al mese per un dirigente scolastico già direttore didattico.
Per il cassiere dell’Enam quei contributi equivalevano a circa 60 milioni all’anno di entrate nette. Niente male. Lo Stato ovviamente non incasserà quei contributi, ma potrà introitare le giacenze di cassa e fare propri gli immobili delle sette “case di vacanza” oltre ad altri immobili (appartamenti e uffici) di proprietà dell’ente per un valore complessivo stimabile intorno ad alcune decine di milioni.
Non è detto, però, che la strada per l’esproprio dell’Enam sia in discesa, viste le dichiarazione del suo presidente che ha già annunciato intenzione di presentare ricorso in sede giurisdizionale e, soprattutto, visto che nella sua storia l’Enam annovera già, diverso tempo fa, una soppressione come “ente inutile”, da cui, attraverso annose vicende giudiziarie e un contenzioso infinito, uscì indenne e confermato da una apposita legge che ne legittimava l’esistenza.