dp – Terzo di una serie di articoli sul futuro federalista della scuola. Dal LEP alle graduatorie regionali, non è vero che l’operazione dencentramento sarà a costo zero, il federalismo avrà un costo, caro, e sarà pagato dal Sud. Vediamone i motivi.
Il concetto chiave è “livello essenziale delle prestazioni” (LEP) e relativa standardizzazione dei costi, che in pratica nessuno sa cosa sia con esattezza, ma che viene identificato, in linea di massima, con “obblighi (in termini di orario, curricula, di diritto allo studio ect) di offerta del servizio che devono rimanere uniformi sul territorio nazionale” (Federalismo e istruzione. La scuola italiana nell’ambito del processo di decentrmanento istituzionale. Fondazione Giovanni Agnelli, luglio 2010). Di certo sappiamo che tale livello di prestazione dovrà condurre ad una uniformazione del servizio su tutto il territorio nazionale e ad esso sarà legata la distribuzione di risorse tra le regioni per la gestione dell’istruzione.
“La traduzione di questi aspetti in termini pratici significherà essenzialmente il seguente:
- una riduzione degli organici (personale e ATA) nel Sud;
- viceversa, un probabile aumento dei trasferimenti al Sud per l’edilizia scolastica.“
Le parole sono tratte dallo studio della Fondazione Giovanni Agnelli. La standardizzazione, quindi, si tradurrà in una uniformazione, e quindi in un ridimensionamento, del rapporto tra docenti/studenti, penalizzando il Sud che è caratterizzato da classi di dimensioni più piccole e da un umero maggiore di docenti soprattutto di sostegno. Al ridimensionamento concorrerà anche la dinamica demografica degli alunni che appare fortemente positiva nel Nord (grazie alla presenza degli immigrati) e negativa al Sud, soprattutto per la scuola primaria.
I motivi del numero abnorme di docenti provenienti dal Sud è storico ed economico, e non è questa la sede per una approfondita disamina. In termini generali, l’amministrazione pubblica, scuola non esclusa, ha rappresentato la naturale valvola di sfogo di un territorio che ha visto trasferire le proprie risorse al Nord, vivendo un sottosviluppo coatto. Ma ci sono motivi più contingenti. Infatti lo studio della Fondazione mette in evidenza un fattore che con molta probabilità non viene preso in considerazione nelle stime del rapporto alunni/docenti, cioè che “parte dell’eccesso di personale al Sud sia il risultato di strutture peggiori e che non consentono dunque di accogliere un umero maggiore di studenti per classi.”
Certo è comunque che già, indipendentemente dall’entrata in vigore della riforma federalista, le “riforme” di questo Governo sono andate in questa direzione con un taglio maggiore di organico a Sud rispetto al Nord del paese. Tendenza che nei prossimi anni continuerà, a danno soprattutto dei docenti precari.
Questo, crediamo, il ministro lo sappia già. Infatti, durante il convegno a Siracusa dal titolo “Sud e federalismo”, ha espresso preoccupazione per la volontà di regionalizzare gli albi, perchè è cosciente che ciò penalizzerà i docenti del Sud che, a seguito dei tagli dettati dalla “standardizzazione”, non troveranno più lavoro. Una prospettiva catastrofica, come ha definito il giornalista di “La Sicilia” in un articolo apparso in data 12 luglio 2010 a pagina 3. Una prospettiva di emergenza sociale, parzialmente vissuta già dal Governo a seguito dei recenti tagli, ma che non metterà in dubbio la volontà di “avere insegnanti il più vicino possibile a casa“, per utilizzare le parole della Gelmini, ma per la quale, dice il ministro “ … ci stiamo muovendo per fare in modo che, in ogni caso, gli insegnanti riescano a trovare una collocazione nel mondo della scuola“. Affermazioni che non fanno altro che avvalorare la volontà di rendere “istituzionale” il Salva-precari, come già affrontato in un precedente articolo. Salva precari, prove tecniche di federalismo?
da orizzontescuola.it