Le recenti disposizioni circa i limiti dell’età pensionabile per i dipendenti dello Stato ha creato non pochi malcontenti nel mondo della scuola, dove la figura femminile è prevalente.
Prolungare il servizio fino a 65 anni dei termini per la pensione anche per le donne ancorché lo imponga una disposizione europea, si ritiene che la norma non dovrebbe coinvolgere il mondo della scuola, anche se gli operatori sono “dipendenti statali”.
La funzione docente è, infatti, una della “professioni logoranti” e quindi avrebbe diritto a beneficiare di particolari attenzioni, e il termine dei 65 anni di età per la conclusione del lavoro attivo non dovrebbe avere valore prescrittivo, ma solo indicativo e d’indirizzo, a seconda della tipologia, delle condizioni di salute, del rendimento, del gradimento personale e condiviso dalla Comunità scolastica.
Sarebbe, infatti, auspicabile che coloro i quali intendono restare in servizio a scuola non si sentano costrette a rimanere facendo pesare tale disagio personale sugli studenti, i quali hanno diritto ad avere una docente capace di rispondere alle loro esigenze, di guidarli anche nel mondo telematico d’internet, di aiutarli a leggere il mondo con occhi nuovi, alla luce dei valori della storia e della cultura, una docente che sappia utilizzare i codici linguistici delle nuove grammatiche, del lessico contratto e simbolico dei giovani e, capendoli, li potrà meglio guidare e indirizzare verso “i sentieri della cultura che salva”.
La scuola non è un ufficio di carte o di disbrigo pratiche, ma un luogo di educazione e di formazione delle persone e non può essere gestito da persone stanche o disamorate, che vivono con disagio la relazione con gli studenti e nel riproporre il modello di scuola di un tempo, oggi inadeguato e improprio, manifestano e trasmettono sfiducia e disamore.
Le insegnanti, coniugate e mamme sono lavoratrici al doppio degli oneri di responsabilità e di fatica, dovendo provvedere alla conduzione della casa e rispettare gli impegni e i doveri di scuola, che non solo quelli delle ore d’insegnamento, ma anche e soprattutto quelle connesse alla preparazione delle lezioni, alla correzione dei compiti, alla valutazione e alle attività collegiali: riunioni, consigli di classe, incontri di programmazione, corsi di formazione, collegi dei docenti, ed esami.
Quando si lavora nelle classi – e oggi non sono tutte facili e serene – spesso sono numerose e scomposte, aggregate non sempre per fasce di livello,occorre uno spirito, una forza, una capacità d’interazione, e perché no, un entusiasmo e una motivazione particolare al fine di risolvere questioni e problemi di vita scolastica quotidiana. Si registra spesso che con il passare degli anni, con la routine ordinaria che ripropone le medesime strutture organizzative e operative, può capitare che ci si stanchi e quindi lo smalto della vivacità professionale vien meno.
Quando dovesse capitare e già i primi sintomi sono evidenti in alcuni corsi che i genitori non vogliono scegliere, conoscendo che da tempo in quel corso insegna la tal docente “anziana” e, anche se brava, ragiona all’antica e non sa interagire con gli studenti, cosa si può fare?
Come si potranno utilizzare delle risorse culturali, non spendibili nella quotidianità didattica? Se poi si aggiungono nel tempo gli acciacchi fisici, i dolori reumatici e di altro genere, le responsabilità e la stanchezza per la conduzione della vita familiare, le difficoltà aumentano e rendono la scuola sempre più ingestibile. Ciò nonostante gli obiettivi di qualità dell’istruzione da raggiungere restano invariati e gli esiti finali fanno la differenza.
La scuola per la sua tipologia di vivacità e di relazioni umane ha bisogno di forze sempre fresche, di giovani docenti entusiasti del loro lavoro, capaci di far nascere e tenere alta la motivazione allo studio e di trasmettere delle abilità e competenze da acquisire anche attraverso l’imparare vedendo fare.
Ci pensino i governanti che scrivono leggi universali, che nella pratica non reggono e la cui applicazione risulta più dannosa delle somme che ritengono di risparmiare.
Giuseppe Adernò,
Associazione A.S.A.S.I.