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Ma i diritti dei lavoratori dipendono da Pomigliano?

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Suona strano a chi ha tra i 24 e i 30 anni sentire i metalmeccanici della Fiom dire: “Se passa l’accordo succede il finimondo”. Ecco, si sbagliano: per una generazione di giovani il finimondo è già successo

I giornalisti non dovrebbero mai scrivere in prima persona. Questa volta faccio un’eccezione, perché vorrei condividere con voi lettori un mio disagio nel raccontare la vicenda di Pomigliano e dell’ultimatum che la Fiat ha dato ai sindacati: o accettate condizioni di lavoro (molto) più dure oppure, invece di investire 700 milioni, chiudiamo la fabbrica. Il disagio è questo: quando raccontiamo gli operai di Pomigliano, raccontiamo la storia degli ultimi, dei Cipputi disegnati da Altan, dei più deboli, oppure la strenua difesa di un gruppo che, suo malgrado, non rappresenta più il mondo del lavoro di oggi?

Premessa: io ho 25 anni, ho la fortuna di avere un lavoro un po’ meno precario di altri, di aver potuto studiare economia all’università grazie ai sacrifici dei miei genitori. Quando parlo con persone che hanno la mia età, e in questi giorni capita, di quello che succede a Pomigliano, una reazione diffusa è: “Ma cosa vogliono questi? Non si rendono conto che, anche adeguandosi alle richieste della Fiat, saranno comunque molto più fortunati di quanti stanno loro intorno?” E’ vero: viene messo in discussione il diritto a scioperare (contro l’accordo), si riducono le pause, i ritmi di lavoro aumentano, il pranzo è previsto solo alla fine del turno di otto ore ecc. Si dice: lo statuto dei lavoratori è sotto attacco, questo è solo l’inizio, se si cede su Pomigliano poi non ci sarà più freno, la Confindustria e il governo vogliono rimettere in discussione le tutele e i diritti conquistati faticosamente durante il Novecento dal movimento sindacale e dai partiti della sinistra.

Però non posso ignorare un dato: tra i miei amici, miei coetanei o di qualche anno più grandi, nessuno è protetto dall’articolo 18, nessuno ha il diritto di sciopero perché sono precari o fanno lavori in cui non puoi scioperare contro nessuno, molti lavorano gratis, tantissimi anche il sabato e la domenica, senza orari. E quasi tutti, me incluso, nonostante lauree e master, guadagnano meno degli operai napoletani. E’ chiaro che in queste condizioni risulta difficile provare empatia per gli operai di Pomigliano.

Ma stare in fabbrica è un lavoro usurante, dicono quelli che escono dai cancelli dello stabilimento napoletano. Senza dubbio, lo posso solo immaginare, non avendolo mai provato. Ma è usurante anche stare fino a 35 o 40 anni appesi a contratti precari, senza la malattia, le ferie, i permessi, i congedi, la maternità, i distacchi sindacali la cassa integrazione e lo stipendio superiore ai mille euro, che per gli operai di Pomigliano non sono in discussione mentre per una generazione intera rappresentano, nel migliore dei casi, un miraggio. Gli operai di Pomigliano possono progettare, tra mille difficoltà, una famiglia. Un avvocato con una finta partita Iva che lavora in uno studio di Milano o Roma per 700 euro al mese non può farlo. E anche questo è usurante o, almeno, parecchio frustrante.

Per metà dei lavoratori italiani l’articolo 18 non esiste perché lavorano in imprese sotto i 15 dipendenti, per un’altra fetta rilevante non vale comunque, perché stanno in aziende precarie, e se si chiude tutti a casa. Centinaia di migliaia di lavoratori non possono scioperare, altri che potrebbero non lo fanno perché altrimenti addio rinnovo del contratto, se restano senza lavoro non hanno la cassa integrazione, non avranno mai la pensione perché saltando da un lavoro all’altro non accumulano contribuiti. Per questo, a chi oggi ha tra i 24 e i 30 anni, suona strano (e un po’ irritante) sentire i metalmeccanici della Fiom o i dirigenti della sinistra che dicono: “Se passa l’accordo succede il finimondo”. Ecco, si sbagliano: il finimondo è già successo, mentre loro si opponevano all’innalzamento dell’età pensionabile, mentre scaricavano i costi dell’evoluzione del sistema produttivo sui nuovi entranti nel mercato del lavoro, mentre ricordavano con nostalgia le lotte di fabbrica di un tempo lontano invece che preoccuparsi delle università, mentre scendevano in piazza a milioni per difendere l’articolo 18 (sacrosanto) osservando senza protestare le aziende riempirsi di stagisti che lavorano gratis. Che però non protestano, non si sentono, non sono organizzati e non sono rappresentati da sindacati pieni di pensionati o lavoratori a fine carriera.
 
Davvero il futuro del mercato del lavoro e dei diritti dei lavoratori è appeso all’accordo di Pomigliano? O le peggiori paure che circolano in questi giorni si sono già realizzate? Pure, qui, nella nostra redazione si è aperto un notevole dibattito (anche generazionale). Vorrei capire cosa ne pensate voi lettori.

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