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Manovra, premier bluff sul decreto Bersani: spettacolo indecente

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Ci ha provato in ogni modo il Cavaliere a non metterci la faccia sulla dolorosa manovra con cui bisognerebbe cercare di raggiungere l’obbiettivo di riportare il deficit sotto il 3 per cento entro il 2012. E questo è «necessario» come ha detto più volte il Capo dello Stato. Ci ha provato nel più ambiguo dei modi, riferendo il succedersi degli eventi illudendosi di allontanare l’amaro calice colmato dal ministro Tremonti, e cercando di condividere in qualche modo con il Quirinale la responsabilità dei tagli.
All’uscita da Palazzo Grazioli, di prima mattina, è andato in scena il tentativo di reinterpretare le regole costituzionali che prevedono la firma del Capo dello Stato come l’ultima. Per l’emanazione. E sotto un testo di decreto, i sui contenuti sono tutti responsabilità del governo. Al presidente della Repubblica spetta il compito di confermarne la necessità e l’urgenza e di evidenziare le norme palesemente incostituzionali anche se la costituzionalità delle leggi è materia della Consulta. Il decreto deve quindi deve essere corredato, innanzitutto, dalla firma del presidente del Consiglio. Eppure Silvio Berlusconi ci ha provato a confondere le acque. «Il decreto è già all’attenzione del presidente della Repubblica. Viene firmato quando il Colle avrà dato la sua valutazione». Un confuso uso dei tempi per far credere che lui ancora non aveva detto l’ultima parola. Ma che se a Napolitano andava bene, e allora non avrebbe potuto fare altro che mettere la firma su un provvedimento di «difficile composizione».

IL GIALLO
Per alcune ore è stato giallo. La procedura è sembrata d’improvviso cambiare. Dopo un paio d’ore da Palazzo Chigi è partita una laconica e giustificativa nota. «Il testo della manovra economica, già firmato dal presidente del Consiglio, è ora al Quirinale in attesa della valutazione del Capo dello Stato». Con la necessaria bollinatura della Ragioneria come ha precisato Tremonti in polemica con i «velinisti». Allora Berlusconi la firma l’aveva messa ma aveva preferito rimuovere come si fa con le grandi difficoltà aspettando che qualcuno le risolva. Intanto da ambienti del Quirinale arrivava la conferma che il testo era stato trasmesso «firmato, come da prassi, dal presidente del Consiglio». L’atteggiamento del premier conferma le difficoltà che Berlusconi sta cercando di fronteggiare. Innanzitutto interne al governo, testimoniate dai quattro giorni che sono stati necessari per individuare la stesura definita di un provvedimento, approvato in Cdm martedì «salvo intese». Che si sia dovuti arrivati a sabato per trovare un accordo è la prova che quelle intese non c’erano. In queste ore il decreto è sottoposto al vaglio attento dei tecnici del Quirinale. La firma per ora non c’è. E non è detto che ci sia oggi. Napolitano si prenderà tutto il tempo «necessario».

Alcune correzioni sembra siano state apportate. Non sembra ci sia un condono diretto. La questione province accantonata. I magistrati, che domani incontreranno il sottosegretario Letta, hanno congelato il ventilato sciopero poiché sarebbero stati “ammorbiditi” i tagli alla pubblica amministrazione compreso quelli sugli stipendi dei magistrati anche se il giudizio resta molto critico. Manovra «iniqua e incostituzionale. Metteremo in campo iniziative ma con senso di responsabilità» annuncia il segretario dell’Anm, Giuseppe Cascini.
Critica con Berlusconi l’opposizione. L’Udc, Di Pietro, il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani che parla di un iter della manovra «ai limiti estremi del quadro costituzionale» puntando il dito su «uno spettacolo inverecondo che avviene, evidentemente, perché ci sono delle differenze dentro il governo, per usare un eufemismo, cioè delle risse. Vedremo carte cambiate, carte cambiate in questi giorni».

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